Il 20 (giorno fittizio) Maggio 1996 rilascia testimonianza M.R..

Altri dati importanti vennero dai due detenuti che avevano trascorso un periodo di comune detenzione con Pacciani: M. R. e Giuseppe Fazzina.
M. R., pregiudicato per reati contro la persona e il patrimonio, di 32 anni, nel mese di maggio del 1996, dopo la scarcerazione, si presentava presso la stazione carabinieri di Rufina, riferendo spontaneamente di essere a conoscenza di alcuni elementi utili alle indagini, relative al “Mostro di Firenze”. In particolare, precisava che, negli anni ’80, durante la sua detenzione nella casa circondariale di Sollicciano, aveva conosciuto Pietro Pacciani, all’epoca ristretto per motivi diversi di quelli attinenti alla vicenda del “Mostro”. Raccontò che Pacciani gli aveva confessato di essere responsabile dei delitti ai danni delle coppiette. Un giorno, gli aveva chiesto, qualora fosse uscito prima di lui dal carcere, di effettuare l’omicidio di una coppietta, utilizzando una pistola che lui gli avrebbe procurato. Il delitto gli avrebbe consentito di essere scagionato dall’accusa di essere il “Mostro di Firenze”. In cambio, Pacciani gli aveva promesso che gli avrebbe regalato una casa e parte dei soldi relativi al risarcimento dei danni morali derivati dalle ingiuste accuse. Gli confidava anche che nel luogo dove teneva la pistola nascondeva anche il coltello usato per le incisioni sui cadaveri.

I carabinieri informarono prontamente il Pubblico Ministero, che procedeva, insieme a me, all’interrogatorio del teste, che confermava le dichiarazioni rese ai carabinieri. Specificava di aver detto la verità e di non aver alcun motivo né richieste da avanzare alla giustizia. Disse che negli ultimi tempi, in carcere, era molto maturato e che aveva deciso di riferire ciò che sapeva sulla vicenda del “Mostro”, esclusivamente per se stesso e non per chiedere qualcosa in cambio. Quindi, si dichiarava disponibile a fornire tutti i chiarimenti necessari sulle dichiarazioni precedentemente rese.
Precisava, così, di aver conosciuto Pacciani all’inizio della propria carcerazione nel 1991. Stava male, all’epoca, spaccava tutto, per cui era stato ricoverato al Centro clinico, dove aveva conosciuto Pacciani. Dichiarava di ricordare che Pacciani era malvisto da tutti gli altri detenuti, che lo minacciavano perché aveva violentato le figlie. Era l’unico a non comportarsi male con Pacciani. L’uomo aveva iniziato a confidarsi, accennandogli che aveva bisogno di lui per alcuni suoi problemi. Successivamente era stato trasferito a Montelupo Fiorentino e qui aveva ricevuto una lettera, che riportava come mittente il nome di Sgangarella, ma che, invece, proveniva dal Pacciani.
Pacciani gli chiedeva di mettersi in contatto con lui. Gli aveva mandato una cartolina, ma poi, era stato ritrasferito a Sollicciano e non aveva avuto più modo di incontrarlo, perché ristretto in altra sezione.
Alla domanda di precisare meglio i discorsi che Pacciani gli aveva confidato nel 1991, il testimone riferiva che gli aveva accennato solo che una volta fuori gli avrebbe dovuto risolvere un problema e, poi, quando anche lui fosse stato scarcerato, lo avrebbe dovuto aiutare ad ammazzare una persona, che lo aveva deluso e ingannato. In cambio gli avrebbe dato una casa e molti soldi. Ma non aveva avuto modo di approfondire l’argomento, perché era stato trasferito. Rientrato a Sollicciano nel 1994, era stato, per alcuni giorni al centro clinico, dove aveva rivisto Pacciani, che aveva subito iniziato ad inviargli lettere e bigliettini tramite i lavoranti della sezione.
Aveva poi distrutto quelle lettere così come Pacciani stesso gli aveva chiesto di fare. I messaggi dicevano che lui ce l’aveva a morte con una persona, qualcuno che gli era stato accanto e ora, che lui era in carcere, non faceva niente per aiutarlo.
Lo considerava un traditore. Gli spiegò che quest’amico si era rifiutato di uccidere una coppia, mentre lui era in carcere, per scagionarlo.
Il teste proseguiva precisando che, durante la detenzione del 1994, per un certo periodo, era stato ristretto in una cella vicino a quella del Pacciani, per cui aveva avuto modo di parlare direttamente a voce con lui. Pacciani era sotto processo per i fatti del “Mostro” e aveva paura di essere condannato e di non poter più uscire dal carcere. Gli aveva chiesto se fosse intenzionato ad aiutarlo e, avuta risposta affermativa, man mano gli aveva spiegato che, una volta fuori, avrebbe dovuto uccidere una coppia utilizzando la pistola che, al momento opportuno, gli avrebbe indicato dove trovare.
Gli aveva ribadito, in cambio, la promessa del regalo di una casa e di tanti soldi, di quelli che avrebbe ricevuto come risarcimento dell’ingiusta carcerazione.
Quando fosse uscito dal carcere, nel 1996, lo avrebbe dovuto contattare, magari tramite Suor Elisabetta e, una volta pronto, gli avrebbe fatto sapere dove si trovavano la pistola e il coltello. Ma dopo quel periodo di carcerazione nel centro clinico, era stato spostato in sezione e non aveva più visto il Pacciani, con il quale non aveva più potuto comunicare.
Aveva paura che Pacciani, per essere scagionato  definitivamente dalle accuse, potesse ancora far commettere l’omicidio di una coppia, per cui, una volta uscito dal carcere aveva sentito il dovere di recarsi dai carabinieri del suo paese per raccontare quanto a sua conoscenza. Precisava che Pacciani gli aveva detto che la pistola era custodita in una borsa di pelle in un posto nei pressi della sua abitazione. Gli aveva anche spiegato che, prima di uccidere la coppia, l’avrebbe dovuta cercare nella zona di Pontassieve – Rufina – Borgo San Lorenzo, pedinare per un certo tempo, facendo anche delle fotografie utilizzando quei rullini che stampano sulla foto il giorno, il mese e l’anno in cui viene scattata.
Pacciani voleva anche uccidere l’amico con cui aveva eseguito i delitti delle coppie, perché, durante la detenzione, aveva inviato a questi una lettera chiedendogli di uccidere una coppia, ma l’amico gli aveva fatto recapitare un messaggio con la risposta perché non ti ammazzi. Gli chiedeva di innescare quell’amico tramite una prostituta delle Cascine e portalo in una zona montagnosa, dove lo avrebbero ucciso.
Gli accertamenti svolti sui periodi di comune detenzione di Pacciani e M. R. presso la Casa Circondariale di Sollicciano confortavano pienamente quanto affermato da M.R.
Risultava, infatti, che i due erano stati ristretti nel Centro clinico, in più periodi, durante l’arco di tempo febbraio-giugno 1991.
Risultava, altresì, che, dopo aver trascorso i primi tre giorni in isolamento, M. R. era stato posto, sino all’8 maggio 1991, nella cella contrassegnata dal n. 12, attigua alla n. 11, occupata, nello stesso periodo da Pacciani. Emergeva, anche, che gli stessi avevano trascorso altro periodo di comune detenzione e, precisamente, dal 20.5.1994 al 26.6.1994, occupando Pacciani la cella n. 4 e M. R., prima, la cella n. 9, poi, la n. 2 e, infine, la n. 8.Vedi Compagni di Sangue pag. 184/185/186/187/188

A proposito della pistola, particolarmente interessanti erano i particolari riferiti da M. R. e soprattutto l’asserzione: (…) riguardo la pistola diceva che la teneva dentro una borsa di pelle chiusa in un posto“. Vedi Compagni di Sangue pag. 189

20 Maggio 1996 Testimonianza di M.R.
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