“Il mostro non sono io”

FIRENZE – “Calugne e infamità”. Infamie e calunnie. Sbattuto sulle pagine dei giornali come il “sospetto mostro di Firenze”, Pietro Pacciani urla la sua innocenza in una lettera-fiume inviata al quotidiano “La Nazione”. Una lettera in cui ricostruisce la sua vita, le sue fatiche e le sue sventure e rivela di essere già stato fugacemente sospettato nel 1985 per l’ omicidio di San Casciano, l’ ultimo dei delitti del mostro. “Questo boia non sono io”, scrive in buona calligrafia e italiano incerto. “Ma cosa vi salta in testa che io sia la persona che ha fatto tanto del male, cioè il mostro?”. Pacciani ha steso la sua autodifesa lunedì. Non aveva ancora ricevuto l’ informazione di garanzia firmata dal procuratore della Repubblica di Firenze Piero Luigi Vigna per i 16 delitti commessi dal mostro fra il 1968 e il 1985. Il suo nome non era mai stato fatto sulla stampa. Ma da alcuni giorni i quotidiani raccontavano di un nuovo super-sospettato, lo descrivevano come un contadino di 66 anni, nato a Vicchio e abitante a Mercatale Val di Pesa, parlavano di antico delitto che poteva essere interpretato come un fattore scatenante della follia del mostro. Aggiungevano che dal 1987 l’ uomo era in carcere, condannato per violenza alle figlie. Pacciani ha capito che i giornali parlavano di lui. Anche perché sapeva bene di essere entrato nel cerchio di attenzione dei magistrati anti-mostro Piero Luigi Vigna e Paolo Canessa, che lo avevano interrogato due volte. Aveva già consegnato memoriali ai suoi avvocati, Pietro Fioravanti e Renzo Ventura, e – prima di chiudersi nel silenzio davanti ai giudici – spinto dall’ indignazione ha voluto rispondere al tiro al bersaglio dei sospetti. Nella lettera-fiume Pacciani ricostruisce prima di tutto il delitto del 1951: “Sorpresi la mia donna con un altro, e fu lei, dicendomi piangendo: ‘ Picchialo, mi ha preso con forza’ . Io ero geloso, era due anni che ci facevo all’ amore, e fra due mesi la dovevo sposare. Io gli andai incontro per tirarli due pugni, ma mi prese con un braccio intorno al collo, non respiravo più, mi trovai un coltello in tasca, fui costretto per liberarmi, stavo affogando”. Non è vero affatto, aggiunge, che dopo il delitto, a cadavere ancora caldo, si gettò sulla sua donna in un abbraccio di amore. “Come potevo, dopo quello che era successo, avere la voglia di fare quelle cose? Anche, l’ uomo più virile del mondo, credo, non lo farebbe”. In carcere rimase 13 anni, non 17 come è stato scritto. Fu scarcerato nel ‘ 64. “Tornai con mia madre a Vicchio, mi misi subito a lavorare calzolaio in una ditta”. Poi fece lo stradino, il manovale, poi tornò a fare il contadino. Prese moglie. Nacquero due figlie. “Sono un padre di famiglia e ho sempre lavorato di continuo senza sosta per non farle mancare niente”. In stalla, in fattoria, a governare le bestie, a spezzarsi la schiena nei campi. “Si lavorava tanto e ci pagavo poco”. Nel ‘ 69 si trasferisce a San Casciano, a sud di Firenze, lontano da Vicchio. La sua vita è solo lavoro, “senza un attimo di tregua”. “E dopo 12 anni di fatiche, fra il bestiame e il lavoro dei campi, mi ammalai d’ infarto”. Dopo la malattia compra casa a Mercatale. “E appena incominciai a stare meglio ricominciai a lavorare fino al giorno del mio arresto, lavorando pure dieci ore al giorno”. Chiusa la storia della sua vita, Pacciani affronta il capitolo dei sospetti. “Faccio presente che quando il maniaco commise quel delitto dei francesi, la domenica, io, e mia famiglia, mi trovavo a cena alla festa dell’ Unità a Cerbaia, fino a tarda sera”. Il delitto è quello dell’ 8 settembre 1985: a San Casciano il mostro uccise due turisti francesi. Pacciani racconta che al momento di rientrare a casa dalla festa la sua automobile si rifiutò di partire. A Cerbaia – aggiunge – c’ era anche il suo meccanico, che lo aiutò a spingere la macchina. “La sera del lunedì mi venne a casa i carabinieri a interrogarmi, mi chiesero dove mi trovavo domenica sera. Dissi dov’ ero a cena con la mia famiglia. Mi dissero: la puole dimostrare?”. Pacciani fece il nome del meccanico: Marcello Fantoni. Il meccanico – sostiene Pacciani – confermò tutto e i carabinieri chiesero scusa. Ma Marcello Fantoni non se ne ricorda affatto, e nega decisamente di aver visto Pacciani alla festa dell’ Unità di Cerbaia. Probabilmente i magistrati, giovedì, avrebbero chiesto spiegazioni su questo punto. Ma Pacciani ha preferito non rispondere all’ interrogatorio. E’ certo della sua verità. “Ho smentito tutte le calugne”, spiega. E ricorda che il lunedì successivo al delitto l’ assassino spedì da Vicchio, in una lettera indirizzata a un magistrato, un frammento del seno asportato alla giovane donna francese. “L’ abbiamo letto qua nel carcere sui giornali”, spiega Pacciani. Quanto a me – aggiunge – “dal ‘ 69 sarò andato a Vicchio non più di 4 volte e non saprei più neppure trovare la strada”. “Dunque, cosa venite a insinuare nei miei confronti? Questo boia viene di là, e io ero lì a Mercatale, e senza macchina”.

di FRANCA SELVATICI

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2 Novembre 1991 Stampa: La Repubblica – “Il mostro non sono io”
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