…mostro, figlio mio

IL PROTAGONISTA è un omone dal corpo disarmonico, minaccioso. Ha quasi cinquant’ anni, non si è mai sposato, vive con la madre, protettiva eppure distante, in una delle loro belle case fiorentine, piene di preziosa argenteria e quadri d’ autore. E’ colto, intelligente, chiuso in una sua contorta solitudine. Da ragazzo ha sofferto di ipogonadismo, che lo ha segnato con l’ impotenza, e in più soffre di diabete: lavora da un notaio amico di famiglia, di notte, in un suo studio impenetrabile, scolpisce, oppure esce, goffo e immenso, col suo passo frettoloso, o in motoretta, per passeggiate misteriose, allarmanti. E’ laconico, silenzioso, impenetrabile anche alla madre; educato e formale, certe volte è preso da crisi d’ ira terribili. Sa sparare con precisione, è figlio e nipote di grandi medici, possiede una rivoltella calibro 22, sa usare il bisturi. Sin dalle prime pagine del romanzo di Laura Grimaldi, Il sospetto (Mondadori, pagg. 227, lire 22.000), noi sappiamo che Enea Monterispoli è il mostro di Firenze; o meglio potrebbe esserlo, perché il suo ritratto e il suo modo di vivere corrispondono ai molti ritratti che criminologi, medici, magistrati, giornalisti hanno dato di lui. E più andiamo avanti nel libro, più siamo certi che quest’ uomo strano, torbido, segreto, murato in una sua metodica infelicità sia il letterario autore degli atroci delitti che hanno terrorizzato e ancora tengono in allarme Firenze: l’ uccisione di otto giovani coppie, seguita dalla mutilazione della vittima donna. Il primo delitto è del 1968, l’ ultimo risale a tre anni fa; il loro responsabile, dopo qualche attribuzione ed arresto, non è ancora stato scoperto. Il lettore si addentra nella certezza attraverso le ansie, i sospetti, le piccole indagini di Matilde, madre di Enea: signora tuttora bella, vedova, altera e solitaria, dalla vita ordinata e vuota. Un bisturi spostato, l’ arrivo di due poliziotti, un disegno scoperto nella stanza del figlio, le sue uscite nelle notti di novilunio, quando il mostro uccide, sono tutti piccoli elementi che fanno tremare questa madre di ghiaccio. Eppure c’ è qualcosa che non funziona, in questo mostro: nella sua bruttezza allarmante, nei suoi giorni affannati e percorsi da un dolore atono, persino nel senso di inquietudine e paura che comunica al lettore, non riesce a diventare odioso, orribile. Enea, si capisce, piace all’ autrice, alla fine piace anche al lettore, come un cane randagio e condannato a una infelicità da cui sa di non potere trovar scampo. E’ commovente, per esempio, il suo attaccamento protettivo e delicato per una ragazzetta drogata bugiarda e sfruttatrice, che è però la sola persona ad averne capito l’ umanità e la pena, la sola che gli dia qualcosa, momenti accesi di una sensualità che lui non può realizzare, la sensazione di aver trovato uno scopo nella sua vita umiliata. E’ LACERANTE il suo rapporto con questa madre che gli ha occupato la vita e che lo giudica con fredda apprensione, con una specie di vergogna, come un errore, un’ anomalia, una disgrazia, nella sua esistenza formale e austera. Alla fine si capisce che il sospetto, poi la certezza di essere la madre del mostro, nasce dalla sua mancanza di amore e di rispetto per quell’ omone nato da lei, a lei così estraneo. Laura Grimaldi definisce Il sospetto non un giallo ma un nero psicologico con un finale, ovviamente, a sorpresa, anzi un doppio finale con doppia sorpresa: e l’ abilità dell’ autrice è di tenere il lettore col fiato sospeso, di moltiplicare la sua inquietudine, di sorprenderlo alla fine con una soluzione sospettata, ma di cui non ha mai dato la certezza. Non per niente dirige da anni le collane Giallo Mondadori, Segretissimo, Urania; e, dice, la militanza professionale nei misteri delittuosi l’ ha aiutata a costruire la struttura del romanzo, a dargli una scrittura essenziale in cui la suspense è ottenuta attraverso eventi minimi, quotidiani, eppure carichi di ansia. Qualche anno fa Laura Grimaldi aveva condotto una inchiesta sul mostro di Firenze per Panorama, e ciò che l’ aveva colpita di più era stato il clima di sospetto che avvelenava la città: Tutti avevano il loro mostro, il vicino, il conoscente, il medico, lo scapolone, ogni diverso, ogni persona incomprensibile. Tutti erano in grado di fornire con certezza nome, indirizzo, abitudini del loro assassino. Poi l’ ha aiutata anche il caso Tortora: Molti pensavano: sembra impossibile, ma se l’ hanno arrestato qualcosa ci deve essere; e molti si affannavano più a cercare le prove della sua colpevolezza che quelle della sua innocenza. LAURA Grimaldi dice di essere stata prima una figlia circondata dal sospetto materno, e quindi carica di sensi di colpa, e poi una madre credulona, che ha dovuto sbattere il naso contro la realtà prima di capire le azioni e il destino dei suoi figli. E’ convinta che il rapporto tra madre e figlio sia spesso scellerato e che certamente nella realtà il mostro, se non è morto, se non è ammalato, è tuttora ignoto solo perché protetto da qualcuno, probabilmente sua madre. C’ è, nel romanzo, uno dei rari dialoghi tra madre e figlio, un momento in cui il reciproco silenzio si spezza per parlare del mostro. E’ Enea a dirle che il massacratore non può essere solo, deve essere uno protetto dalla madre. Nessuna madre denuncerà mai il proprio figlio, anche se assassino, per salvare i figli altrui. Ma allora, chiede Matilde, cosa deve fare? Sopportare il figlio per quello che è. Anche perché la madre di un mostro non può che essere mostro a sua volta.

di NATALIA ASPESI

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5 Agosto 1988 Stampa: La Repubblica – …mostro, figlio mio
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