Il 1 aprile 2005 viene rilasciata la nota riassuntiva Nr.170/05/G.I.DE.S. dal Dirigente Michele Giuttari ed indirizzata alla Procura della Repubblica di Firenze al Dott. Paolo Canessa, Sostituto e alla Procura della Repubblica di Perugia al Dott. Giuliano Mignini, Sostituto.

La seguente nota fa seguito alla nota del Gides 2 Marzo 2005 Nota riassuntiva Nr.133/05/GIDES.

Questa la nota con gli allegati relativi: 1 Aprile 2005 Nota riassuntiva Nr.170 05 GIDES + allegati

Questa la trascrizione:

Ministero dell’Interno
Dipartimento della Pubblica Sicurezza
GRUPPO INVESTIGATIVO DELITTI SERIALI
FIRENZE – PERUGIA

Viale Gori 60, 50127 Firenze Fax +3955/3238179

Nr. 170/05/G.I.DE.S.

Firenze, 1 aprile 2005

Oggetto:

p.p. n. 1277/03 RGNR Mod. 21. P.M. Firenze.
p.p. n. 17869/01 RGNR Perugia.
e 8970/02 RGNR Mod. 21 P.M.
– Ulteriori emergenze investigative, anche in relazione alla morte di Pietro Pacciani.
– Ipotesi di reato in materia di armi a carico di Francesco Calamandrei e altri.
– Richiesta di custodia cautelare a carico di Francesco Calamandrei.

ALLA PROCURA DELLA REPUBBLICA DI = FIRENZE = c.a. dott. Paolo Canessa, Sost.

ALLA PROCURA DELLA REPUBBLICA DI = PERUGIA = c.a. dott. Giuliano Mignini, Sost.

Fa seguito alla nota n. 133/05/Gides del 2.3.2005, avente a oggetto: “Nota riepilogativa a carico di Francesco Calamandrei, nato a San Casciano Val di Pesa il 27.8.1941, ivi residente, Piazza Pierozzi,18, ex farmacista.

=*=*=

Ad integrazione di quanto riferito alle pagine 83 e 149 della citata nota circa i riferimenti alle ipotesi di reato di  detenzione e possesso illegale di armi da parte di Francesco Calamandrei, si comunica che agli atti dell’ex Sam è stata rinvenuta una dichiarazione, manoscritta e in originale, datata 26.4.1991, a firma di Mariella Ciulli, in calce alla quale vi è il verbale di ratifica e conferma redatto dall’ispettore della Polizia di Stato Riccardo Lamperi, all’epoca in servizio alla SAM.

Nel corpo della citata dichiarazione, tra l’altro, si legge:

“Nel ’69, prima quindicina di settembre, eravamo in viaggio di nozze e ci fermammo a trovare a Sant’Angelo in Vado Mario Spezi, suo amico di università, oggi giornalista (ha scritto il libro sul Mostro). Lì accadde un qualcosa che mi mise in allarme. Mi sembra di ricordare di aver letto sul giornale che era accaduto un qualcosa proprio dove noi eravamo stati a dormire la notte precedente a Marina di Vasto, Motel Perrozzi, e ne nacque una lite con mio marito tanto che mi minacciò. Certo è che corsi a casa di Mario Spezi consegnandoli la pistola che Francesco teneva nel cruscotto della sua auto. Non ricordo altro, se non che Mario tenne con se quella pistola per molto tempo, riconsegnandola a mio marito dopo diverso tempo. Quindi lui sa bene di che calibro era. Con Mario, proprio per questo motivo, ruppi l’amicizia. So che Francesco l’ha rivisto ultimamente invitandolo a casa sua per parlare del suo libro…” (All.1)

In relazione al contenuto di cui sopra si riferisce quanto segue:

  • da accertamenti svolti presso il Comune di San Casciano risulta che Francesco Calamandrei e Mariella Ciulli contrassero matrimonio il 30.8.1969, per cui appare quanto mai verosimile che il viaggio di nozze abbia interessato la prima quindicina del mese di settembre di quell’anno, così come affermato dall’ex moglie (All.2);
  • a Marina di Vasto esiste l’Hotel Perrozzi ubicato in contrada Buonanotte, 71 e nell’anno 1969 era attivo, così come comunicato dal Commissariato di Pubblica Sicurezza di Vasto, che ha fatto presente di non poter risalire agli alloggiati di quel periodo in quanto i registri dell’epoca sono stati distrutti (All.3);
  • a Sant’Angelo in Vado abitavano i genitori di Mario Spezi. La casa era un palazzo di tre piani, sito in Piazza Mar di Plata, n. 2, e l’attuale proprietaria è Spezi Maria Giovanna, sorella di Mario Spezi (All. 4). Costei, sentita a verbale nell’ambito delle indagini relative al p.p. n. 8970/02 della Procura di Perugia, tra l’altro riferiva: “Vorrei innanzi tutto riferire che io sono circa dieci anni che non parlo e non ho rapporti con mio fratello Mario, in particolare dal 1991, anno in cui è deceduta mia madre Vespucci Renata in Spezi. Premesso ciò voglio aggiungere che i rapporti con mio fratello non sono mai stati molto stretti, anche perché lo stesso non ha mai frequentato la mia famiglia più di tanto. Mi spiego meglio: i miei genitori Spezi Sanzio e Vespucci Renata hanno vissuto, credo, per circa 30 anni a Roma in quanto mio padre era un diplomatico che lavorava presso il Ministero degli Esteri. In particolare, nel 1958/59 mio padre si trasferì a Strasburgo come Console presso il Consiglio d’Europa dove vi è rimasto circa dieci anni sino alla pensione, credo nel 1968/1969; dopodiché i miei genitori sono tornati ad abitare a Sant’Angelo in Vado. Io ho seguito la mia famiglia ed ho studiato a Strasburgo, mentre Mario dopo aver frequentato il Ginnasio a Roma ha frequentato per circa 1 anno l’Istituto San Carlo di Milano, aveva circa 15 anni e successivamente ha frequentato l’Istituto dei Frati Rosminiani di Domadossola, dove con voti molto alti si è diplomato nella maturità classica, credo nel 1963 o nel 1964, in quanto l’anno che frequentò il San Carlo di Milano fu bocciato; credo che questa bocciatura fosse legata anche al suo non adattamento all’Istituto, ai professori ed alla città in generale. Credo che Mario avesse anche del risentimento verso mio padre in quanto lo aveva messo in quell’Istituto. Successivamente alla maturità, Mario decise di frequentare l’Università a Firenze iscrivendosi credo alla facoltà di Giurisprudenza, non credo riuscendo a conseguire la laurea. Credo che in quel periodo lui abbia conosciuto quella che poi sarebbe diventata la moglie di origine belga.” Circa la presenza del fratello a Sant’Angelo in Vado, la donna spiegava: “Io ho vissuto a Sant’Angelo insieme ai miei genitori sino al 1972 e dopo mi sono trasferita a Tavuglia dove lavoravo presso un Centro di recupero per ragazzi handicappati. Per quanto è a mia conoscenza fino a quando io sono rimasta con i miei genitori di tanto in tanto si faceva vedere Mario in compagnia della moglie. Dal 1972 in poi, quando io non vivevo più a Sant’Angelo credo che Mario abbia continuato ad andare a trovare i miei, ma non sono a conoscenza se con lui vi sia andato anche qualche amico o amica” (All. 5);
  • dal 1968/69 (data del pensionamento dei genitori) sicuramente fino al 1972 (data in cui presso di loro viveva la sorella) Mario Spezi di tanto in tanto andava a trovare i genitori a Sant’Angelo in Vado, specie per trascorrere i week-end. E’ verosimile pertanto che nella prima quindicina di settembre del 1969 Mario Spezi si trovasse a Sant’Angelo in Vado e i coniugi Calamandrei siano andati a trovarlo. Peraltro che Mario Spezi avesse una casa a Sant’Angelo in Vado era una circostanza sicuramente nota al Calamandrei atteso che in una sua agenda del 1989 è risultato annotato: “Mario Spezi S. Angelo in Vado p.zza Mar del Plata tel. 0722/8231 – fino al 17 luglio da Lucia albergo” (vedi pag. 66 della nota n. 133 sopra citata). In pratica, il Calamandrei aveva annotato l’indirizzo esatto della casa dei genitori dello Spezi e il nome di un albergo “Da Lucia” che effettivamente esiste in Sant’Angelo in Vado, via Nazionale Sud 33/35 e dove probabilmente ha alloggiato o intendeva alloggiare (All.6);
  • in relazione alla personalità di Mario Spezi, Orsola STAMPA, sentita nell’ambito del p.p. n. 8970/02 della Procura di Perugia, riferiva: “Ricordo che nei primi anni 90, mentre mi trovavo a lavorare a Milano, dove svolgevo l’attività di grafica pubblicitaria presso la Mondadori e la ditta Ettore Maiotti, fui notiziata da mia madre Zanotti Anna Maria di essere stata contattata da Mario Spezi, il quale le aveva spiegato di essere figlio di mio padre Stampa Guido Baldo. Lo Spezi, almeno a quanto riferitomi, raccontò a mia madre di una relazione che mio padre aveva avuto con sua madre antecedentemente al matrimonio con mia madre. Da tale relazione era nato Mario. In questo contesto mia madre mi spiegò che Mario aveva espresso la volontà di conoscere anche me. Io accettai e lui venne a Milano a trovarmi a casa…ricordo che nell’occasione mi accorsi che Mario aveva assunto alcolici, cosa che poi venne confermata dalla moglie che il giorno successivo lo venne a riprendere in quanto non era in grado di guidare. Ricordo anche che, nonostante Mario avesse bevuto, si presentava all’apparenza lucido, nonostante che il medesimo mi fece discorsi sconnessi…disse che lui aveva rinvenuto una cassapanca al cui interno rinvenne oggetti e forse documenti che riconducevano la sua paternità a mio padre. Ricordo comunque che il suo racconto fu molto confuso e io sinceramente non non capii molto, però vedendo la sua forte somiglianza con mio padre, confermata anche peraltro da mia madre, mi convinsi che effettivamente Mario poteva essere mio fratello…“. Riferiva altresì: “Posso dire di aver saputo direttamente dallo stesso e dalla moglie Miriam dei suoi problemi legati all’abuso di alcolici. Ricordo anche che, durante le nostre conversazioni, Mario mi confessò di avere risolto i propri problemi di alcolismo grazie all’aiuto di un frate psicologo che lui mi disse si trovava in un convento a Firenze. Mi pare, se non ricordo male, si chiamasse Bartolomeo. Mario mi riferì che il frate lo aveva preso in analisi guarendolo dalla dipendenza dell’alcol…” (All. 7);
  • Zanotti Anna Maria, ved. Stampa, madre di Orsola Stampa, sentita anche lei a verbale nell’ambito sempre dello stesso procedimento penale di Perugia, riferiva di essere stata contattata a cavallo tra gli anni 80 e 90 da Mario Spezi che l’aveva voluto incontrare perché da alcune carte appartenute alla madre e da alcune testimonianze aveva saputo che il di lei marito era il suo vero padre. Tra l’altro poi spiegava: ” (Mario Spezi) secondo me è una persona che ha avuto problemi familiari fin da bambino; questo mi viene in quanto in alcune occasioni lo stesso mi ha parlato della madre in termini critici stigmatizzando il comportamento della stessa. Secondo me è malato di protagonismo in quanto lo stesso, pur atteggiandosi a protagonista, non è mai riuscito a sfondare e ad avere una grandissima fama…sono a conoscenza, in quanto riferitomi personalmente da Mario Spezi, che lo steso per i problemi di alcolismo frequentava un frate psicologo di Firenze, di cui non ricordo il nome, e che per quanto è a mia conoscenza dovrebbe essere deceduto. Ricordo anche che Miriam in varie occasioni aveva espresso giudizi favorevoli sul medesimo dichiarando che grazie a lui Mario aveva superato i suoi problemi legati all’abuso di alcol” (All.8);
  • Serafini Maria Grazia, che sarebbe un’altra sorellastra dello Spezi, sentita a verbale riferiva solo di avere intrattenuto pochi rapporti epistolari e telefonici con lo Spezi allorché aveva appreso da Orsola Stampa che anche lo Spezi era figlio di Guido Stampa (All. 9).

A questo punto è opportuno rilevare che, avendo trovato riscontro le dichiarazioni rese a suo tempo da Mariella Ciulli in relazione ai rapporti di amicizia intercorrenti tra l’ex marito e Mario Spezi, al periodo del viaggio di nozze nel mese di settembre del 1969 a Marina di Vasto (circostanza, questa, che appare molto verosimile), alla disponibilità di un’abitazione a Sant’Angelo in Vado da parte dello Spezi e alla perfetta conoscenza di tale circostanza da parte del Calamandrei, appare quanto mai credibile il racconto della Ciulli di cui alla dichiarazione sopra citata datata 26.4.1991 (dichiarazione che risulta scritta a mano e apparentemente con una grafia regolare e stabile e che è stata ratificata da un ufficiale di polizia giudiziaria) e, in particolare, l’episodio della detenzione e porto di una pistola che, in questo caso, verosimilmente doveva trattarsi dell’arma di cui il Calamandrei sarebbe entrato in possesso in occasione del duplice omicidio del 1968, considerato che il genitore (come già segnalato era detentore di una Beretta calibro 9 regolarmente denunciata) è deceduto in epoca successiva, e cioè il 19.2.1971. Detenzione e porto illegale, quindi, verosimilmente della famosa calibro 22 del cosiddetto “Mostro” e che sia Ciulli Mariella che Spezi Mario avrebbero avuto in mano in occasione dell’episodio di Sant’Angelo in Vado del settembre 1969; Spezi Mario, in particolare, l’avrebbe custodita per diverso tempo restituendola poi al Calamandrei.

E’ opportuno altresì ricordare che le pistole detenute illegalmente dal Calamandrei, dopo che la moglie l’aveva sospettato per i duplici omicidi, sarebbero state gettate in mare dal farmacista a Punta Ala, e ciò risulta non solo dalle dichiarazioni della Ciulli e da quelle dei testimoni che hanno riferito di avere appreso la circostanza dalla Ciulli, ma anche dalle dichiarazioni rese da Mascia Rossana, alla quale lo stesso farmacista aveva confidato di aver gettato in mare la pistola che era stata del padre (verbale del 19.8.2003: “Ricordo un’altra circostanza che voglio raccontare. Francesco mi raccontò che verso la metà degli anni 80, prese la pistola di suo padre che custodiva nella casa di San Casciano sita sopra la Farmacia, e si portò a Punta Ala dove prese la sua barca e in compagnia dell’Architetto Gianni CECCATELLI, marito della mia amica Tamara MARTELLINI, si recò al largo e buttò detta pistola in mare. Non mi ricordo l’occasione in cui Francesco mi raccontò questo episodio. Lui mi disse che buttò la pistola per non avere noie burocratiche.” All.10)

La circostanza riferita dal Calamandrei alla Mascia si sarebbe verificata verso la metà degli anni 80, guarda caso quando la Ciulli incomincia a sospettarlo di essere coinvolto nei delitti del Mostro!

Inoltre, anche Ceccatelli Giovanni, sentito a verbale l’8.10.2003, pur non confermando la circostanza di essere stato presente quando l’amico Francesco Calamandrei aveva gettato in mare la pistola, tuttavia confermava il possesso illegale da parte dell’amico dell’arma del padre e il particolare che tale arma era stata gettata in mare, riferendo le confidenze ricevute dallo stesso Calamandrei intorno all’anno 1986 (il periodo di tempo a cui fanno riferimento sia la Ciulli che la Mascia). Lo stesso, infatti, alla domanda se fosse a conoscenza del possesso di armi da parte del Calamandrei, affermava: “Posso riferire soltanto un episodio che mi viene in mente. Credo fosse l’estate del 1986 e se non ricordo male mi trovavo a Punta Ala con Francesco. Durante una gita in macchina, se non ricordo male proprio Francesco mi ha raccontato di essere in possesso di una pistola appartenuta al padre. In questo frangente il CALAMANDREI ricordo che aggiunse che non poteva tenerla in quanto non era in possesso di porto d’armi e per non avere problemi l’aveva gettata in mare. Io comunque non ho mai visto questa pistola, ne sono stato presente quando Francesco l’ha gettata in mare.” (All.11)

Le testimonianze della Mascia e del Ceccatelli, pertanto, appaiono di specifica rilevanza probatoria, non solo perché confermano le dichiarazioni della Ciulli, ma anche perché testimoniano la realizzazione di gravi reati (detenzione e porto illegale di arma) ad opera di Francesco Calamandrei.

Tra le persone che hanno appreso dalla Ciulli la circostanza della pistola, è utile ricordare Martellini Tamara, la quale, sentita in data 17.9.2003, dichiarava tra l’altro che la Ciulli quando le aveva riferito i fatti che concernevano il marito era in normali condizioni di salute.

La Martellini, infatti, alla domanda se la signora CIULLI Mariella, quando le aveva raccontato i dettagli sul coinvolgimento del marito nei delitti fosse a suo giudizio in condizioni di salute normali, rispondeva: Ebbi la netta sensazione di si, tanto che io presi per veritiero quanto mi raccontava ed ebbi ancora più paura.” Quindi, alla domanda di riferire quei racconti, spiegava: ” Quello che io ricordo è questo: Che una volta era stata portata in macchina, da Francesco CALAMANDREI, drogata, in un posto, che lei successivamente aveva riconosciuto come il luogo dove era stata assassinata la RONTINI; che lei era in contatto con il Signor Rontini, padre della ragazza uccisa; che Francesco aveva una pistola uguale a quella usata dal mostro, che aveva smontato e gettato in mare, quando gli inquirenti iniziarono a periziare tutte le pistole di quel calibro, perché lui non l’aveva denunciata; che era stata effettuata una perquisizione a casa del Francesco CALAMANDREI, ma il Maresciallo di allora aveva messo tutto a tacere; Devo dire che in un occasione iniziai ad avere qualche perplessità, ed è stato quando la CIULLI mi raccontò che era stata a cena dal Dottor Vigna ed a lui gli aveva raccontato ancora più cose, fornendogli, a suo dire, prove inconfutabili tanto che, mi disse, il Dottor VIGNA l’aveva messa sotto protezione e che erano stati messi tutti i telefoni sotto controllo. Questo particolare mi fece dubitare perché pensai che se effettivamente avesse fornito prove inconfutabili il Dottor VIGNA avrebbe dovuto arrestare il Francesco CALAMANDREI più che mettere sotto protezione la CIULLI.” (All.12)

La famosa pistola del “Mostro”, alla luce di queste emergenze investigative, non si sarebbe potuta trovare in nessuna abitazione, né in quella di Pietro Pacciani, né in quella dei suoi complici o degli altri sospettati o indagati nel corso degli anni, e né poteva essere trovata nel corso della perquisizione effettuata dai carabinieri a carico di Francesco Calamandrei nel 1988 perché già si sarebbe trovata sui fondali marini. Ne consegue, pertanto, che detta pistola è destinata a non essere mai più ritrovata, a meno che il Calamandrei non indichi il punto esatto in cui l’ha gettata in mare.

Circa l’attendibilità della Mariella Ciulli, giova riferire che l’attività tecnica di intercettazione telefonica in atto nei confronti del Calamandrei nell’ambito del procedimento penale 8970/02 della Procura di Perugia sta fornendo ulteriori elementi particolarmente significativi anche a conferma di quanto a suo tempo denunciato dalla donna.

Infatti, si citano le seguenti conversazioni:

  • telefonata del giorno 18.3.2005, ore 10,17,12, (progressivo n. 101 su utenza 055/8290090), intercorsa tra Francesca Calamandrei e Marco Calamandrei, figli dei coniugi Ciulli – Calamandrei. I due discutono degli articoli di stampa che riguardano l’inchiesta sul proprio genitore e, poi, Marco ricorda alla sorella che il giorno dopo il delitto degli Scopeti, quando lei non era potuta passare dal luogo del delitto per fare una gara di cavalli, lui si trovava a Punta Ala col padre tanto da ricordare bene dove erano stati a mangiare e che quella notte era stato male. Marco dice: perché io mi sentii male la notte. S’andò a mangiare…me lo ricordo precisamente al…a quell’albergo che è su…sulla strada. Io poi mi…sen…mi ricordo bene che tu dovevi, me lo ricordo benissimo…te dovevi passare di lì con…per i cavalli e fu un periodo e io e il babbo quel periodo s’andò a mare… La sorella dà l’impressione di innervosirsi e lo invita a non parlare al telefono perché sappi che mi stanno ascoltando…capito? Francesca poi gli riferisce che speravano che andasse in altro modo, ma che comunque la madre non verrà più sentita o meglio che verrà nominato un perito che andrà a visitarla in istituto e aggiunge: a quel punto se è idonea a testimoniare quando va in Tribunale, quando dice che Vigna era uno dei mandanti e quando dice tutto, allora non c’è più il babbo, ma devono essere indagati tutti. Capito? Quindi…sai…bisogna vedere cosa gli conviene (All. 13). Queste ultime affermazioni di Francesca Calamandrei sembrano rappresentare la punta di forza della difesa del Calamandrei perché la Ciulli, tirando fuori il nome del dottor Vigna, sicuramente non verrebbe creduta e di conseguenza cadrebbero le sue accuse al marito. Tale linea difensiva si desume anche in una conversazione tra il Calamandrei e il suo avvocato (telefonata del giorno 17.10.2004, ore 12.08.14, progressivo n. 1132 su utenza 3333144138: Zanobini: eh! Poi alle cartelle cliniche riferisco anche che… di quanto lei dice che eh…allora il Vigna eh eh eh eh ammazzava la Favoni di di Cerbaia e te pugnalavi il marito oh…oh…oh…co…co…la flance come si chiama (ride) capito? All.14);
  • Telefonata del giorno 21.3.2005, ore 10,12,42 (progressivo n. 153 su utenza 055/8290090), intercorsa sempre tra Francesca e Marco Calamandrei. La sorella telefona per scusarsi di essere stata un po’ brusca con lui nella telefonata precedente e poi gli dice: sicché…senti, ti volevo dire poi, per quella cosa che mi avevi detto, bisogna incontrarci perché bisogna parlarne (si riferisce all’episodio di Punta Ala). E Marco: vidi anche il babbo e gliel’ho detto anche a lui…glielo dissi e disse che ne parlò con l’avvocato…se ne può parlare io e te per bene, se tu vuoi. Francesca: no, capito, più che altro perché se c’é…ma dove eravate? Marco: a Punta Ala. Francesca: A Punta Ala sì, sì…ma eravate da soli? Marco: e chidiglielo!…quando lo vidi, glielo ricordai, anche lui se lo ricordava, io mi sentii male perché s’era mangiato nel ristorante, quello lì sulla strada, te lo ricordi quello si fermò tutti…inc… Francesca: Sì, sì, sì. Marco: con le palle…inc… Francesca: Sì, sì, sì, ho capito! Marco: …inc…quella notte stetti proprio male, capito? Francesca poi ribadisce di avere il telefono sotto controllo e si scusa di nuovo per avergli risposto male (All. 15). La circostanza ricordata da Marco Calamandrei conferma in pieno quanto affermato dalla madre in occasione delle denunce nei confronti del marito. Costei, infatti, aveva affermato che il marito, quando il giorno dopo del delitto degli Scopeti lo aveva notato graffiato e aveva rinvenuto il “fagotto” coi reperti, era andato col figlio a mare a Punta Ala! (All. 16);
  • Telefonata del giorno 21.3.2005, ore 13,10,25 (progressivo n. 155 su utenza 055/8290090), nella quale Marco Calamandrei parla con la madre che si trova a casa della figlia e che gli comunica di non essere stata chiamata perché rimandata a giugno. Marco le risponde di non preoccuparsi e di dire la verità (All. 17);
  • Messaggio registrato sulla segreteria telefonica del telefono in uso a Francesca Calamandrei il giorno 25.3.2005, ore 18,57,15. Mariella Ciulli lascia il seguente messaggio: Buona notte Francesca…ehhhh…sei fuori a fare la spesa con Toni immagino…ehhhh non me ne ricordavo cheeee uscivi…non ci fare la testa con il mostro sennò diventi pazza…già ero diventata pazza io…quando ne parlavano i giornali ora non ne parlano nemmeno più…tanto il babbo non è, l’importante è quello…e si dimostrerà! Ciao (All. 18). La parte finale del messaggio (tanto il babbo non é…) fa sorgere qualche perplessità e non è da escludere che tale messaggio possa essere stato concordato considerato che la figlia sa di avere il telefono sotto controllo, così come con assoluta certezza ha comunicato al fratello nelle telefonate dei giorni precedenti;
  • Telefonata del giorno 15.3.2005, ore 13,56,11 (progressivo n. 11 su utenza 3333144138) tra Francesco Calamandrei e un suo amico, di nome Francesco, che usa il telefono 02.55409008, intestato a RCS quotidiani, via Mecenate, 91, Milano. I due discutono, tra l’altro, della vicenda giudiziaria del Calamandrei e dell’incidente probatorio nel quale dovrà testimoniare la Ciulli. Francesco: ma il processo…ti…ti…processano, no? Calamandrei: e penso proprio di sì!…hanno fatto l’incidente probatorio…ora doman l’altro sentono mia moglie. Francesco: per tua fortuna…non é…non è un teste attendibile…cioè assolutamente cioè…per tua fortuna perché… tutto… buona parte…tutto nasce lì! Calamandrei: Sì, no, quasi tutto nasce da lì…Francesco: però non è nelle condizioni di…di poter sostenere… Calamandrei: e invece lo vogliono…sostenere!…capito!…nonostante io abbia fatto…io, l’avvocato…si è prodotto fascicoli e fascicoli…ricoveri…perizie psichiatriche…non ultimo fatta…dal professor Francia…e nonostante questo…noi si sente!…e poi si starà a vedere…se loro avessero anche un… indizio… che…io sarei già in prigione!…questo mi consola! Francesco: ti consola perché non c’è nessun indizio… Calamandrei: perché non c’è nulla, capito?… E poi ancora: Francesco: ma chi è il Pubblico Ministero? Calamandrei: Canessa! Francesco: ah! Sempre Canessa! Calamandrei: sempre Canessa! Francesco: sempre Canessa! Questo se non…è vent’anni che ci si fa…si fa le seghe sopra. Calamandrei: di più, di più…sarà 25 anni. Francesco: niente, niente questi quando…Calamandrei: e poi c’è quell’altro Giuttari…che ha scritto anche il libro. Francesco: sì, certo lui si è fatto fuori la fortuna…cioè per vendere il libro ha fatto fare gli articoli…che schifo! Che schifo! E ancora oltre: Francesco: ah!…ma vedrai che…che archiviano perché non possono…han cercato tutti i casi di metterti dentro con quello lì… cioè uno trent’anni fa, al limite, fa una partita a tennis…con una persona, poi…mah, roba da matti! Calamandrei: no, ma non esiste pro…Francesco: no, ma lo so! Ma no, dico, al limite…no, ma uno…ma non è possibile! Stanno a tirare fuori delle cose… micidiali! Micidiali! Calamandrei: micidiali! (All. 19);
  • Telefonata del giorno 23.3.2005, ore 9.02.00 (progressivo n. 167 su utenza 335/8034455), intercorsa tra Francesca Calamandrei e Costanza Riccardi (figlia di Margherita Calamandrei, sorella di Francesco Calamandrei). Le due donne discutono della vicenda del “Mostro di Firenze” e si capisce chiaramente che stanno ricostruendo, attraverso la lettura di libri e ricerche di articoli di stampa che Costanza sta facendo in biblioteca, i fatti del coinvolgimento dei sardi e, in particolare, l’epoca tra il 1982, il 1983 e 1984. Si soffermano poi sul libro di Mario Spezi pubblicato nel 1983 e così commentano: Costanza: quello che non mi torna è che essendo uscito questo libro nell’83…come fa lui a sapere? Che vengono ricollegati nell’82?…é questo…Francesca: quando l’ha scritto il libro? Costanza: nel 1983. Francesca: Ahhhh! Costanza: capito! È questo che non mi torna, ci deve essere qualcosa!…é impossibile che gli abbiano detto qualcosa a lui e non sia stato pubblicato…da lui…capito? Francesca: scusami…lui cosa…lui…lui parla di tutti i sardi, sì? Costanza: no! Lui parla solamente che viene ricollegato attraverso un maresciallo…che si chiama Fiore…Francesco Fiore…a quello prima…che è dall’82…inc… Francesca: sì, sì, si e può darsi che a luglio quando è stato depositato tutto qualcosa fosse uscito! Costanza: capito?…però fino alla fine di settembre non dicano niente i giornali…per quello voglio andare avanti! (All. 20).

Come risulta dalle emergenze investigative sopra citate, che vanno ad aggiungersi agli altri elementi riferiti nelle precedenti note, tra cui quella contraddistinta dal numero di protocollo 133/2005 del 2.3.2005, la personalità di Francesco Calamandrei si presenta abbastanza complessa.

E’ risultato, infatti, tra l’altro che:

  • è stato dedito all’alcol e alla droga;
  • presenta problematiche di natura psichica, come emerge chiaramente dalla lettura dei suoi scritti e come testimonierebbero i suoi ricoveri ospedalieri nel “solito” reparto psichiatrico;
  • sotto l’aspetto della sua sessualità è indicato dalle donne con cui ha convissuto nel tempo come un impotente con spunti di vera e propria depravazione;
  • per gli incontri di natura sessuale non disdegna i cosiddetti “festini a luce rossa” con più donne e uomini, così come testimoniato in particolare da Marzia Pellecchia e come risulta dal contenuto di alcune conversazione intercettate e intercorse con gli amici Franco Jatta e Valeriano Raspolini;
  • è particolarmente interessato a temi di natura esoterica – magica, come comprovano i documenti sequestrati nel corso della perquisizione domiciliare e come asseriva Pietro Pacciani;
  • è un soggetto pericoloso tanto da avere detenuto e portato illegalmente per diversi anni armi da sparo.

Le recenti dichiarazioni rese al P.M. di Firenze in data 17.1.2005, qui inviate con delega d’indagine del 29 marzo 2005, dall’ergastolano Mario Vanni forniscono un ulteriore apporto conoscitivo a quanto testé detto.

Nel citato verbale, si legge: quanto alla presenza di Pacciani e di Lotti, Vanni dichiara che è stato lui a presentarli al Calamandrei; in un primo tempo il Pacciani e, in un secondo tempo, il Lotti. Chiarisce, a domanda, che fu Calamandrei a voler conoscere il Pacciani. Chiesto a Vanni come mai Calamandrei manifestò di voler conoscere Pacciani, Vanni più volte ribadisce che il tema era quello delle medicine. Fatto presente a Vanni che appare strano che Pacciani avesse necessità di parlare col farmacista di San Casciano, visto che c’era una farmacia anche a Mercatale e che comunque egli ha detto che fu Calamandrei a mostrare interesse per Pacciani, Vanni chiarisce, a ulteriore domanda del P.M., che in effetti il Calamandrei intendeva unirsi a loro per andare a prostitute a Firenze. Vanni, a cui più volte viene fatta la domanda, non sa dire perché Calamandrei volle unirsi a loro. A domanda, precisa comunque che le prostitute in questione erano conosciute da Pacciani e da lui Vanni.

Circa l’epoca delle trasferte a Firenze col Calamandrei per andare a prostitute, Vanni precisava che i due figli del farmacista, con lui conviventi, potevano avere all’incirca dieci anni. Questo dato temporale può far collocare gli episodi agli inizi degli anni 80 e, più precisamente tra 1’80 e l’83 considerato che i due figli del Calamandrei sono nati, Marco, il 13.2.1973, e Francesca, il 1.7.1970.

Nella medesima circostanza del 17.1.2005, Vanni riconosceva in una foto di Francesco Narducci un amico del Calamandrei.

A tal proposito nel verbale si legge: Vanni dichiara di aver visto questa persona qualche volta col Calamandrei. I due erano amici e tra loroparlavano di prostitute. Riferisce che si tratta di una persona senz’altro più giovane di tutti loro, che vestiva in modo elegante e che era di “fori”. Era abbastanza magro e un po’ più basso del Vanni medesimo. Viaggiava con un’auto grossa a quattro porte verde, che indica inizialmente con un’auto Volkswagen e poi un’auto tedesca. Dichiara di essere salito anche lui su quest’auto, condotta dal giovane, con Pacciani e Calamandrei. Il motivo era sempre quello di andare sempre insieme a prostitute a Firenze. Questa persona gli ha detto che aveva una casa a Mercatale, ma Vanni non c’è mai stato. Gli ha detto inoltre di chiamarsi Giovanni e di fare il muratore.

Circa l’autovettura grossa a quattro porte verde del sedicente Giovanni, va detto che con tutta probabilità si trattava della Citroen CX del Narducci, che per l’appunto era di colore verde a quattro porte e della quale il Narducci ne ha avuto il possesso a partire dal 2.7.1985. Ciò comprova che i rapporti tra il Calamandrei e il Narducci possono essere datati anche al periodo successivo al 2 luglio 1985 e quindi all’epoca dell’ultimo duplice omicidio del cosiddetto “Mostro”.

Le dichiarazioni del Vanni indubbiamente forniscono il primo passo di rilievo del condannato per contribuire all’accertamento di una verità più completa.

Lo stesso, infatti, sembra di aver incominciato ad abbandonare, quanto meno in relazione alle sue frequentazioni e ai reali motivi di tali frequentazioni, quell’atteggiamento di totale chiusura nei confronti degli inquirenti che aveva dimostrato a partire dal 1990 allorché per la prima volta era stato sentito dagli inquirenti in merito ai suoi rapporti con Pacciani (verbale del 19.7.1990: ho conosciuto Pacciani circa dieci anni fa; la conoscenza e la successiva amicizia è derivata soltanto dal fatto che io facevo il portalettere e così l’ho conosciuto. Di lui non so niente…con il Pacciani i miei rapporti si limitavano soltanto nel bere un bicchiere di vino insieme alla “Cantinetta” di San Casciano. Circa la personalità del Pacciani nulla so dire. Nulla so di relazioni del Pacciani con donne sia di carattere sentimentale che mercenario. Io con lui non sono mai andato a donne e neppure abbiamo mai parlato di donne…ripeto che il Pacciani non è mai venuto a donne con me (All. 21). Dichiarazioni rese il 10.7.1991 in occasione della perquisizione domiciliare eseguita nei suoi confronti: Per completezza intendo precisare i miei rapporti con il Pacciani: con costui andavo a fare merende e a bere vino nelle osterie di San Casciano, Vadigondoli, Cerbaia, Montespertoli e paesi limitrofi. Io e lui, ma separatamente, facevamo all’amore con una donna di Sambuca, tale Antonietta, vedova Malatesta, il cui marito ho saputo essersi impiccato (All. 22). E di ❝merende” ha continuato a parlare sia al processo a carico di Pacciani, dove è stato sentito come persona informata dei fatti, sia nel  processo a suo carico).

Oggi, invece, finalmente sembra aver rotto i freni che lo vincolavano a mantenere segreti certi rapporti con Pacciani e con gli altri del gruppo e fornisce, oltre a importanti conferme delle risultanze investigative perseguite nel corso delle indagini sui possibili “mandanti”, anche – e soprattutto – elementi si grande rilievo investigativo, come il fatto che, in pratica, il Pacciani sarebbe stato “arruolato” da Francesco Calamandrei. E questo con tutta probabilità nell’arco di tempo compreso tra l’ottobre 1981 e il giugno 1982, quando nell’esecuzione dei delitti si notano diversità operative e quando incominciarono ad affluire nelle tasche del Pacciani notevoli somme di denaro, oltre al fatto che, come noto, Lotti riconduce il proprio coinvolgimento nei fatti di sangue proprio a partire dal delitto di Montespertoli, proprio quel delitto, dopo il quale nel locale del Ponte Rotto il Lotti aveva fatto pensare di essere a conoscenza di qualcosa (verbale di Fantappié Leda al P.M. di Firenze del 25.1.2005: …l’episodio accadde nel nostro locale, se mal non ricordo, il lunedì successivo al duplice omicidio di Baccaiano. Io ero al banco e vi erano tre o quattro avventori, che adesso non posso ricordare stante il tempo trascorso, intenti a parlare del delitto, che era un po’ l’argomento del giorno. Ricordo che uno di loro chiese a Lotti, lì presente, cosa ne pensasse. Il Lotti si discostò non volendo partecipare alla discussione e disse distintamente che non sapeva nulla, che lo lasciassero stare “se non chiacchierava troppo”. Lo disse più volte e in modo da far pensare che sapesse qualcosa, tanto che io mi arrabbiai, alzai la voce e gli dissi che se aveva delle informazioni doveva andare a esporle ai carabinieri. Il Lotti però fece la spesa e se ne andò. Mi fece tanto arrabbiare che per un momento pensai di andare io dai carabinieri. Forse se lo avessi fatto sarebbe stato meglio…).

Le frequentazioni di prostitute fiorentine da parte del gruppo – oggi sufficientemente ricomposto grazie anche alle dichiarazioni del Vanni, che con tutta probabilità ha preferito tacere altri fatti e altre circostanze  potrebbero aprire uno spiraglio investigativo sulle uccisioni di almeno quattro prostitute, ammazzate a Firenze tra il 1982 e il 1984, proprio negli anni delle escursioni fiorentine del gruppo per incontri sessuali con prostitute. A ciò va soggiunta la circostanza, non trascurabile, secondo cui il Vanni era solito andare presso tre di queste prostitute uccise, così come dichiarato da Lorenzo Nesi (verbale del 4.4.2003: … Vanni mi parlava bene di quella prostituta del Ponte di Ferro che poi fu ammazzata. Mi diceva che era una donna gentile e non la solita prostituta che badava solo a prendersi i soldi. Da questa donna capii che andava spesso e volentieri. A me mi spiegò che era un posto elegante e lui si trovava bene proprio perché era una donna gentile. Quando si seppe che fu uccisa commentò dicendo che “gli era saltato un altro punto dove andare”. Disse questo perché non era la prima prostituta da lui frequentata che veniva uccisa. Posso dire che Vanni frequentava altre prostitute uccise a coltellate, quale quella di via dei Canacci e un’altra di cui non ricordo il nome (All.23). Ancor prima, in altro verbale del 28.1.1999, a proposito della prostituta uccisa che abitava nei pressi di Piazza Ferrucci, alla quale aveva fatto cenno nel corso del suo interrogatorio del 4.7.1997 davanti alla Corte di Assise di Firenze nel dibattimento del processo a carico di Vanni Mario + tre, aveva spiegato: ricordo bene che Vanni mi parlò in maniera molto entusiasta di questa donna. Mi diceva che si trattava di una donna molto gentile, con una casa arredata bene presso la quale lui si trovava bene nei rapporti sessuali. Posso dire che sicuramente Vanni frequentò a lungo questa prostituta perché, conoscendolo bene, lui era un tipo che, quando si trovava bene con una prostituta, andava per periodi continui, anche due volte alla settimana. Era in pratica un cliente fisso. Posso anche dire che nel periodo in cui frequentava questa prostituta, Vanni mi invitò ad andare con lui, ma non vi fu l’occasione anche perché, dopo qualche tempo, appresi dai giornali che era stata ammazzata una prostituta che abitava proprio in quella zona e che Vanni, su mia richiesta, mi confermò che si trattava proprio di quella puttana di cui mi aveva parlato. Posso anche dire che l’episodio dei peli di pube di cui mi parlò Vanni, facendomeli anche vedere, lo posso collocare in quel periodo di tempo in cui Vanni mi parlò di quella donna…vidi i peli, contenuti nella busta in mano a Vanni e non si trattava di pochi peli, bensì di un ciuffo di peli tagliato…quando lessi la notizia dell’uccisione della prostituta ne parlai con Mario, che mi confermò che era quella la prostituta dove lui andava e dove intendeva portarmi. Nel riferirmi ciò, non notai alcun turbamento in Vanni, che si limitò ad aggiungere che era un periodo che ammazzavano le prostitute. Non mi sembrò però assolutamente dispiaciuto di quella morte…All. 24)

Inoltre, va sottolineato che anche queste dichiarazioni di Mario Vanni forniscono una indiscutibile riprova, non solo delle frequentazioni di prostitute da parte di Narducci e di Calamandrei, ma anche delle circostanze, ben articolate, raccontate da Marzia Pellecchia circa i “festini” ai quali lei aveva partecipato prostituendosi e nei quali c’erano diverse persone, tra cui quelle dalla stessa riconosciute nelle foto di Pacciani, di Lotti, di Vanni, di Narducci (il medico di Prato con problematiche sessuali) di Calamandrei, di Francesco Vinci (con cui aveva avuto rapporti sessuali), di Zucconi Giulio Cesare, di Gian Eugenio Jacchia (un tipo proprio strano “vizioso”, nel senso di pervertito e notai che a lui piaceva farsi toccare nelle parti intime).

Rimane quanto mai sospetto però il fatto che il Vanni, tra le prostitute, non abbia menzionato quelle uccise, delle quali era cliente, e in particolare Clelia Cuscito, la “prostituta gentile” della quale era un cliente fisso. Un caso, questo della Cuscito, nel cui contesto era stato redatto un identikit di una persona sospetta che presentava forti somiglianze con la persona di Giancarlo Lotti. Costui, peraltro, sentito dal P.M. di Firenze il 26.3.1999, mostratogli l’identikit, dichiarava: guardando bene la somiglianza c’è (All. 25).

A proposito sempre delle frequentazioni delle prostitute da parte del gruppo di persone in questione, giova richiamare in particolare due parti delle dichiarazioni rese dall’avvocato Pietro Fioravanti e dalla Ciulli Mariella.

L’avvocato Fioravanti, nel riferire le confidenze ricevute dal Pacciani, oltre ad aver raccontato che quest’ultimo gli aveva indicato quale persona coinvolta nei delitti delle coppiette fiorentine il farmacista Francesco Calamandrei, aveva spiegato di aver saputo dal cliente del collegamento di 10 omicidi di prostitute avvenuti in Toscana ed Emilia e dei sette delitti di Firenze, tutti a suo dire di matrice demoniaca e satanica (verbale del 5.12.2002 All. 26). E ancora davanti al P.M. di Perugia un data 22.1.2003, il legale aveva precisato: …oltre all’attività magico sessuale che ho descritto, il Pacciani alludeva anche a rapporti di pedofilia che avrebbero coinvolto non i cosiddetti “compagni di merenda” ma soprattutto persone altolocate…il Pacciani sottolineava in particolare il ruolo del farmacista di San Casciano, dr. Calamandrei, sempre in relazione alla vicenda del “Mostro di Firenze” definendolo ironicamente “bel soggetto”…Narducci, a quanto riferitomi dal Pacciani, era inserito in questo ambiente, e questo l’ho saputo anche per degli accertamenti che ho fatto di mia iniziativa ma sempre nell’ambito della difesa Pacciani. Oggi sono sicuro, rivedendo tutto in maniera retrospettiva, che le indagini sulla morte del Narducci furono bloccate sia a Firenze che a Perugia forse anche per un intervento esterno (All. 27)

Le dichiarazioni del Vanni confermano altresì quanto affermato da più testi, in particolare da Lorenzo Nesi e Fernando Pucci, circa la frequentazione da parte del gruppo di vari esercizi pubblici, tra cui il ristorante al Ponte Rotto (Pucci, in sede di assunzione di informazioni in data 4.8.2003, tra i frequentatori di Lotti da lui visti presso il citato ristorante, riconosceva le persone raffigurate nelle foto che riproducevano Parker Robert, Achille Sertoli, Gian Eugenio Jacchia, Francesco Narducci, Francesco Calamandrei – All. 28).

Anche Matteuzzi Silvano, all’epoca dei fatti su cui si sta indagando titolare del locale “Da Cencio” al Ponte Rotto, in sede di assunzione di informazioni del 26.8.2003, dichiarava che nel gruppo di persone frequentate da Giancarlo Lotti, da lui viste nel suo locale, c’era Mario Vanni, Oliviero Dori, tale Fusi, Francesco Calamandrei. Lo stesso Matteuzzi specificava che Vanni si accompagnava per le cene nel suo locale con gruppi di gente benestante di San Casciano.

In considerazione di quanto sopra, si segnalano le ipotesi criminali di porto e detenzione illegale di armi a carico di Calamandrei Francesco, di Mario Spezi e di Ciulli Mariella (per questi ultimi due verificatesi in territorio di Sant’Angelo in Vado nella prima quindicina del mese di settembre 1969). Per Calamandrei, invece, oltre alla detenzione e al porto della pistola dall’agosto 1968 fino a data imprecisata del 1985, sussiste l’ipotesi di detenzione e porto illegale della pistola Beretta calibro 9 di proprietà del genitore dalla data della morte di questi (19.2.1971) a data imprecisata del 1985.

A proposito di Francesco Calamandrei, si segnala anche l’opportunità di voler richiedere al competente GIP l’ordinanza di custodia cautelare, anche in considerazione di alcuni eventi che si sono registrati recentemente. Si intende fare riferimento alle velate minacce patite ad opera del Calamandrei dalla testimone Tamara Martellini, così come risulta dall’annotazione del Luogotenente Mario Fringuello e dell’appuntato Danilo Paciotti del 17.3.2005 (All. 29), nonché all’episodio verificatosi tra il 1 e il 4 dicembre 2004 ai danni della testimone Rossana Mascia, che ha subito un danneggiamento alla propria abitazione verosimilmente mediante l’esplosione di un colpo d’arma da fuoco contro una finestra che fortunatamente non ha arrecato danni a persone (All. 30). Circostanze, queste, che denotano ancor di più la pericolosità di Francesco Calamandrei.

Inoltre, ritiene utile sottolineare, ancora una volta, la necessità di ulteriori approfondimenti investigativi (non richiesti allo stato dal P.M. di Firenze con la delega del 29.3.2005, ma della necessità dei quali si è già riferito in particolare nelle articolate note del 3.12.2001 e nell’ultima, la 133 del 2.3.2005) sui seguenti personaggi:

  1. Gian Eugenio Jacchia, nato a Padova il 20.11.1932, già indagato per il reato di favoreggiamento personale, per i seguenti motivi:
    • plurime dichiarazioni testimoniali lo collocano come facente parte del gruppo individuato (in particolare, Pucci Fernando e Marzia Pellecchia);
    • il suo nome è emerso anche in conversazioni telefoniche registrate nell’ambito del procedimento penale perugino (Gianni Spagnoli, suocero di Francesco Narducci, dichiarava: mia moglie notò Francesco col Prof. Jacchia che parlavano fitto fitto tra di loro mentre facevano il bagno per circa mezz’ora; Bona Franchini, moglie di Gianni Spagnoli, conversando al telefono con una certa Federica e commentando la frequentazione dello Jacchia, chiamato “Giangi”, da parte di Francesco Narducci, ad un certo punto aveva abbassato il tono della voce quasi per non volersi far sentire dall’interlocutrice e, dando l’impressione di rivolgersi a una persona che le stava in quel momento vicino, aveva detto: gliel’ha dati lui, con tutta probabilità intendendo fare riferimento ai famosi “feticci” – telefonata n. 68 del 9.6.2002, ore 09.55 sull’utenza di Gianni Spagnoli -; lo Jacchia, in altra telefonata registrata, conversando col proprio amante “Salvo” e commentando la perquisizione subita quel giorno e l’interrogatorio in Questura, aveva detto: lui ( riferendosi a “questo della Mobile”) mi ha chiesto che cosa pensavo del coso di Firenze…del processo sul Mostro di Firenze…e ho detto che la cosa era cominciata…è cominciata come una tragedia ed è finita come una buffonata…va bene…o sta finendo come buffonata…ehh…lui mi ha detto…ma come, professore, ci sono io che mi occupo di questa cosa…c’è tutta la magistratura…meno male che non mi era venuto in mente…che il…quello che…ha fatto tutto…come si chiama…il Procuratore Generale di Firenze…che adesso comanda l’antimafia…e che aveva fatto tutto lui…e non gli ho detto quello che volevo dire…perché l’ho detto a lui personalmente perché ero amico…e lui ha smussato la cosa…inc…processi molto difficili…eccetera, ma non c’entra questo…inc…questa battuta… Salvo: e ti hanno indagato…per favoreggiamento…per una battuta del genere… Jacchia: sì (All. 31);
    • Pacciani, nelle sue confidenza all’avvocato, aveva indicato, quale componente del gruppo coinvolto nella vicenda, un medico ortopedico che non era capace di trombare. (Lo Jacchia, omosessuale e pregiudicato per abusi su minorenni, suoi pazienti – è stato condannato con sentenza del G.I.P. del Tribunale di Firenze, emessa in data 11.12.1997, alla pena di anni due di reclusione per il reato di violenza sessuale -, è stato Primario della prima Clinica Ortopedica e Direttore dell’Istituto di Clinica Ortopedica del Centro Traumatologico di Firenze e, tra i personaggi identificati come facenti parte del gruppo, è l’unico medico ortopedico, peraltro omosessuale. Lo stesso inoltre risulta aver fatto parte della Loggia Massonica “Michelangelo” di Firenze);
    • nella perizia di natura chimico fisica su depositi presenti nella superficie dei bossoli rinvenuti sul luogo dell’ultimo duplice omicidio, eseguita su incarico affidato dalla Procura della Repubblica di Firenze in data 28.11.1985 ai periti IadevitoD’Uffizi e Crea, furono rilevati tracce di zinco e particelle di solfato di calcio, e cioè gesso, nonché residui di grasso al silicone, che avevano fatto pensare a collanti a base di zinco, quali ad esempio quelli utilizzati nel campo ortopedico;
    • ci sono ragionevoli motivi per ritenere che proprio lo Jacchia, data la pregressa conoscenza e frequentazione con i Narducci e anche con Francesco Narducci, possa essere stato colui che ha introdotto quest’ultimo nell’ambiente di San Casciano facendogli conoscere il Calamandrei e gli altri componenti del gruppo.
  2. Giuseppe Jommi, nato a Montappone il 27.10.1932, già sentito quale persona informata dei fatti e chiaramente reticente, per i seguenti motivi:
    • deve aver conosciuto Francesco Narducci quanto meno nel periodo di tempo in cui questi possedeva la Citroen CX di colore verde, e cioè negli ultimi mesi di vita del medico perugino, sia per i riferimenti fatti alla sua amante dell’epoca, Jorge Alves Emilia Maria, sul proprio amico “Francesco di Foligno”, sia per il fatto che l’Alves in una occasione vide l’amante con una macchina di colore verdino targata Perugia, che corrisponde a quella del Narducci;
    • era solito lasciare l’auto nel parcheggio dell’ospedale di Ponte a Niccheri e in quel posto la notte successiva al delitto degli Scopeti fu rinvenuto un proiettile calibro 22 risultato della stessa marca e serie di quelli utilizzati per gli omicidi;
    • aveva amici a San Casciano che andava a trovare, tra cui tale Corsi, avvocato (l’avvocato Alberto Corsi, come noto, è stato imputato per favoreggiamento nel processo a carico di Vanni + tre, poi assolto, ed è parente di Francesco Calamandrei);
    • Mario Spezi, prima che venisse indagato Pacciani, aveva chiesto alla Alves se Jommi avesse a che fare con le messe nere e coi riti satanici;
    • prima della scoperta ufficiale delle ultime vittime del “Mostro”, aveva anticipato il delitto alla Alves;
    • la moglie dello Jommi, Ada Pinori, era proprietaria di un appartamento, sito in via Benedetto Marcello, 45, di Firenze, presso il quale aveva abitato la famiglia di Susanna Cambi, una delle vittime del “Mostro” (subito dopo il delitto e prima ancora che i cadaveri venissero scoperti, presso l’abitazione di una zia, dove la famiglia Cambi era andata ad abitare, era giunta una telefonata con cui un ignoto interlocutore aveva chiesto di poter parlare con la mamma di Susanna, ma poi la linea era caduta e l’anonimo non aveva più richiamato).

Alla luce di quanto sopra ricapitolato nei riguardi dello Jacchia e dello Jommi, si insiste sulla necessità degli approfondimenti della loro posizione, anche mediante l’acquisizione del loro gruppo sanguigno.

Come pure, alla luce di quanto sopra, a giudizio di quest’ufficio, appare utile un approfondimento investigativo anche sulla morte di Pietro Pacciani.

Costui, infatti, ormai sembra abbastanza chiaro è stato il componente di spicco del gruppo criminale operativo che ha agito dal 1982 in poi e sicuramente doveva essere a conoscenza di tanti altri fatti e dettagli dell’intera vicenda del “Mostro di Firenze”, che con tutta probabilità avrebbe potuto rivelare (sono significative le confidenze al legale!) per non essere lui solo a pagare per altri fatti che non aveva commesso e, soprattutto, per non passare davanti all’opinione pubblica, non solo nazionale, come il “Mostro di Firenze”, l’unico serial killer responsabile di tutti quanti i delitti. Significativi sono peraltro i suoi messaggi criptici, che inviava pubblicamente tramite gli organi di stampa, soprattutto nelle more della celebrazione del processo di appello a suo carico, nei quali affermava che il “vero Mostro” non era lui, ma chi aveva ucciso anche Vinci Francesco, Milva Malatesta e il figlioletto e la prostituta Milva Mattei.

E’, quindi, ragionevole ipotizzare che Pietro Pacciani stesse diventando un personaggio non più affidabile per chi l’aveva “arruolato” e di conseguenza a rischio per tutti quei personaggi altolocati implicati nella vicenda. Tale ipotesi peraltro è avvalorata dal fatto che aveva incominciato ad aprirsi col proprio legale facendo riferimento, quale persona coinvolta nei delitti, proprio a Francesco Calamandrei.

Inoltre, le circostanze della morte di Pietro Pacciani sono apparse alquanto strane per i seguenti motivi:

  • la posizione del cadavere: era riverso per terra, bocconi, semi nudo nella parte dall’addome in giù. In pratica presentava i pantaloni abbassati al punto da lasciare scoperto buona parte del sedere e la maglia alzata: una posizione che difficilmente avrebbe potuto assumere con una caduta spontanea;
  • lo stato dei luoghi: la porta di ingresso e le finestre furono trovate tutte quante spalancate, mentre risultava che era solito starsene ben chiuso in casa soprattutto quando incominciava a fare buio (Sul punto sono abbastanza precise le testimonianze dei vicini di casa e, in particolare, quella di Ivana Bussotti, che, sentita il 23.2.1998 dai carabinieri di San Casciano dichiarava: …solitamente il Pacciani Pietro si ritirava in casa verso le ore 18.30 e notavo ciò in quanto chiudeva la porta di casa e le persiane delle finestre…l’ultima volta che ho visto Pietro Paciani è stata venerdì 20 scorso. Erano le 18.30 – 18.45 circa. Era quasi buio e notavo che come era sua abitudine stava chiudendo la porta di casa e le imposte. Dopo di allora non l’ho più rivisto. Sabato 21 scorso ho notato verso le 9.30 che le imposte e la porta di casa erano chiuse, ma la cosa era normale. Poi la sera, verso le 18.30, ho notato che la porta era aperta. La cosa mi stupì un po’, ma non detti importanza. A volte il Pacciani si comportava in modo strano. Domenica 22 corrente, la mattina, verso le 7-7.30, dalla finestra della mia cucina ho avuto modo di vedere che la porta di casa del Pacciani era sempre aperta, così come l’avevo vista la sera precedente. Mi stupii di ciò, ma continuai  nelle mie faccende. Poi nel corso della mattinata avevo sempre modo di vedere tale situazione, ma non ho mai visto il Pacciani. Era sua abitudine stare in giardino. Mi stupì la completa assenza di rumori. Solitamente lo si sentiva anche tossire e verso le ore 12.00 feci presente tale cosa al mio vicino Rosati Rolando. All. 32). L’esame autoptico fece risalite l’ora della morte alle 22.30 circa del 21.2.1998, in un’orario in cui quindi normalmente tutte le aperture (porta e finestre) dovevano trovarsi completamente serrate;
  • la morte era stata causata da “insufficienza cardiaca con edema polmonare in recente infarto del miocardio in soggetto con cardiomegalia per ipertrofia ventricolare sinistra e sfiancamento globale di cuore”, come risulta dalla relazione di consulenza tecnica depositata dal Prof. Giovanni Marello in data 28.4.1998 (All. 33);
  • successivi approfondimenti medico legali sui liquidi biologici prelevati dal cadavere e conservati in stato di congelamento, disposti dal P.M. di Firenze, nel mese di ottobre 2001 e affidati ai medici tossicologi Francesco Mari e Elisabetta Bertol, consentivano di accertare che Pietro Pacciani aveva assunto un medicinale a base di formoterolo, e cioè una sostanza che era assolutamente controindicata rispetto alle patologie di cui era affetto (diabete e problemi cardiocircolatori). Si stabiliva, quindi, che quel medicinale avrebbe causato o concausato uno squilibrio delle cellule del miocardio con conseguente forte aritmia e infarto. In buona sostanza si sarebbe trattato di una morte non naturale, ma indotta dall’assenza dei normali farmaci che Pacciani avrebbe dovuto assumere e dalla presenza di un farmaco controindicato;
  • all’atto dell’intervento dei carabinieri nella casa di Pacciani, i carabinieri constatavano in particolare che: le due porte di ingresso erano aperte così come quella della cantinetta posta nel giardino di casa; le luci erano tutte spente; la cucina era in completo disordine; per terra c’erano stick di pillole medicinali; la camera da letto presentava il letto disfatto da un lato e non era illuminato da luce artificiale (All. 34);
  • nel corso della perquisizione domiciliare, veniva rinvenuto un medicinale contenente il formoterolo fumarato, denominato “Eolus” aerosol, che ha come indicazioni “la prevenzione e il trattamento del broncoplasmo in pazienti con broncopneumopatie ostruttive, quali asma bronchiale e bronchite cronica” e come controindicazioni: “non deve essere utilizzato dai pazienti con malattie cardiache e/o della tiroide”, mentre nelle precauzioni d’impiego è previsto che “è opportuno che i pazienti diabetici eseguano periodici controlli della glicemia”. Un medicinale che era controindicato per i problemi cardiocircolatori e per il diabete di cui Pacciani era affetto;
  • il medico di Pietro Pacciani, dottoressa Anna Maria Gambassini, sentita in merito al rinvenimento di una ricetta, da lei rilasciata a Pacciani nella quale figurava la prescrizione dell’Eolus Spray (due scatole unica ricetta trovata nelle copie agli atti di questo medicinale, di cui però nelle foto delle medicine trovate in casa risultano tre scatole! (All. 35)), riconosceva come propria la ricetta con data “19.4.1997” (quindi di quasi un anno prima della morte), ma spiegava di non ricordare di avere mai prescritto quel farmaco al paziente, né medicinali per la respirazione nell’ultimo periodo di vita del Pacciani. La stessa poi spiegava che l’ultima volta che si era recata a visitare il paziente si era accorta che respirava male, ma non gli prescrisse alcun farmaco spray, né gli disse di prendere un simile farmaco per la respirazione, ma gli aveva consigliato il ricovero e di prendere un diuretico (all. 36);
  • sul quotidiano “La Nazione” del 1.4.2001, alla pagina IV della cronaca di Firenze, veniva pubblicato un articolo dal titolo “Pacciani, l’autopsia parla” nel corpo del quale venivano riferite dichiarazioni attribuite dall’articolista a tale Celso Barbari, meglio conosciuto come “il pittore dell’appennino”. In particolare, si diceva: “una testimonianza potrebbe rivelarsi interessante, seppur tutta da verificare. Celso Barberi, meglio conosciuto come il pittore dell’appennino, ha raccontato che parlò al telefono con Pacciani poche ore prima che morisse. Lo volevo salutare, ricorda, era più di un mese che non lo sentivo. Fu sbrigativo perché mi disse che aveva un erborista in casa e che aveva da fare con lui. Un erborista? Sì, mi disse così, parlava con accento toscano (All. 37). Al riguardo, si riferisce che l’utenza telefonica di Pietro Pacciani (055/821140) all’atto della sua morte era sotto controllo telefonico e, precisamente, l’attività tecnica aveva coperto l’arco di tempo dal 30.8.1997, ore 19.03, al 26.2.1998, ore 19.03 e dal relativo brogliaccio non risulta assolutamente la telefonata di cui parla il Barberi. Le ultime telefonate sono del giorno 20.2.1998 (il venerdì precedente al decesso) e sono state le seguenti: la n. 430 delle ore 19.31, con la quale viene offeso da un interlocutore ignoto e lui contraccambia le offese; la n. 431 delle ore 21.46 relativa ad uno scherzo. L’ultima telefonata precedente è delle ore 12.16 del 14.2.1998, risultando così che negli ultimi sei giorni di vita non ha fatto né ricevuto telefonate. Non risulta pertanto alcuna telefonata di Celso Barberi, così come da questi affermato, per cui, se effettivamente c’è stato il contatto telefonico, esso deve necessariamente essere avvenuto mediante altra utenza telefonica, magari fatta su un cellulare di chi si trovava con Pacciani e che “parlava toscano”, ma in questo caso il Barberi doveva pur conoscerlo e, forse per non metterlo di mezzo, ha preferito far credere che l’avesse chiamato sull’utenza di casa non sapendo che questa era sotto controllo. Oppure ancora il Barberi ha mentito tirando in ballo la presenza di un erborista per motivi che si sconoscono. Il Barberi in realtà aveva il numero telefonico del Pacciani perché risultano conversazioni telefoniche registrate tra i due in epoca antecedente, come pure risulta che il Pacciani in una occasione lo ospitò per la notte insieme a una certa Maria nella casa che aveva accanto alla sua. Nei giorni ancora precedenti Pacciani riceveva numerose telefonate da anonimi, con le quali veniva offeso o gli venivano fatti scherzi. Da un riesame del brogliaccio in questione, risultano conversazioni con Suor Elisabetta che si preoccupava delle condizioni di salute di Pacciani e con Gagliardi che si interessava delle sue vicende personali, nonché le seguenti telefonate: n. 26 delle ore 20.18 del 10.9.1997: una certa Antonietta lo chiama e gli chiede se è interessato a fare un corso per il computer; n. 31 e n. 34 del 14.9: una certa Alessandra Ottieni, che si definisce critica d’arte, lo chiama e gli dice che è interessata ai suoi disegni. Le risponde che i disegni li hanno Cannella e Gagliardi e fornisce indirizzo e numeri di telefono di costoro; n. 40 delle ore 14.34 del 19.9.: Pacciani chiama Gagliardi e gli riferisce della critica d’arte Ottieni che vuole fare un libro e che, almeno così si capisce, gli sarebbe stata mandata da quelli di Roma; n. 96 delle ore 02.40 del 6.10: chiama suora Elisabetta e le dice che va da Don Gino Capannossi chiedendole se va con lui; n. 154 e n. 156 delle ore 17.27 e 17.28 del 24.10: chiama la dottoressa Gambassini e risponde la segreteria telefonica; n. 158 delle ore 17.31 del 24.10:Alessandra Ottieni chiama un medico per un controllo alla glicemia di Pietro. In sottofondo si sente la voce di Suora Elisabetta; n. 159 delle ore 17.40 del 24.10: Alessandra Ottieni cerca il dottor Marini (n. 64490) e le rispondono che non lo conoscono; n. 160 delle ore 17.43 del 24.10: Alessandra Ottieni cerca il dottor Magherini (64490) e le dicono che non c’è; dal 25 al 29 ottobre ci sono telefonate dalle quali si capisce che in quel periodo è stato ricoverato in ospedale; l’1.11. chiama la guardia medica per farsi portare le medicine; l’11.12 si lamenta con Gagliardi perché questi gli ha mandato a casa dei giornalisti di “Visto” per intervistarlo; il 5.12., parlando con Suora Elisabetta, riferisce di sospettare il ragazzo che sta con la figlia Rossana come l’autore delle telefonate anonime offensive; 6.12.1997 ore 12.26: ordina il vino al Francioni che glielo porterà martedì; n. 279 delle ore 12.01 del 7.12: un uomo gli dice di cercare Zanobini e lui si arrabbia; n. 283 delle ore 8.05 del 9.12: chiama Sergio (821008) e gli chiede quando andrà da lui. Gli viene risposto tra le 11.30 e le 12; n. 290 delle ore 19.26: Elisa gli chiede se vuole fare un corso per il computer; n. 303 delle ore 18.14 del 21.12: con suora Elisabetta si lamenta che si è sentito male alla Coop ed è caduto per terra e che soffre di insonnia. Si lamenta anche che la camera è sudicia e per il parroco che non l’ha più visto; n. 307 delle ore 9.37 del 25.12: cerca la dottoressa Gambassini; n. 309 delle ore 9.46 del 25.12: cerca la…(8228335) e dice che è urgente. Non risponde nessuno. Ha il respiro pesante; n. 311 delle ore 11.13 del 25.12: chiama il 118 e dice di sentire un forte dolore al petto. Gli viene mandata la guardia medica; n. 312 delle ore 12.16 del 25.12: telefona Gagliardi e gli risponde la guardia medica che riferisce che Pacciani non vuole andare in ospedale; n. 313 delle ore 12.53 del 25.12: Gagliardi telefona e lui gli dice che è stato male stanotte e che ha un’infiammazione alle vie urinarie per via del peperoncino. Gagliardi gli dice che la scarcerazione di Vanni è a (inc.); il 24.1 sia Rolando che la suora non riescono a convincerlo a andare in ospedale; n. 396 delle ore 17.03 del 3.2.: una donna telefona e gli chiede se la signora è in casa. Risponde di no; n. 409 delle ore 12.03 del 14.2: chiama l’ufficio postale di Mercatale e riferisce che andrà lunedì mattina a riscuotere la pensione (All. 38); n. 424 delle ore 15.33 del 14.2: Barberi Celso telefona a Pacciani per informarsi sullo stato di salute e Pacciani gli risponde di essere a “fare le medicine…di fare con le erbe…c’ho le erbe.” Poi discutono del tempo, quindi Pacciani dice: “gli fo la medicina a quest’omo qui, aspetta sennò va via, poi gli ha furia” (All. 39) (dall’attività risulta quindi che Pacciani aveva un ospite per le erbe il 14 febbraio, e non già il giorno prima della sua morte, come dichiarato dal Barberi). Il Barberi, sentito il 4 aprile 2001, confermava la circostanza della telefonata fatta il giorno prima della morte del Pacciani e, nella occasione, riferiva di aver assistito a un episodio verificatosi nella piazza di Mercatale tra il Pacciani e un pittore (un grande artista che esponeva i suoi quadri nel bar della piazza). Al riguardo spiegava: “Un giorno Pacciani tirò per il dito questo pittore all’interno di un bar li nella piazza. Un giorno Pacciani tirò per il dito questo pittore ma in maniera così dura da avergli fatto male tanto che a me dispiacque e litigai con Pacciani. Pacciani contestava a questo artista il fatto che questi a suo dire lo controllava quando Pacciani stava vicino alle donne lì nelle piazze dove abitavano le figlie del Pacciani (All. 40);
  • sul quotidiano “Il Giornale della Toscana” del 1 aprile 2001, alla pagina 3, venivano pubblicati più servizi sulla morte di Pacciani, tra cui un’intervista a Suora Elisabetta dal titolo “aveva paura di essere ucciso.” Nell’intervista, la suora riferiva che Pacciani aveva paura che qualcuno, notte tempo, entrasse nella sua casa, e questo soprattutto dopo la sua scarcerazione. Poi, più specificatamente, alla domanda dell’intervistatore se Pacciani, quando era stato dimesso dall’ospedale, avesse paura, la suora rispondeva: “certo. Anzi, le dirò di più. Io non vorrei fare confusione con le date, ma dopo la seconda scarcerazione degli anni 90, mi raccontò che una volta, in quel periodo, un signore alto, vestito di nero, aveva suonato al campanello della sua casa. Pacciani era uscito a vedere chi fosse, ma lui questo signore non lo conosceva. Pacciani non aprì il cancello, non lo fece entrare. Eppure quel signore alto, così mi raccontò Pacciani, lo minacciò: “mi ha detto cose minacciose”, mi confidò Pacciani.” In conclusione la suora spiegava che Pacciani non le aveva detto chi fosse quel signore perché non lo aveva riconosciuto, ma le aveva fatto presente che si trattava di “una persona piuttosto elegante” (All. 41);
  • tra il materiale sequestrato nell’abitazione di Pacciani durante la perquisizione eseguita dopo la sua morte, è stato rinvenuto un biglietto manoscritto, verosimilmente da lui stesso, col seguente contenuto: “28 giugno 1992 Madonnina del Rosario e Divino Gesù, Voi lo sapete che sono innocente da queste accuse infami che mi fanno, aiutatemi, non ho nessuno a cui rivolgermi, mi vogliono uccidere, porgi la Tua mano protettrice sui nemici cattivi, Ave o Maria (All. 42);
  • l’Associazione Vittime dell’Ingiustizia in data 22 febbraio 1998 (lo stesso giorno in cui si è appreso della morte di Pacciani) inviava via fax a “La Nazione” un comunicato stampa dal titolo “Vicenda Pietro Pacciani la misteriosa morte di Pietro Pacciani”, nel quale tra l’altro si leggeva: “La settimana scorsa in una concitata comunicazione telefonica avvenuta tra il sig. Pietro Pacciani e il ns Segretario Nazionale Giacomo Fassino, l’anziano agricoltore di Mercatale Val di Pesa aveva espressamente chiesto aiuto all’A.V.I. per la tutela della sua incolumità. Pietro Pacciani, durante questa sua accorata conversazione telefonica, aveva esternato il suo forte timore di essere nel mirino di “forze occulte determinate ad eliminarlo fisicamente per chiudere in maniera definitiva la vicenda relativa al Mostro di Firenze (All. 43).”Giacomo Fassino, Segretario Nazionale della citata associazione, sentito il 2.3.1998, dichiarava di essersi interessato in passato della vicenda giudiziaria di Pacciani, ma negava di aver messo in giro le frasi riportate nel comunicato stampa, negando di avere avuto recenti contatti con Pacciani (All. 44). Una sconfessione, quindi, di un documento della citata Associazione che qualcuno, che evidentemente aveva forti perplessità sulle reali cause di morte di Pacciani, doveva pur aver redatto.

Alla luce di dette emergenze, si chiede alla Procura di Firenze di valutare l’opportunità di riaprire le indagini sulla morte di Pietro Pacciani, apparendo verosimile che si tratti di omicidio, disponendo, tra l’altro, ulteriori approfondimenti medico legali e maggiori approfondimenti sul medicinale “Eolus”, per i quali si chiede di poter rilevare gli estremi dalle tre scatole in sequestro e in possesso del P.M. per gli opportuni accertamenti anche sulla loro provenienza, considerato soprattutto che l’unica prescrizione trovata risaliva a quasi un anno prima e riguardava solo due scatole, mentre in casa furono trovate tre scatole e che non si trattava di un farmaco che normalmente veniva prescritto al paziente. Come pure si chiede di poter ottenere i brogliacci e le bobine delle registrazioni relative all’attività tecnica svolta sul telefono di Pacciani dal 30.8.1997 al 26.2.1998, allo scopo di procedere a una rivisitazione della stessa.

Per la Procura di Perugia, alla luce di quanto già segnalato nelle precedenti note e soprattutto in considerazione delle attuali emergenze investigative, quali le dichiarazioni di Vanni Mario, si rappresenta l’opportunità di valutare l’ipotesi di un possibile coinvolgimento di Francesco Calamandrei nell’uccisione di Francesco Narducci e di quella del “falso” cadavere recuperato nelle acque del Lago Trasimeno la mattina del 13.10.1985, considerato soprattutto il ruolo preminente che il Calamandrei ha avuto all’interno del gruppo individuato e gli stretti rapporti altrimenti inspiegabilmente da lui negati sulla conoscenza e frequentazione col Narducci sicuramente nella partecipazione ai “festini a luce rosse” e nelle scorribande a prostitute fiorentine insieme a coloro che si sono rivelati gli esecutori materiali degli ultimi quattro duplici omicidi del cosiddetto “Mostro di Firenze”.

Inoltre, va rilevato che, dall’attività tecnica di intercettazione telefonica svolta nei confronti di Francesco Calamandrei, è emersa la sua preoccupazione per l’andamento delle indagini perugine (dove non indagato) piuttosto che per quelle fiorentine (dove invece è indagato), e questo comportamento può trovare una plausibile giustificazione solo se si riconduce a un suo coinvolgimento nei fatti sui quali la Procura di Perugia sta indagando. Fatti, che – ormai non sembra possano sussistere più ragionevoli dubbi sia per le molteplici testimonianze in atti, sia per i risultati delle consulenze specialistiche riguardano l’uccisione di Francesco Narducci, quella del “falso” cadavere (ancora da identificare), eseguita con tutta probabilità per coprire la reale morte del medico perugino, nonché tutte quelle condotte criminali (depistagli, falsi documentali e ideologici, favoreggiamenti personali…) messi in atto da più persone, tra cui anche personaggi che ricoprivano importanti ruoli istituzionali, volti a nascondere la verità e a far cadere il silenzio sulla reale morte di Francesco Narducci.

Si allegano gli atti sopra citati in numero di 44, significando che la lettera della signora Ciulli Mariella (all. 1) viene trasmessa in originale al P.M. di Firenze.

Il Responsabile Dott. Michele Giuttari Primo Dirigente della Polizia di Stato

Ministero dell’Interno Dipartimento della Pubblica Sicurezza GRUPPO INVESTIGATIVO DELITTI SERIALI FIRENZE – PERUGIA

Viale Gori 60, 50127 Firenze Fax +3955/3238179

ALLEGATI ALLA NOTA N. 170/05/GIDES DEL 1 APRILE 2005

Seguono allegati

1 Aprile 2005 Nota riassuntiva Nr.170/05/GIDES

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