12 Marzo 1998, 69° udienza, processo, Compagni di Merende Mario Vanni,  Giancarlo Lotti e  Giovanni Faggi per i reati relativi ai duplici delitti del MdF e Alberto Corsi per favoreggiamento.

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Avv. Nino Filastò, Presidente Federico Lombardi, Pubblico Ministero Paolo Canessa

Presidente: Allora Vanni coi difensori, Bagattini, Zanobini, Bertini. Le parti civili… Benissimo. Allora prenda… Va bene? Prego, avvocato Filastò. 

Avv. Nino Filastò: Presidente, Signori Giudici, il profilo della informazione su questo caso purtroppo non è … Ed ecco perché, a scanso di equivoci e di deformazioni, ai Giudici – perché mi interessano loro e soltanto loro – desidero precisare che io ho fatto una ipotesi; una ipotesi che non scalfisce di un millimetro il mio rispetto e la mia considerazione per tutti coloro che, nella Polizia e nei Carabinieri, fanno il loro dovere, oltretutto non poi eccessivamente pagati, per la tutela dei cittadini. In un paese, dove questo dovere, è particolarmente duro da svolgere. Istituzioni e persone che hanno dato e continuano a dare il loro, tributo di sangue. Mi pare di avere già accennato che il mio nonno materno era carabiniere. E qui si tratterebbe, secondo quella mera ipotesi che io ho fatto, di un pazzo. Oltretutto abilissimo – vedi quello che ha detto il dottor Nocentini — a mimetizzarsi. E la mela marcia ci può essere dappertutto: fra i poliziotti, fra gli avvocati, anche fra i magistrati, giù giù, fino ai cittadini di San Casciano. E ho fatto una ipotesi richiamandomi ad una osservazione dell’equipe De Fazio, a un testimone del processo e ad altre osservazioni fatte da me, ricavandole dagli atti. E da qui, il riferimento alla scorta; come uno dei tantissimi esempi di relazione più diretta che un magistrato può avere con un membro dell’istituzione poliziesca. Proprio perché il professor De Fazio ha fatto quella osservazione a proposito della lettera spedita alla Della Monica. Quindi voglio dichiarare qui che conosco benissimo, ne sono consapevole fino a che punto sia rischioso, delicato, ammirevole, e degno di rispetto il lavoro delle scorte. E ho cara l’occasione per rivolgere un pensiero e un ringraziamento anche ai parenti delle vittime, da cittadino a tutti coloro che hanno perso la vita svolgendo questo compito, dal caso Moroa Capaci, a via D’Amelio. Questo lo dico perché, anche perché stamattina, fermandomi dal giornalaio, ho aperto questo giornale che è La Repubblica; il quale giornale, dopo aver relegato l’informazione circa la mia discussione a difesa del signor Mario Vanni di cingile mattinate intere, prima un trafiletto; poi, in quattro righe, nelle notizie in breve. Qui si parlava di quella battuta, scherzosa fatta col dottor Giuttari circa la scommessa. Oggi arriva con questo titolo: “Ritratto di mostro in divisa. Il maniaco è un poliziotto insospettabile e ve lo dimostro.” E a leggere questo articolo sembrerebbe che io vi avessi intrattenuto questi giorni su questa ipotesi di cui mi sono occupato per dieci minuti, perché mi sembrava doveroso, all’interno di una valutazione complessiva di una serie di atti, che mi portavano, come convinzione personale, ad aprire questa ipotesi. Ma non ne parliamo più. Poi, voglio dire, questo giornalista che ha scritto questo articolo, pubblicato in cinque colonne in questo modo, non era nemmeno qui mi ha telefonato ieri sera. Lasciamo perdere. Rioccupiamoci del processo, come ho fatto finora, non facendo altro che citare carte e richiamandomi puntualmente, sempre, sulle carte, sul dibattimento, sulle indagini preliminari, su tutto quel lavoro che c’è dietro questo processo. Facendo da parte mia, fra l’altro, un lavoro piuttosto pesante, eh. Perché no è mica facile approfondire un processo di questa complessità. É un motivo di amarezza, vedere che poi lo sforzo, il lavoro, diventa deformazione giornalistica a questo livello. Allora… . 

Avv. Antonio Giuseppe Mazzeo: (voce non udibile) 

Avv. Nino Filastò: Lo so, lo so. Lo sapevo, ma volevo essere sicuro. Vi ha parlato il Pubblico Ministero di un riscontro obiettivo appellandosi, richiamandovi una ipotesi dei due coltelli che agirebbero sul corpo della povera Nadine Mauriot. E io, per contrastare questo inesistente cosiddetto “riscontro obiettivo”, vi richiamo alle pagine che vanno dalla pagina 62 alla pagina 85 delle deposizioni testimoniali qui in udienza del professor Pierini e anche del professor De Fazio. Richiamandovi in particolare, le pagine: 62, 63,64, 65, 66, 67, 68;. poi la pagina 72, la pagina 74, la pagina 75 e la pagina 84. Per dire che cosa? Ve lo accenno molto brevemente, perché stamattina vado di fretta. Pagina 62, professor… L’avvocato Filastò fa questa domanda al professor Pierini, Dice: “In una certa zona, immaginando idealmente un cerchio come la figura geometrica formata dalla lesione” — si sta parlando dell’asportazione del seno sinistro di Nadine Mauriot – 11 attraverso la quale si arriva all’escissione del seno, si nota parallelamente una lesione, diciamo cosi, principale” – parallelamente alla lesione, diciamo così principale – “una serie, 5-6, piccole lesioni più superficiali che si accompagnano, si collocano parallelamente, rispetto alla lesione principale.” E qui io faccio presente questa circostanza per chiedere al professor Pierini qual è il suo parere circa la possibilità che questi segni siano il prodotto, si tratti di segni di attacco, così li definisco io. Vale a dire: come prove. E questa sarebbe una ipotesi. Poi gli faccio presente che . esiste – anche un’altra ipotesi che è quella per cui il coltello usato sia dotato di un doppio filo di lama. Vale a dire: da una parte la lama vera e propria; dall’altra, una costola zigrinata. Il professor Pierini, immediatamente, mi corregge – a pagina 63 — correttamente. Mi dice:. “Guardi, avvocato, che qui non abbiamo a che fare con delle lesioni nel senso di incisioni; abbiamo a che fare con delle abrasioni. Quindi, non incisione della cute, ma abrasioni. E quindi sappiamo che l’abrasione non incide il derma. E quindi qui non abbiamo una vera e propria incisione del derma.” “E allora, proprio in rapporto a questo fatto” — mi spiega il professor Pierini a pagina 65: “noi infatti abbiamo detto profilo probabilmente zigrinato del coltello.” E abbiamo detto a pagina 59: “Detti meccanismi possono essere amplificati dalla perdita al filo di taglio dovuta alla precedente colluttazione.” Cioè a dire: due ipotesi. Profilo zigrinato del coltello; perdita del taglio, amplificazione di queste abrasioni, corrispondenti alla perdita del filo di taglio dovuto alla precedente colluttazione che sappiamo qual è stata e sappiamo ‘ – – che è quella che ha visto la morte del povero giovane francese. Cioè, noi non sappiamo – dice il professor Pierini — “se lo strumento tagliente era in perfette condizioni d’uso; oppure se avesse mai potuto subire delle alterazioni. In questo caso, il profilo di abrasione, potrebbe essere stato dato non tanto da un tagliente zigrinato, perché così fatto dalla ditta produttrice, ma potrebbe essere dato anche da vizi o nella regolarità nel filo di lama.” Allora, quindi a questo punto, quello che per prima cosa si può tranquillamente escludere, è una azione diversa. Vale a dire che queste lesioni possono essere il prodotto volontario di due azioni diverse: una, quella di chi tenta; un’altra della escissione vera e propria. Questa è una ipotesi assolutamente da scartare. Infatti, alla domanda che io gli faccio: “É più probabile con un reiterato tentativo volontario, prima di compiere questa escissione globale, oppure è più probabile la seconda ipotesi?” Il professor Pierini risponde: “Io vi dico che, se fossero stati dei tentativi” – dice il professor Pierini a pagina 68 “i tentativi sarebbero arrivati all’incisione del derma. Per guanto riguarda invece la seconda ipotesi, vale a dire che siano il prodotto involontario o della zigrinatura del coltello, o delle non perfette condizioni della lama, è compatibile con un movimento” — dice il professor Pierini – “che noi abbiamo ipotizzato a pagina 58, che è quello di abduzione dell’ulna sul radio…”, eccetera, eccetera… Quindi, l’ipotesi compatibile è questa; l’altra non è compatibile. Poi io faccio delle domande, a pagina 72, su quelli che sono sempre i loro accertamenti, avvenuti attraverso il contributo delle immagini computerizzate. E qui, il professor Pierini, dice: ”É chiaro che tutto questo avviene nella considerazione di un delitto, insomma, ecco. Di una e tanto più, a maggior ragione, se da parte di colui che l’ha commesso esistevano motivazioni di carattere sadico-sessuale. E allora, a questo punto, l’unica cosa che possiamo dire, è che il contributo dell’elaborazione elettronica delle immagini è tale da avvalorare ulteriormente la possibilità che ad azionare l’uso dell’arma da. punta e taglio sia stata sempre la stessa persona. Malgrado le differenti lesioni riscontrate in un caso, rispetto all’altro. Ecco. Poi, in un momento successivo, io gli faccio presente e gli contesto quello che è… Gli contesto, no, gli ricordo quello che è la loro conclusione, per cui… con riferimento, questo, in particolare alla lesione subita, a quella impronta da stampo che si trova su un osso del giovane Kraveichvili e dico il coltello, dico: “Voi avete detto” — aperte virgolette — “che”: ‘il coltello dovrebbe quindi essere dotato di una lama robusta con doccia di rinforzo; avere due fili di taglio, di cui uno zigrinato tipo sub. E possedere caratteristiche di notevole robustezza’. E voi avete scritto” – gli ridico — ‘i dati sopra elencati indicano quindi come il coltello appartenga con grande verosimiglianza ad un modello sportivo, comunque speciale’.” E il professor De Fazio, insiste, dice il professor De Fazio: “Questo è una ipotesi che è supportata da questi elementi dell’analisi virtuale.” Dopodiché, sempre su questo punto, il professor De Fazio dice – che comunque loro hanno affacciato anche l’ipotesi di coltelli diversi, usati in modo tale, in modo tale da dar luogo lo stesso tipo di lesività, che poi abbiamo autorizzato in base all’analisi virtuale, io gli dico: “Ma questo è meno verosimile, professore?” E il professor De Fazio, dice: “Certo, meno plausibile.” Poi si parla dell’impronta; si dice che quella impronta, io gli chiedo se: “É compatibile con la ipotesi che avete fatto circa il coltello che avrebbe provocato l’escissione pubica?” E dice Pierini: “Dunque, sì. In base all’escissione pubica, il coltello doveva essere dotato di un tagliente molto robusto. Poi anche qui nessuno può dire: un coltello, più coltelli… Non lo so. Per quanto riguarda infatti la lesione a livello del radio, questo ci confortava nell’idea che si trattasse di un coltello particolarmente robusto. Sicuramente di tipo speciale, non ordinario.” Ecco, e questa è l’analisi brevissima della prova generica con riferimento al coltello usato — al coltello – con l’ipotesi più plausibile, e d’altra parte, i periti questo possono fare: soltanto fare delle ipotesi più o meno plausibili, durante, nel corso il delitto degli Scopeti. A questo punto passiamo a una breve analisi, disamina, di alcuni cosiddetti “riscontri testimoniali”, cominciando dal Nesi Lorenzo. Il quale Nesi Lorenzo dice di aver visto il Pacciani all’incrocio tra via degli Scopeti e la via di Faltignano, domenica 8 settembre 1985. La circostanza che espone il Nesi Lorenzo è incerta storicamente e di nessun significato probatorio, riferita a Pacciani. Se poi la riferiamo a Vanni, nello stesso momento in cui il Nesi dice questo, dice che insieme a Pacciani c’era un’altra persona, non riconosce quest’altra persona. E, se fosse stato Vanni, Vanni che lui conosce da ben 40 anni, lo avrebbe certamente riconosciuto. Ne abbiamo già parlato. Ma vediamo un tantino più. da vicino il Nesi Lorenzo. Egli depone all’udienza del 23 maggio del ’94, nel corso del processo Pacciani. Questa è la sua prima deposizione, durante la quale il Nesi si sofferma a parlare di una circostanza che riguarderebbe il possesso di una pistola da parte di Pacciani. E riporta la sua constatazione di aver visto Pacciani cacciare i fagiani con una pistola. Come si faccia poi a cacciare i fagiani con le pistole, questo probabilmente lo sa il Nesi. Io, fra l’altro non sono cacciatore, ma mi ‘risultava che i fagiani, senza pallini, non si ammazzano. Però, quello che è importante, è che… Senza fucile, da caccia che spari a pallini, insomma, ecco. Quello che è importante è che il Nesi depone all’udienza dei 23… la prima volta, all’udienza del 23 maggio del ’94. E di questo avvistamento che, fra l’altro, sarebbe avvenuto dall’altra parte del bosco degli Scopeti, non nella zona vicino, ma dall’altra parte esattamente, non ne parla. Non ne parla di questo avvistamento di ! questa automobile. Poi ricontatta gli inquirenti, oppure viene ricontattato, non si sa bene. Dice di avere riconosciuto, a. questo punto, aver fatto questo incontro, di avere riconosciuto Pacciani al 9 0% e dice di averlo riconosciuto al 90% non perché ci ha pensato meglio, o perché i suoi ricordi sono migliorati, ma perché Pacciani ha mostrato di non riconoscerlo o di non conoscerlo durante l’udienza, durante la quale il Nesi aveva parlato per la prima volta. E da questo atteggiamento di Pacciani, che mostra di non conoscerlo, lui ha desunto che Pacciani temeva di sentirlo riferire, 1’avvistamento a quell’incrocio di via di Faltignano. Il massimo della non serenità di un testimone e proprio il peggio che possa capitare. In cui, a un certo punto, un testimone, si orienta intorno ad un ricordo, fa un riconoscimento addirittura che, da una certa percentuale ne raggiunge un’altra, in conseguenza di una sua deduzione. Pacciani, va bene, Pacciani si sa quello che era.. Quando arrivavano i testimoni che parlavano… dicevano qualcosa di male di lui, l’aggrediva anche. Alla Sperduto gli disse anche: ‘ma cosa fai te gui che tu puzzi di “vorpe”.’ Insomma, no? E così fece con Nesi; Nesi se n’ha a male: “ma allora era lui quello che ho visto”. E quando parte così, un testimone, nasce in questo modo, tutto quel che dice deve evidentemente essere preso con le molle e considerato con molta, molto scetticismo. Quindi, questo grado di certezza che, se non ci fosse stato l’episodio al dibattimento, egli avrebbe avuto dal 70-80% all’udienza precedente, diventa al 90% in ragione di questa deduzione. É un qualche cosa che avvicina il teste Nesi alla testimone Frigo e anche ai testimoni Rontini. Anche loro riconoscono Vanni, a distanza di tanti anni, solo dopo che cosa? Solo dopo la deposizione di Vanni al dibattimento del processo Pacciani. Deposizione di Vanni che noi… in cui abbiamo parlato, di cui ho parlato alla scorsa udienza, rammentandovi fino a che punto questo Vanni, nel corso di quella deposizione che voi avete e che potete rileggere per rendervi conto della verità di quello che sto dicendo – in quella deposizione Vanni è pesantemente sospettato. E da sospettato come è e come sostanzialmente avverte di essere, si comporta in quel modo da poveraccio che, a un certo punto, sente arrivarsi, sente offuscarsi il suo orizzonte; sente delle brutte nubi che si stanno addensando sopra la sua testa. E, in qualche modo, cerca a modo suo, da sempliciotto qual è, di ripararsi. E questo, evidentemente, in una psiche turbata come certamente, lo è sempre stata, del signor Renzo Rontini, in perfetta buona fede, per carità di Dio!, assume immediatamente questo tono: ‘quello là io l’ho già visto. Quello là io lo devo aver già incontrato’. E ci ripensano lui e la moglie. E tutto a un tratto si trovano d’accordo per dire che lo hanno incontrato, quando? Ma tutti quegli anni prima. Qui siamo nel ’94, siamo a 10 anni prima. Lo hanno incontrato per la strada, la moglie, per caso dice, a Vicchio. Lo ha incontrato lui, lo ha visto. lui davanti al bar che girava, di notte, sotto gli alberi. Ma voglio dire, 10 anni prima. Ma pensateci un momento voi che avete fatto certamente degli incontri. Come si… Io, se dovessi rammentare chi ho incontrato davanti a un certo bar 10 anni fa, ma certamente non ci penso nemmeno. Non sarei assolutamente in grado di riconoscere nessuno; come nessuno al mondo può essere in grado di fare una cosa di questo genere. Solamente una persona, sollecitata da quest’ansia di verità che è certamente commendevole e che, alla quale, io irti sento umanamente di partecipare con tutto il cuore, può a un certo punto individuare in questo Vanni, in questo personaggio che lì al dibattimento appare così sospettabile e così a malpartito, può arrivare a definire che quello è la persona che lui ha visto in quella occasione, a quel tempo, eccetera. Ed è un avvicinamento, questo del teste Nesi, che si può fare anche con riferimento, una analogia, che può essere tentata anche il suo riferimento alla testimone Frigo. E poi io vedremo meglio del testimone Frigo. Per tornare al Nesi, ricordiamoci che i testi Nesi… non so se qui ci sono, ma i testi Nesi Rolando e Marretti Carla, non confermano l’avvistamento di Pacciani. E che il Nesi — come del resto farà poi la Frigo — nella immediatezza di questo avvistamento, non disse nulla, né a loro, né a nessun altro, né successivamente.. Quindi, per chiudere col teste Nesi, che ci ha richiamato alla mente il testimone Rontini e la moglie, si tratta di un teste equivoco, soggettivo e aleatorio quanti altri mai.. Poi pensiamo anche un attimo a quale può essere il significato di questo avvistamento. Perché l’avvistamento avviene in un punto per cui, per arrivare da lì alla piazzola dove è avvenuto il delitto, c’è un’ora, un’ora e mezzo di cammino a piedi. 

P.M.: (voce non udibile) 

Avv. Nino Filastò: Come no! 

P.M.: Si è fatto il sopralluogo. No. 

Avv. Nino Filastò: No, avete fatto il sopralluogo… 

P.M.: Con la Corte. Con la Corte. 

Avv. Nino Filastò: Avete fatto tutta la strada, un’ora e mezzo. Lo dice la sentenza di I Grado, lo dice la sentenza… 

P.M.: No, quella è un’altra cosa. Sono due i sopralluoghi. 

Avv. Nino Filastò: Io sto parlando dell’incrocio di via di Faltignano, dall’altra parte del bosco. 

P.M.: 400 metri… 

Avv. Nino Filastò: In ogni caso è una situazione che, anche ammesso che lì ci fosse passata la macchina di Pacciani con Pacciani a bordo, Pacciani in quei giorni si sa che era da quelle parti. Non sta mica a Parigi, Pacciani; non sta mica a Francoforte. Sta a Mercatale Val di Pesa. E per andar da San Casciano da dove si può esser trovato, alla sua casa, bisogna che passi da quelle strade. Quindi non dice assolutamente niente. Ma comunque, qual è il significato importante, casomai, della testimonianza del Nesi Lorenzo? Il significato importante è che il Vanni, nella macchina, non c’era. Altrimenti lui lo avrebbe visto e avrebbe riconosciuto la persona di cui è sodale da 40 anni. E veniamo alla Maria Grazia Frigo. La Maria Grazia Frigo esordisce dicendo: “Sono ossessionata da otto anni da un episodio che mi è capitato.” “Ossessionata”, così la riferisce la sua testimonianza il dottor Giuttari, che poi trova riscontro con quello che dirà. E l’ossessione non è un aspetto psicologico che conferisce attendibilità ad una testimone, al contrario. Specialmente quando questa testimone parla a distanza di otto anni di tempo. Ora, questa testimone, per analizzarla brevemente, vede prima di tutto una autovettura e un autista. Su questo non c’è dubbio. Anche su questo. Vede una autovettura ed un autista. Questo autista lei, a otto anni di distanza, esattamente in un clima abbastanza analogo a .quello che vi ho descritto e che riguarda il Nesi Lorenzo e che riguarda i coniugi Rontini, riconosce Pacciani. Ora voglio dire: qui…piccola parentesi. Un ricordo che tutti voi certamente avrete, come ce l’ho io, su tutto questo battage giornalistico che si è fatto sulla persona di Pacciani, tutte le amplificazioni. E tutta la gente, che si è divisa fra innocentisti e colpevolisti. Insomma, questa persona, a otto anni di distanza, riconosce su questa macchina Pacciani. Beh, insomma, è un riscontro, questo, che riguarda la Frigo… Ora, voglio dire, la battuta è anche troppo facile: che è un riscontro raggelante. È un riscontro proprio da polmonite per l’accusa. E per quel giudice che volesse motivare servendosi di questa teste per una sentenza di condanna di Vanni. Come il Nesi, è un teste congetturale, soggettivo, incerto, ipotetico, con numerose ipotesi alterative. Ultima delle quali, a tutto concedere, non solo questa testimone, come ho detto, non è utile all’accusa contro Vanni, ma è contrastante con essa in modo netto. Perché ho detto congetturale? Perché questa signora parla, dice che questo avvistamento è avvenuto la notte dell’omicidio. Quale notte? Perché? Eh?’ No, no, dimmi Pellegrini, per carità. 

Avv. Patrizio Pellegrini: Vicchio. Credevo ti mancasse la parola Vicchio. 

Avv. Nino Filastò: No, no, l’omicidio di Vicchio, certo, si sta parlando… grazie. Si sta parlando… Ha ragione il collega, siamo passati dagli Scopeti a Vicchio, nel frattempo. Ma per me, insomma… Dunque, la notte dell’avvistamento, avviene l’incontro. Quest’incontro. Ma quale notte, è quella del delitto? E come… Lo dice lei. Mah, lo dice lei congetturando a otto anni di distanza. E come congettura? La Frigo, che, come dicevo prima, è la quintessenza del teste mass mediatico, cioè a dire, indotto dalla pressione e dalla suggestione dei media. Lei vede una foto di Pacciani su L’Unità: giornale, fra l’altro, che lei evidentemente legge e che ha sempre tenuto un atteggiamento nei confronti di Pacciani ultracolpevolista. Vede questa foto di Pacciani su L’Unità e allora va… dice: .’ah, ecco, lo riconosco’; e va a parlarne. Ma è il tempo della sua apparizione, della sua comparsa di questo suo discorso che conta. Quando va a parlarne: il giorno dopo? La settimana dopo? Il mese dopo? L’anno dopo? No, otto anni dopo. E otto anni dopo per dire anche che questa cosa lei non l’ha nemmeno palesata agli altri, agli amici, al marito. Se l’è tenuta in seno. E se l’è tenuta in seno, lei spiega e dice perché qui al dibattimento. Perché — dice la Frigo — c’erano altre piste: i sardi, Vinci, Mele e Mucciarini. E dice immediatamente una gravissima inesattezza. Perché gravissima inesattezza? Perché lei parla con riferimento all’omicidio dì Vicchio. E proprio l’omicidio di Vicchio è il delitto che provoca la scarcerazione di Mele e Mucciarini, che provoca la scarcerazione di Vinci, che provoca la fine, la cesura finale, l’annullamento della pista dei sardi. E allora? Come fa lei a dire: io mi sono tenuta per me questa cosa perché c’erano altre piste? Non è vero nulla. Prima cosa, prima osservazione. Quindi, invece, se fosse stata genuina, se fosse stata sicura del fatto suo, quale momento migliore per andare dagli inquirenti e dire: ecco qua, io so questo, ho visto questa persona ho visto questa automobile con questo comportamento strano… Come avevano fatto a suo tempo, meno di tre anni prima, nell’ottobre dell’81, perché questo avevano fatto, i freddi, puntualissimi, cauti, attendibilissimi testimoni Parisi Graziella e suo marito, di cui in questo momento non… Come? Eh?

(voce non udibile) Tozzini. 

Avv. Nino Filastò: Tozzini, grazie. 

(voce non udibile) 

Avv. Nino Filastò: Eh, certamente. A proposito dell’omicidio di Calenzano. Invece lei non ne parla nemmeno in famiglia, neppure con gli amici. Allora vale per lei quella domanda che rivolse a suo tempo, giustamente, correttamente, il dottor Giuttari al teste De Pace. Domanda alla quale quel testimone, come noi sappiamo, rispose con il riferimento alle sorbe. Vale a dire, si deve chiedere per forza: ‘scusi signora, ma lei come fa a ricordare a otto anni di distanza che l’incontro avvenne proprio quel giorno lì?” Cioè il giorno del delitto. E lei risponde. Dice: “Perché io all’epoca frequentavo questi amici il fine settimana, prima e dopo il delitto.” Un periodo di tempo molto lungo. Questa frequentazione degli amici al fine settimana, non ha la frequentazione che avviene quel giorno lì e basta. É quel giorno del delitto, vale a dire, di Vicchio. è una frequentazione che in quel tempo si svolge per tutto… per diversi mesi. E sono tutti i fine settimana che questa signora va a trovare questi amici. Non so poi con quanto diletto di questi amici, perché questa signora, io non l’ho vista ma a leggere quello che ha scritto, mi da l’idea di una di quelle persone, quelle signore che quando parlano ci vuole, come diceva mia nonna, un soldo per farle cominciare e due per farle smettere. Ma qui, a questo punto, la teste fornisce un dato di riferimento e con questo scopre la sua, certamente involontaria, soggettiva, umorale, passionale, verbosa tendenziosità. Vale a dire, ci vuol far credere di aver sentito gli spari. E però nell’indicare questo punto di riferimento, gli spari, che son l’unica cosa che in questo momento ci servirebbe per dire che questa signora ha fatto questo incontro quel giorno, ci parla di un boato. Ecco. E lei stessa, quando poi – ce -lo vuol – descrivere, ci descrive una situazione per cui noi dobbiamo per forza ritenere che ha sentito lo scoppiò di pneumatico di un TIR, come lei dice essere stato quel suono. Oppure ha sentito un colpo di fucile da caccia grossa, al cinghiale almeno. Oppure ha sentito il “bang” di un aereo supersonico. Queste sono le tre ipotesi che si possono fare, non se ne possono fare altre. Tutto fuori che diversi cadenzati colpi di pistola Calibro 22. E poi il Pubblico Ministero, all’udienza, si è prodotto, come ho detto l’altra volta, in quella teoria abbastanza strana per cui i diversi colpi distanziati, sia pure ravvicinati l’uno all’altro, di Calibro 22, una eco che ci sarebbe in quel posto — io ci sono andato, ho battuto le mani ho fatto: oh! Eco non c’è – li trasformerebbe in un unico suono, in un unico fragore. Ne ho già parlato e non sto a insistere. Tutto questo senza contare il tempo. Cioè a dire, il momento del boato. Quando lei sente questo colpo. Vedano, qui la signora fornisce delle indicazioni, dice che era il crepuscolo inoltrato, vale a dire subito dopo cena. Tant’è vero, dice, che il crepuscolo era inoltrato e non era un’ora molto tarda, perché lei dice che era all’aperto con questa sua amica a fumare una sigaretta e loro vedevano nel giardino, lei dice che poteva ancora distinguere la maglietta bianca della bambina. E poi questa signora ci tiene a metterci al corrente – io non c’ero ma ha messo al corrente la Corte e tutti ‘ gli astanti – che era il primo giorno che la bambina inaugurava la prima minigonna… É una testimone fatta così, la signora Frigo, ci tiene a raccontare molte cose: bla bla, bla bla, bla bla, eccetera. E allora non torna più con l’avvistamento. Perché questo avvistamento di questa automobile, ce lo dice lei, avviene alla mezzanotte meno cinque, perché lei addirittura ha visto l’orologio nella casa di questi signori che la ospitavano. E quindi, dopo gli spari pretesi, siccome, voglio dire, a tutto concedere, siccome ancora ci si vede, tanto da poter vedere la maglietta della bambina che ha la minigonna e tutto il resto, e quindi siamo dopo cena, possiamo massimo arrivare alle 22.30, proprio massimo, alle 22.30 dell’ora legale; dice forse ancora un po’ di questa mezza luce di crepuscolo inoltrato c’è, ma massimo, ma io direi… 

(voce non udibile) 

Avv. Nino Filastò: Eh? 

(voce non udibile) 

Avv. Nino Filastò: La fine di luglio, insomma, va be’, ma tanto per ammettere, no, “ad abundantiam”. E che succede? Dagli spari al momento in cui questi scappano deve passare un’ora e mezzo, come minimo, due ore? Ma siamo matti? Va bene essere disinvolti, ma fino a questo punto mi sembra veramente straordinario. Quindi, l’incontro è avvenuto quella sera? C’è proprio da dire, da sospettare di no, o quantomeno di avere un ampissimo margine di dubbio su questo e quindi su questo dato cronologico, rispetto a questa testimone che dovrebbe fornire un riscontro, siamo molto al di sotto delle sorbe del De Pace, purtroppo. Tuttavia la signora Frigo ha sicuramente riconosciuto Pacciani. E siccome Pacciani è altrettanto sicuramente colpevole, bisognerebbe passare sopra a tutto e crederle. Mah, insomma, questa signora Frigo appariva agli inquirenti, all’epoca del processo Pacciani, quando preventivamente aveva dato a loro una indicazione precisa su Pacciani, talmente, talmente attendibile e seria, da non presentarla neppure come prova a carico. E questo dovrebbe liquidarla la signora. Senonché, senonché… Qui si tenta una sorta di incrocio e di coniugazione della testimonianza della signora Frigo, con la testimonianza dei testi Caini-Martelli. Chi sono questi Caini-Martelli? Sono una coppia di persone, che si, trovano sulla stessa strada da cui parte la signora Frigo — e sulla strada per la quale questa signora Frigo fa questa constatazione – i quali notano, mentre sono ad una fontanina a prendere l’acqua per portare a casa – come molte persone fanno andando nei week-end in campagna per riportarsi poi l’acqua buona a casa – notano queste due macchine che procedono in una certa direzione a velocità spedita, una appresso all’altra, ravvicinatissime l’una all’altra e che addirittura li impauriscono. Beh, ora, l’avvistamento di questi due coniugi, senza la Frigo — che avrebbe visto una macchina prima dirigersi in quella direzione quel giorno lì – diventa assolutamente privo di significato. Perché? Perché questi due signori o la signora, perché anche qui c’è la signora che parla molto, il signore invece fa dei discorsi molto più secchi, ma insomma. Secondo la signora, perché la domanda immediata, spontanea che viene da fare, dice: ma non saranno stati due grulli che correvano per quella stradaccia per fare i furbi, come tanta gente c’è che fa queste cose? Ecco, qui siete quasi tutti più giovani di me, però io quando ero ragazzo imbecille — sono stato un ragazzo imbecille anch’io – insieme a alcuni ci si divertiva a fare il gioco del filo di lana. Il gioco del filo di lana consisteva in questo: che si partiva con un’automobile davanti, poi c’era una macchina dietro, fra quella davanti e quella dietro si metteva un filo di lana e si partiva, anche per stradacce. Se, essendo io davanti, il filo di lana si spezzava, aveva perso… come stava la cosa, scusate? Ma insomma, quello dietro doveva fare in modo di non spezzare il filo di lana. Se il filo di lana si spezzava perdeva quello di dietro e vinceva quello davanti. 

P.M.: (voce non udibile) 

Avv. Nino Filastò: Eh? 

P.M.: Si spezza sempre. 

Avv. Nino Filastò: No a me qualche volta m’è riuscito di tenerlo intero. Ero piuttosto bravino a guidare la macchina quando ero ragazzo. E si viaggiava così vicini l’uno all’altro. Ora, non voglio dire che questi facessero una cosa di questo genere, ma due persone su una strada di questo tipo si allenano a fare dei percorsi accidentatissimi e questi sì che possono essere queste due persone. Ma, dice la testimone, non sono tali perché non sono giovani. Come, perché, gli imbecilli devono essere tutti per forza giovani e basta? E gli imbecilli ci sono anche tra le persone un po’ più anziane, purtroppo. E fra le persone che fanno di queste cose se ne trova disgraziatamente anche di età, e non c’è niente da fare. Ma vedete, sono i dati topografici, Signori, che proprio non tornano, e su questo mi sono permesso di portarvi due carte molto dettagliate, una in scala 10 mila e una in scala 25 mila, di questa zona. Poi ve le consegnerò per integrare quello che voi avete, perché avete anche di già una vostra… Ma qui, queste sono credo più dettagliate e quindi vi aiuteranno meglio. Non solo dettagliate ma sono anche datate. Questa qui, questa qui è datata… sono dati che sono : aggiornati al 1988. Quest’altra sono dati che sono invece del 1950. Questa, viene dall’Istituto Geografico Militare, va bene. E qui si vede perfettamente questa strada, che è una strada che parte dalla via Sagginalese, superato Vicchio, che costeggia la Sieve, che costeggia il fiume Sieve, ed è una strada che si inerpica passando, in pochissimi metri, da quota 240 a quota 396-400, in pochissime decine di metri, quindi una salita ripidissima, e che è una strada che, passato il podere La Rena si interrompe. Infatti è una constatazione che fanno anche gli inquirenti, dicono: qui la strada non c’è più… Dice: ma c’era prima. Come, c’era prima? In questa pianta che vi do, che è del 1950, si vede benissimo che la strada si interrompe e che poi diventa un sentieraccio. Io ci sono andato. Voi non ci siete andati ma io sì, io ci sono andato. 

P.M.: Anche noi. 

Avv. Nino Filastò: Anche voi. E avete fatto quella specie di… 

P.M.: Sì, con il maresciallo dei Carabinieri… 

Avv. Nino Filastò: Dei. Carabinieri… Avevate una macchina molto buona. Avevate una macchina con cui a un certo punto… Io, quando mi sono affacciato su quella specie di tratturo, vero, che è praticamente una proda erbosa, con l’erba nel mezzo, con due grossi solchi laterali, non dico che uno con molto spirito di avventura possa fare una cosa di questo genere, ma con una macchina normale ci vuole molto spirito di avventura per fare una cosa di questo genere. Io non mi ci sono avventurato. La mia moglie — guidava lei — dice: te un tu vorrai mica mi infili lì dentro io. Le ho detto : no, per carità, torniamo indietro. Ma vedano, questa carta perché è interessante? Per questo aspetto che vi dicevo prima. Ma ce n’è un altro. Secondo la impostazione dell’accusa, queste persone che fuggono da un delitto, invece di prendere rapidamente la strada di casa e andarsene il più possibile velocemente via dal luogo del delitto, si determinerebbero a fare questo assurdo giro — che è un assurdo giro attraverso questa carrareccia o viottolo, perché? Per evitare il passaggio a livello. Ora, primo: il passaggio a livello, dalla piazzola dove è avvenuto il delitto, se è aperto o chiuso non si vede – lo metta questo, dottor Canessa, o grazie – da lì non si vede. Secondo: Benissimo fanno questa stradella, percorrono tutto questo giro pazzesco per superare… arrivano al podere La Rena, prendono questa specie di sentiero che arriva fino a Martino a Scopeto, a Martino…..a Scopeto ritrova… a San Martino a Scopeto. 

(voce non udibile) 

Avv. Nino Filastò: Sì, San Martino a Scopeto ritrovano la stradaccia, sempre brutta, tremenda, dissestata, eccetera, arrivano giù, passano la Bricciana, passano ancora… vanno giù ancora per un bel pezzo, scendono fino agli Scopeti, arrivano alle porte di Dicomano, cosa trovano? Un passaggio a livello. C’è il passaggio a livello. Eh, il Pacciani che conosce la strada… se conosce la strada, se ha preso questa strada per evitare il passaggio a livello che fa tutto questo giro per andare a trovarne un altro? 

P.M.: È al contrario, è nella direzione opposta. 

Avv. Nino Filastò: No, no… 

P.M.: (voce non udibile) 

Avv. Nino Filastò: Su questo rifò la scommessa con lei che ho fatto col dottor Giuttari, prima o poi mi sbanca qualcuno, insomma, voglio dire, perché lì poi me lo sono trovato davanti. Ma poi si vede qui, guardi, si vede qua, non c’è nulla da fare, si vede perfettamente: il passaggio a livello eccolo qui, da una parte e dall’altra, non c’è cristi, eccola qua c’è la ferrovia di mezzo. Fra questa strada e Dicomano, c’è la ferrovia di mezzo, c’è il passaggio a livello, non c’è nulla da fare. Allora? Per tornare poi però alla faccenda della strada, sulla quale abbiamo avuto cosi, come dire, un piccolo battibecco io e il Pubblico Ministero, guardino che quello che vi sto dicendo l’ha detto un testimone, che è per l’appunto il teste Caini. In quale, interrogato il giorno 7 luglio ’97, e siamo a pagina 51, fascicolo… fascicolo va be’, qui c’è troppe indicazioni, il fascicolo non lo trovo, di questa, insomma, di questo verbale, dice… Insomma, dice, parla di questa… che la piazzola è lì da quelle parti. “Sì,” — dice — “anche perché la cosa ci sembrò strana, i giorni dopo che venne fuori sul giornale che c’era stato questo, insomma, omicidio che era successo.” Il Pubblico Ministero chiede: “Perché, in linea d’aria è lì vicino?” “Eh, insomma, siamo non, ‘diciamo, lontanissimi, però ci sarà, mezz’ora,, insomma, a piedi o una macchina un po’ robusta ci vuole.” 

P.M.: A piedi. 

Avv. Nino Filastò: No, Pubblico Ministero, non faccia così. Eh, abbia pazienza. 

P.M.: Se c’è stato lo vede. 

Avv. Nino Filastò: Ma scusi, abbia pazienza, sto leggendo quello che dice il teste, perché dice… il Pubblico Ministero fa: “Mezz’ora a piedi.” Dice il Pubblico Ministero, esattamente come ha detto ora, no? Il Pubblico Ministero gli contesta, dice: “Lei ha detto mezz’ora a piedi. Qui si parla di automobili.” “No,” dice il teste Caini “scusi, dico, mi scusi, mezz’ora con una macchina un po’… un fuoristrada.” Ecco che dice il teste “Perché lì la strada l’è brutta, insomma, una mezz’oretta circa ci sarà dal punto come l’è, sulla Strada Provinciale insomma. E il Pubblico Ministero è di parere diverso, dice: “Ci vuole qualche minuto, noi l’abbiamo fatta. Noi s’è anche cronometrato” Quanto c’avete messo… 

P.M.: (voce non udibile) 

Avv. Nino Filastò: …a fa’ questa stradella che dice il testimone ci vuole un fuoristrada, come mi è sembrato anche a me. Perché mi è sembrata una strada di quelle che venivano percorse dai contadini, a suo tempo, con la treggia. Cos’era la treggia? La treggia era un vecchissimo strumento di locomozione dei contadini tipo slitta, che non aveva ruote e che serviva in particolare per le strade particolarmente erte, per salire o per scendere. C’erano due tronchi di albero e sopra un intreccio, ben fatto, di giunchi. E l’arcivescovo di Fiesole, all’epoca… dei tempi, quando scendeva giù da Fiesole per andare alla sua pieve a Firenze, veniva giù in treggia. Beh, allora, quindi, tutta una… insomma, elementi di estrema irrilevanza, sotto il profilo probatorio, salvo che anche qui, bisogna dirlo, sempre perché si sta difendendo il signor Mario Vanni, anche questi due testimoni Caini e Martelli, chi ci vedono sulle macchine? Due persone sole, due… il guidatore di una e il guidatore dell’altra. E Vanni? Lei che fece Vanni? Tornò a casa a piedi? 

Mario Vanni: ….(voce non udibile) 

Avv. Nino Filastò: No, davvero, eh. E veniamo a un’altra testimone che va liquidata molto velocemente, vale a dire la Sperduto, “tanto nomini nullum pare logium”. Che è una testimone, bisogna dire subito, con riferimento al processo Pacciani, buona per tutte le occasioni. Perché all’epoca del processo Pacciani venne ascoltata per la questione del seno sinistro. Lì si stava cercando la perversione di Pacciani con riferimento alla sua propensione al seno sinistro, tant’è vero che una volta ne aveva tagliato uno, e lì la testimone andò a riferire che il Pacciani ce l’aveva fissa con il suo seno sinistro. Questa volta invece arriva, qui in questo dibattimento, e ci condisce la scenetta sinistra, campagnola che voi sapete. Tanto per cominciare, la signora Sperduto, parla di episodi avvenuti nel ’72. E a tutto concedere, parla di un episodio che va in direzione, come abbiamo visto, difforme rispetto al tipo di delitti, perché parla di masturbazione e perché chi si masturba davanti alla sua nudità, non eccelsa, per dir la verità – guardatela insomma, non certamente tale da eccitare e a provocare particolari eccitazioni sotto il profilo sessuale – ma insomma, certamente lo farebbe anche all’interno di quella progressione psicopatologica di tipo sessuale che esprimono i delitti contro le coppie. Noi sappiamo che è un dato obiettivo costante: dal ’68 in poi non ci sono mai tracce di liquido spermatico. Ma poi l’avete vista e sentita la Sperduto, i suoi farfugliamenti, i suoi falsi pianti, perché come ho detto prima, piangiucchiava, ma piangiucchiava senza lacrime, con quell’arietta così, il suo “sono emozionata”, i discorsi ammezzati, insomma era anche, fra l’altro, una testimone che non era nemmeno stata presentata dal Pubblico Ministero, il quale, certamente, deve aver ritenuto che non fosse una testimone decente da presentare davanti ad un Corte di Assise. Insomma, è venuta, ha detto quello che ha detto, in quel modo come l’ha detto e insomma, va valutata per quello che è: certamente una povera donna; certamente una persona che ne ha viste di tutti i colori; certamente una persona che ha avuto, molte disgrazie. Però è anche una persona che insomma lei esercita un certo mestiere… È inutile nascondersi dietro un dito, la Sperduto è una prostituta, anche lei, e non solo ma è una prostituta che come ci dice la Ghiribelli nel suo esame, addirittura faceva anche la concorrente della figlia. In una certa zona, dice la Ghiribelli, a un certo punto venne la Sperduto, vale a dire Sperduto madre, e la figlia si lamentò dice: guarda questa mamma, oltretutto viene anche a rompermi le scatole sul lavoro, portandomi via un po’ di clientela. Insomma, è quello… che poi… Quindi, che la Sperduto sia stata qualche volta visitata dal Vanni, il quale c’ha la moglie malata, c’ha i suoi problemi, questa signora è anche un po’ a portata di mano, insomma. Vanni poi non credo che. . . una persona che abbia poi dei particolari gusti raffinati in materia… quando quella signora, poi, fra l’altro, ancora aveva un minimo di appetitività, perché in un momento successivo, io dico è proprio… la signora mi pare fosse da tenersi alla larga, anche dal punto di vista di carattere sessuale. Ma spostiamoci su… spostiamo il discorso dei cosiddetti riscontri nell’omicidio di Calenzano. E qui non troviamo un riscontro, troviamo un contrasto che più netto non potrebbe essere. Perché sul luogo abbiamo una Alfa Romeo GT rossa; ne parla sia Parisi Rossella che Tozzini, quello che ora è diventato il marito. Questo avvistamento fatto da questi signori, in una situazione in cui tutto ci lascia intendere che loro hanno visto anche loro il serial killer della provincia di Firenze. Basta andare sul posto per capirlo. Perché quella volta il posto del delitto era stato scelto male dal mostro. Non ci sono vie di uscita. Cioè a dire, ce n’è una da una parte, che va verso Prato, un’altra per chi voglia invece tornare, diciamo cosi, verso i monti, c’è solo quella. E passando solo in quella direzione si deve per forza transitare da quel ponticino. E per attraversare quel ponticino non c’è niente da fare, bisogna rallentare a meno di non essere pazzi. E questo è un pazzo, è un allucinato, tant’è vero che non rallenta, tant’è vero che lo prende a velocità, tant’è vero che costringe questi altri due a fermarsi. E loro allora lo possono vedere bene in visto, notano l’espressione preoccupata, allucinata — questo allucinato lo … – dico io, la teste Parisi usa degli altri aggettivi ma un’espressione strana, di questa persona, e siamo verso l’ora del delitto, più o meno. E questo signore Faggi ne parleranno certamente di questo i suoi difensori, che hanno già parlato i suoi difensori, Faggi non è, perché Faggi non ha quella macchina. Non è Pacciani, perché Pacciani non ha quella macchina; non è Vanni perché lui di macchine proprio manco l’idea… mai avute. Non è nemmeno Lotti, perché Lotti quella macchina non ce l’ha; e quindi è un’altra persona, non c’è niente da fare. Ed è un’altra persona anche in termini di identikit, perché se voi avete osservato, questo predetto indizio che dovrebbe in qualche modo aggredire il signor Faggi, è un indizio al contrario. Il signor Faggi ha una caratteristica personale molto evidente che è quella di avere i capelli a V sulla fronte. Un’attaccatura di capelli particolarissima, non molte persone hanno, e questa persona invece — così come viene descritta approfonditamente dai testimoni: Parisi e Tozzini — invece, questa caratteristica fisica non ce l’ha. A questo punto parliamo un attimo della Gabriella Ghiribelli. Della Gabriella Ghiribelli che è ubriaca fissa, anche lei, come la Filippa Nicoletti. Insomma lo sappiamo, l’ha detto, è così; insomma, eh. La Gabriella Ghiribelli che cosa dovrebbe confortare? L’avvistamento di una certa automobile mentre torna, chissà quando? Perché come si fa a dire che questa persona si ricorda di aver visto la macchina a tutti questi anni di distanza e in quella sera, vero? Non è possibile, né lei né il Galli; infatti il Galli quando viene interrogato non fa altro che dirlo: ‘Ma come faccio, non sono sicuro.’ E certamente come… E la Ghiribelli, oltretutto, la Ghiribelli, insomma anche lei, vero, è come se ci da dentro, eh. “E perbacco!” Dice lei. Gli si dice una domanda dell’avvocato Pepi che gli chiede: ‘Come mai è stata ricoverata qualche volta all’ospedale’. Lei dice: “Ma, sono stata ricoverata tante volte, sa, mica quella e basta, anche per ubriaca.” Ecco. Ora che addirittura ha le crisi di etilismo acuto, al punto che la mettono in ospedale. E dice: “Ma non per forma acuta di etilismo?” Chiede l’avvocato Pepi. E la signora risponde: “Anche, perché sono ubriaca”. E dice: “Ogni tanto prendevo delle sbronze, perché io da sana non ci andavo a fare la mignotta; dovevo sbronzarmi.” Benissimo, questo è testimone che noi non mettiamo in discussione per il fatto che è una prostituta, per carità! Noi pensiamo alle prostitute come tutte le altre persone di questo mondo quando sono testimoni; per il fatto che all’epoca – e forse anche dopo – è un’alcolista e che era ubriaca e che, specialmente la sera, quando finiva di lavorare e che tornava dopo quel lavoro faticoso, brutto e ingrato a casa sua era, probabilmente, più di qua che di là. Questo lo dobbiamo dire, insomma, no? Perché è la cosa importante, che ci da una dimensione della attendibilità intrinseca di questa teste, che non c’è. E tuttavia, sul punto che ci interessa forse di più, e che riguarda il fatto che Vanni fosse stato quella sera, di domenica. 

Mario Vanni: No, davvero. 

Avv. Nino Filastò: … a trovarla, no davvero; certo non davvero, dice anche lei. 

Mario Vanni: No, questo no. 

Avv. Nino Filastò: Questa signora dice: “Il Vanni è venuto una volta sola da me.” E lo dice a pagina 13. Al Pubblico Ministero dice: “Due o tre volte, il Vanni. Però non con me personalmente, perché torno a ripetere mignotta sì, ma meschina no. Scusi l’espressione.” E poi dice: “Però dei veri rapporti, io con il Vanni, non li avevo mai avuti.” Ovvia, allora quindi, anche questo abbastanza chiaro. 

Mario Vanni: È la verità. 

Avv. Nino Filastò: È la verità. Benissimo Mario. 

Mario Vanni: (voce non udibile) 

Avv. Nino Filastò: E certo. 

Mario Vanni: (voce non udibile) 

Avv. Nino Filastò: Allora, anche a questo punto, non mi sembra essermi dimenticato di nulla; poi, cosa mi fossi dimenticato sarà segnalato dal… Ah, sì, c’è questo aspetto un po’ sgradevole, questo. Mi dispiace doverne parlare. Quelle che il Pubblico Ministero definisce le “ammissioni di Vanni”. Beh, vi devo prima di tutto, segnalare un fatto avvenuto qui, in sede di discussione. Allora, io avevo trascurato un po’ il dato, nel senso che non è che uno possa avere in mente tutto, ed ero sinceramente e seriamente convinto che, nel 1974, Pacciani e Vanni non si conoscessero. Ne parlo, perché è a verbale anche questo e allora, ad un certo punto, chiedo al signor Vanni, ve lo ricordate, no? Che: “Lei, Vanni, nel ’74 Pacciani lo conosceva?” “Sì.” 

Mario Vanni: No. 

Avv. Nino Filastò: Ora dice di no. Fa a posta… E mi risponde di sì, il Vanni. E difatti dagli atti risulta che: il Pacciani emigrò a San Casciano, a Montefiridolfi, il 17 aprile del 1973. Ora tu mi hai risposto di no, perché non avevo detto Vanni, accidenti a me! Dico una cosa e lei mi dice di sì. Ora dice di no, ma insomma. …lui al verbale ha detto di sì. Per dire fino a che punto questa persona nei suoi comportamenti, nei suoi atteggiamenti, nel suo proporsi di fronte ai Giudici, a chi la interroga – sia al difensore sia a chiunque altro — si propone con questo lindore, con questa arrendevolezza, con questa incapacità di giocare con un altro personaggio di questo processo; A me mi era sfuggito questo dato che: in via Sanfana numero 3, Pacciani ci si era trasferito il 17 aprile del ’73. Certo, siccome il trasferimento era avvenuto da poco, una grande amicizia non c’era, evidentemente. Il Vanni, massimo, lo poteva conoscere, perché da quel momento in poi ha cominciato a portargli la posta. 

Mario Vanni: Vero. 

Avv. Nino Filastò: Eh! Però il Vanni sulla domanda, dice: “Si.” Ha risposto. Eh, va bene, no? Poi dopo, quando gli ho chiesto se nel ’68 lo conosceva, che mi ha risposto? Non dica sì. 

Mario Vanni: (voce non udibile) 

Avv. Nino Filastò: No. 

(brusio) 

Avv. Nino Filastò: No, per dir di no. 

Avvocato?: Lo metta lei. 

Avv. Nino Filastò: Ma, per dir di sì. 

Avvocato?: Lo metta lei. 

Avv. Nino Filastò: Vabbè. Allora, le ammissioni del signor Vanni. Vedete, qui c’è un qualche cosa che non torna. E purtroppo lo devo dire. Si sta parlando delle minacce. . . Qual è l’ammissione, quella più rilevante, ovviamente? Perché’ parliamo di questa e basta; della lettera poi, ne parleremo fra due secondi sbrigandocela con pochissimo, perché questa lettera veramente è diventata una specie di non una lettera. In questo processo è diventata una specie di somma teologica. Va bene. Le minacce di Vanni. Allora, voi tenete presente – perché questo ce l’avete — la trascrizione del verbale. La trascrizione del verbale dell’interrogatorio del GIP del 16 febbraio del ’96, registrato davanti al GIP, e leggete questo. Il GIP domanda: “Perché ha sempre avuto tanta paura del Pacciani?” E Vanni risponde: “No, paura no.” E il GIP dice: “Paura sì, lo dicono tutti.” E Vanni, a questo punto, dice: “Quando gl’aveva bevuto gl’ era un po’ bandito.” Risponde. Allora, leggete ora la traduzione… 

Avvocato?: Sommaria. 

Avv. Nino Filastò: … Sommaria, del verbale sommario di questa dichiarazione. E suona così. A domanda risponde: “Io non è vero che avessi paura del Pacciani, però mi intimidiva, perché era un po’ violento.” No. Non ci siamo proprio, no. Si da atto la dichiarazione dell’imputato? Sì, secondo la quale Pacciani quando aveva bevuto era un po’ bandito; cioè, era un po’ traduzione un po’ malandrino, un po’ briccone, un po’ birbone, un po’ cattivo soggetto, un po’ canaglia, un po’ birbaccione; ma violento mai. No, non si può introdurre l’aggettivo “violento”, qui. Traducendo violento e… da bandito diventa violento e aggiungendo un atteggiamento soggettivo di intimorimento che, invece, l’imputato ha negato. Qui, poi, il GIP come procede? Il violento… La violenza di Pacciani lui l’ha già data per scontata, e ha già dato per scontato che il Vanni abbia fatto esperienza della violenza di Pacciani. E dice: “Sempre? O quando beveva?”, chiede. E Vanni dice: “Mah, insomma, parecchie volte.” Vuol dire beveva parecchie volte? Beveva parecchie volte, vuol dire, Vanni. “Sempre o quando beveva?” “E quando beveva di più.” E il GIP così completa il verbale: “specialmente quando beveva.” Quindi al verbale risulta, in quel verbale riassuntivo e meno male c’è quello con la trascrizione – risulta così: “Io non è che avessi paura del Pacciani, però mi intimoriva, perché era un po’ violento specialmente quando beveva.” E non ci siamo proprio bene, fino a qui. E l’interrogatorio, quello trascritto è quello, invece, rimesso, risistemato nel verbale sono tutti su questo tono: “Il GIP interviene sulle risposte modificandole nel verbale che detta, e poi, inducendo in qualche modo, l’interrogato a modificare la sua dichiarazione.” A questo punto, risulta al verbale – in quel verbale – consacrata la violenza di Pacciani che intimoriva il Vanni; ed era diventata un fatto acquisito. Tanto è vero che il Pubblico Ministero dice : “Senti, da questo momento in poi”, a chiedere a Vanni “che violenze, che tipo di violenze gli ha visto fare?” Per dire che era violento, il Pubblico Ministero, andando avanti — ora siamo tornati nella trascrizione – il violento anche lui lo ha preacquisito, per dire che era violento… Ed il GIP insiste : “Violenze nel senso chi minacciava, imprecava, tirava cazzotti, labbrate?” E Vanni dice: “No, a me non ha mai tirate.” Allora, a questo punto, quando… quando noi troviamo questa dichiarazione di Vanni contenuta nel verbale il 19 febbraio del ’96, a pagina 5, ed è il verbale riassuntivo. 

Avvocato?: Riassuntivo. 

(voce non udibile) 

Avv. Nino Filastò: Sì, sì cerca, cerca. E un c’è. Te lo dico io: un c’è. 

Avvocato?: (voce non udibile) 

Avv. Nino Filastò: No, te lo dico io, un c’è. Il Vanni dichiara: “Sì, ho parlato con Lotti nella piazzola di Vicchio, ma io non ci sono stato.” 

Mario Vanni: No. 

Avv. Nino Filastò: No, vero? No, deciditi. 

Mario Vanni: No, mai. 

Avv. Nino Filastò: Uh, bravo. Chiestogli perché ne ha parlato con il Lotti se lo avesse invitato, effettivamente, a non parlare di quel fatto nei bar, il Vanni dichiara: “Può darsi”, si legge questa cosa qui; a me mi è venuta la curiosità di andare a vedere la trascrizione. 

Avv. Antonio Giuseppe Mazzeo: E non c’è. 

Avv. Nino Filastò: E nella trascrizione non c’è. 

Avv. Antonio Giuseppe Mazzeo: Si è rotto, difetto tecnico. Dice difetto tecnico. 

Avv. Nino Filastò: Perché, per un difetto tecnico, non ha funzionato l’apparecchio o la voce, di Vanni era troppo bassa. 

Avv. Antonio Giuseppe Mazzeo: Sì, sì. 

Avv. Nino Filastò: Non mi piace a me questa cosa, scusate, ma a me non piace. Punto, punto, punto. Alla luce di quello che ho detto prima e di quel che abbiamo visto prima di questo travaso da una situazione ad un’altra, questa mancanza di questa cosa non mi piace. Ora però, questa cosa, il Vanni la dovrebbe ridire e a questo punto mi tocca, per forza, usare ancora una volta il condizionale anche il giorno 27 marzo del 1996. Anche qui, dice: “È vero che il Lotti mi parlò della piazzola di Vicchio, ma non ricordo, con riferimento a quali fatti o episodi o particolarità del luogo. Io non ci sono mai stato.” Sentite come parla bene, lei, però tante volte. Insomma sembrerebbe… E invece… 

Avvocato?: C’è nella trascrizione questo? 

Avv. Nino Filastò: Il verbale è 27 marzo del ’96. No, te lo dico io, non c’è. Quando la trascrizione c’è…E siamo a quel verbale interrogatorio che vi ho citato a suo tempo, condotto dal dottor Vigna, il signor Vanni dice: “Io, non m’ha mai parlato della piazzola. Chiaro e punto.” Oh! Come? 

Presidente: (voce non udibile) 

Avv. Nino Filastò: E… Presidente la data non me la ricordo. È citato, nella mia discussione, si ricorda quando ho fatto riferimento a “quell’ometta lei?” Eh, è quel verbale lì. 

Avv. Antonio Giuseppe Mazzeo: 21/10. 

Avv. Nino Filastò: 21 ottobre. Lì, in quella sede, il Vanni dice: “No io, nella piazzola? E chi mi ha parlato della piazzola?” Che in questo caso, qui, abbia voluto dire: “Ma, me lo avrà anche parlato; parlava di tante cose può anche avermi parlato di una piazzola a Vicchio, ma io che ne so? Non ci sono mai stato.” E che questo sia stato tradotto in questo modo. Possibilissimo. 

Avv. Nino Filastò: Perché possibilissimo? Possibilissimo, perché c’è questa ansia che sta dietro ‘a questo interrogatorio, come vedremo meglio, affrontando alla fine i signori: Lotti e Pucci di cui vi ha già parlato – con riferimento alle loro dichiarazioni dibattimentali, con riferimento all’incidente probatorio — a lungo e molto bene il collega: avvocato Mazzeo. E siccome, con l’avvocato Mazzeo ci siamo divisi i compiti per non tediare. questa Corte, che ha già avuto tantissima pazienza ad ascoltarmi per tutti questi giorni; io di quello che ha detto l’avvocato Mazzeo, non ripeto nemmeno una sigla, perché non sarebbe il caso, lo ha già detto lui ed è registrato. A me interessa, a questo punto, alcuni dati che qualificano quell’indagine che il Pubblico Ministero l’ha definita ampia, puntigliosa, attenta e via aggettivando. E questa indagine, da questo punto di vista – con riferimento agli esami di Lotti, in particolare, che da un certo momento diventa un imputato, ma prima è un testimone — io quest’indagine puntigliosa, attenta, eccetera ve la qualifico e ve la raccomando con riferimento ad un punto solo, prima di tutto: che è il verbale di interrogatorio del 12 giugno del 1996 , alle ore 16.30; in cui si legge .- ..alla., metà di questo verbale — questo. A domanda risponde -Lotti, già imputato a questo punto: “Dell’omicidio di Scandicci, del 1981, vicino alla discoteca Anastasia, ne ho sentito parlare solo in televisione; né Pacciani né Vanni me ne hanno parlato. La stessa cosa devo dire anche per gli omicidi precedenti di cui ho sentito parlare solo in televisione.” … Voi pensate, che oltre questa domanda e questa risposta, il processo, con riferimento alla posizione di Lotti, contenga qualche altra cosa? Qualche altra domanda? Qualche altra richiesta di precisazione su questo punto? Sul fatto che abbiamo a che fare con un unico caso criminale che percorre un arco di quasi trentanni, ve ne ho già parlato, ve l’ho già detto e non sto a ripetermi. Inquirenti approfondiscono questo aspetto così e basta; si contentano di questo che dice questo signore, in quest’occasione. E finisce il discorso. E non se ne riparla più, ecco. E allora, voi mettete insieme: non c’è solo la mancata perquisizione alla casa del Ponte Rotto; non ci sono solamente i quindici testimoni di Baccaiano che nessuno pensa di ascoltare; ma persino quando abbiamo l’imputato confesso e chiamante in correità che è lì, che ci può spiegare tutto su questo punto con riferimento agli altri omicidi, ed in particolare quello di Scandicci — che è avvenuto quattro mesi prima, con le stesse identiche, modalità — fa questa domanda, si accontenta della risposta. Come dice Dante: “State contenti, umana gente, al quia che si è possuto aveste saper tutto, mestier non era partorir Maria.” E fine del discorso. No, no, io non ci sto. E penso non ci starete nemmeno voi. Allora, che altro c’è da dire? C’è da dire questo: che il collega vi ha indicato, individuandole, una serie di gravi contraddizioni, gravi contrasti, verosimiglianze, falsità plateali in cui è incorso Lotti; e però, ho sentito dire che tutto questo potrebbe essere, in qualche modo, spiegato con una sorta di progressione attraverso la quale Lotti da cauto e centellinatore delle sue informazioni non parla, non dice, eccetera. Ma non è così. Perché su alcuni punti di notevole importanza, il signor Lotti, non si comporta in questo modo. Per esempio. Siamo al primo interrogatorio — uno dei primi interrogatori – dell’11 febbraio del ‘96, esame, perché allora, a questo punto, lui ancora risponde soltanto come testimone e il Lotti dice: “Quello che aveva la pistola, mi- pare, era più alto.” Beh, scusate, ma più alto o più basso dal punto dì vista della sua volontà di difendersi, non credo che conti molto. Non ha nessuna rilevanza, no? Dal punto di vista di quello che lui vorrebbe fare… tenersi delle informazioni, dire che uno che ha la pistola, e quello con il coltello; uno è più alto e l’altro è più basso; non è che ci sia poi, voglio dire… Allora, perché sbaglia così platealmente rispetto a quello che dirà dopo? Tanto è vero, l’11 febbraio del ’96, alle ore 19.15 — dopo che gli sono state lette su contestazione, le dichiarazioni di Pucci e che i due gli è stato detto erano Vanni e Pacciani — dice di aver visto il giovane, uscire dalla tenda e il Pacciani sparargli contro; e il Pacciani dei due, è il più basso. Quindi, si è ribaltata completamente l’altezza di queste due persone. Ma sempre, con riferimento a questo interrogatorio dell’11 febbraio del ’96 – che io vi raccomando con particolare attenzione – qui si chiarisce. Perché, qui stiamo esaminando non tanto la confessione che già è stata esaminata, approfondita dal collega, quanto l’aspetto e la chiamata di correo del signor Mario Vanni. Beh, su questo punto… qui, c’è qualcosa che proprio non va. E cos’è che non va? Non va proprio come esce il nome di Vanni. Perché… 

Mario Vanni: Io non so nulla di tutta questa storia. 

Avv. Nino Filastò: Lo so che non ne sa nulla. È inutile che continua a borbottare. … Chiarisce un identikit; l’ha fatto Pucci. C’è un esame di Pucci del 2 gennaio del ’96 che non avviene, purtroppo, in un ufficio del Pubblico Ministero, avviene in un ufficio di Polizia, beh… E qui Vanni è il leit motiv, eh? Vanni ha prostitute, Vanni falli di gomma, Vanni si accompagna a Pacciani… Fino a contenere questo esame del Pucci — sto parlando di Pucci – una fandonia plateale che riguarda il racconto al bar. Perché, in questa sede, il Pucci dice che al bar avrebbero, parlato di aver visto queste persone che li hanno minacciati; e che, da questo vero, loro avevano avuto paura ed erano scappati. E questo è risultato non assolutamente non vero che le persone interpellate al bar, salvo l’orefice, dice: ‘ma, mi pare di aver sentito parlare che qualcuno c’era passato’; nessuno si ricorda una circostanza di questo genere e viceversa per come viene raccontata qui, da Pucci, doveva esservi importante. Poi Lotti, si sta parlando del verbale dell’11 febbraio del ’96, a pagina 5, mentre viene interrogato “chiede” tra virgolette – 11 febbraio ’96, verbale, Lotti — chiede all’ufficio che nomi abbia fatto Pucci; ma l’Ufficio non palesa al Lotti tali nomi”. È giusto, eh. Ci mancherebbe altro! Se qui siamo alla ricerca di una chiamata di correo, che sia valida e che non sia, in qualche modo, suggerita o suggestionata da qualcuno, da qualche cosa… guai, vero, a dirgli chi sono queste persone che chiama in correità, il signor Pucci, e che Pucci colloca in una certa situazione. E che cosa avviene? Qui siamo circa alle ore 13.00, perché l’interrogatorio comincia alle ore 11.00, 11.45 visto perché, probabilmente, il signor Lotti si alza tardi la mattina… Comunque alle 13.00, passano cinque o sei ore e si va, immediatamente dopo, alle 18 e qualche cosa, a far che? A fare un confronto con il Pucci. E nell’interno di questo confronto, durante questo confronto il Pucci dice che furono minacciati di essere fatti fuori e gli toccò di andare via. E aggiunge che uno era Pacciani e che quello con il coltello gli sembrava Mario Vanni. E così bell’è fatto col signor Lotti, vero? Ma, da questo momento sa che non fa.. . 

Avv. Antonio Giuseppe Mazzeo: Oh, meno male gliel’hanno detto. 

Avv. Nino Filastò: … non c’è verso. Prima, capito? Si è detto: “No, no, sta cosa noi non gliela palesiamo a lei.” Poi si chiama Pucci, gli si fa fare il confronto e dopo, nell’interrogatorio — immediatamente dopo che comincia alle 19.45 — ecco, vah, il Lotti che tira fuori il nome di Vanni. È questo come vien fuori questo nome di sta persona; salvo che, poi al dibattimento — ho parlato l’altro giorno e non ne parlo più – dibattimento : “Vanni?” “Vanni no.” Vanni no per tre volte, su tre circostanze diverse che riguardano: la gita dalla Ghiribelli — e questo lo sapevamo di già – se il Vanni andava mai dalla Gabriella; se quella sera erano andati loro, Pucci e Lotti, dalla Gabriella. “Non fu quella sera lì, andammo al cinema.” Però in questa occasione, lei, non l’ha riconosciuto lì, agli Scopeti?” “No. In quell’occasione lì, no.” “Chi riconobbe dei due, lei?” “A me mi sembra il Pacciani, un lo so.” “Quindi anche lei riconobbe solo il Pacciani; è così?” “Sì.” “Il Vanni no?” “No, il Vanni no. Il Vanni no.” E basta è fine, è così. Allora, qui a questo punto, che altro si può dire? Andare a cercare qualche cosa che non può essere inserito nella cosiddetta “progressione”, nella progressività di cui ha parlato il Pubblico Ministero, ma che rappresenta, invece, gualche cosa di diverso. Ma, prima di questo, c’è un’altra cosa imbarazzante, anche questa, da dire. Che cos’è? Confrontate le primissime dichiarazioni di Lotti e di Pucci; e vi accorgerete che tutti e due, entrambi, l’uno e l’altro dicono – a proposito del motivo per cui si sono fermati lì, in quella, piazzola — la stessa falsità.: “Per fare un bisogno.” 0 “per pisciare dice un altro. “un po’ d’acqua.” E ora noi sappiamo che dal loro racconto successivo, dovrebbe essere questa una falsità. Allora, chi è che l’ha messi d’accordo questi due? Come mai si trovano d’accordo a riferire una panzana? Che specie di relazione c’è stata preventivata a questi due? Allora poteva dire: “Ci siam fermati per vedere il panorama.” Un altro poteva dire: “Ci siam fermati…” No, tutti e due ‘per far l’acqua’. E tutti e due dicono che gli scappava a quell’altro. È un indagine, questa qui, che va avanti così, si struttura in questo modo, procede in questa maniera. E procede in questa maniera, quando? Perché poi, tutte le cose, hanno la loro – spiegazione. E anche questa ce l’ha, spiegazione, ma quando? Voi, a questo punto, l’elemento, il dato sul quale potete affidare una serena valutazione, è quella: “Il catalogo delle donne che amò il padron mio”. “Madamina, il catalogo è questo e le donne che amò il padron mio”. 

Avv. Antonio Giuseppe Mazzeo: (voce non udibile) 

Avv. Nino Filastò: Vale a dire la lista degli atti del Pubblico Ministero. E guardate le date e vedete quanti mai atti vengono fatti nel mese di febbraio del 1996. E guardate l’intensità, il lavoro di questi inquirenti in quel momento, quando sta per scattare la sentenza di assoluzione di Pacciani. E come vedete, molti di questi atti, culminano col mandato, con la misura cautelare in carcere, per il signor Vanni. Che viene immediatamente spedita al dottor Tony, che sta reggendo l’accusa nel processo di Pacciani davanti alla Corte di Assise di Appello. E voi capite, allora. Voi capite il clima, capite la concitazione, capite anche queste cose che avvengono; persone che si trovano d’accordo a parlare di una cosa, che poi dopo si trovano d’accordo a modificare certe dichiarazioni, perché questo anche avviene. E, insomma, questo accani… questa, come dire, ansia indagatoria che prende un po’ tutti, perché c’è una tesi accusatoria che deve essere salvata. C’è un processo che deve essere salvato. E qui, a un certo punto, dentro a – questo brutto intreccio, c’è rimasto incastrato questo poveruomo. E così, andando avanti, che si deve dire? Alcune cose: esaminare delle incongruenze di questi soggetti, vale a dire Pucci e Lotti, sotto il profilo di quel che — interrompendo il collega — ho definito “il taccon e il buso”, vale a dire, “la toppa e il buco”, che, tante volte, la toppa è peggiore del buco, perché indica qualche cosa che non funziona. Ecco, interrogatorio… Trascrizione, questa volta, dell’atto di individuazione dei luoghi con Lotti il 13 febbraio del 199 6, sempre indagini preliminari. Io non parlo del dibattimento, ne ha parlato il collega. “Al ritorno, a che ora partiste da Firenze?” “Sarà stato verso le sei e mezzo, qualcosa di | più.” “E qui a che ora arrivaste?” Lotti: “Era buio su, verso le sei, le sette, le sette e mezzo”, dice. E non torna mica, vero, eh. 

Presidente: Ma a Vicchio? 

Avv. Nino Filastò: No, no, stavano agli Scopeti, Presidente. Gli Scopeti, sì. È la gita che avrebbero alla Ghiribelli, poi ritornando su. Dopo la Ghiribelli tornano’ su. Ecco che dice: “Lei sei, le sette, le sette e mezzo.” Ora, che ha a che fare questo con la progressione? Tanto è vero che, immediatamente dopo, ecco subito la toppa al buco. Il Pubblico Ministero, Canessa, dice: “Ci vuol spiegare esattamente l’ora, a che ora arrivaste? Ci spieghi un po’ meglio, via.” E Lotti dice: “Verso… l’era… le 11.” (ride) “Ma prima aveva detto…” — il dottor Canessa, dice: – “Ma prima aveva detto le sei. Si è confuso?” “No, mi sono confuso un pochino…” “Verso quell’ora lì, sulle 11…” Poi, tanto per dire, insomma, sempre questo verbale di individuazione dei luoghi con Lotti del 13. febbraio del ’96: “Chi è che gli è andato dietro?” — dice il dottor Canessa. E il Lotti fa: “Uno di loro.” Il dottor Canessa: “Chi?” E Lotti risponde: “Un certo Pacciani.” Questo “Un certo”, è un capolavoro. Che dica: “Un certo” Pacciani”, no? È fantastica questa cosa. “Un certo Pacciani.” Poi dice: “C’era un pochino di luna…” – invece sappiamo che è falso, perché la luna non si era ancora alzata a quell’ora, perché si alza dopo… Sentite l’insistenza, come si vuole indicare guai… con cui si interroga. Sempre questo solito verbale di individuazione dei luoghi, il dottor Crini dice: “Certo, ed è lì, che lei poi li ha potuti riconoscere”, qui è il dottor Crini. E Lotti dice: “Può darsi che ci abbiano riconosciuti anche noi.” Crini: “Ed è lì che lei li ha riconosciuti?” E questo continua a rispondere, ‘dove vai, le son cipolle’, lui dice: “Sennò ci dovevano ammazzare tutti e due.” “Ed è lì che lei li ha riconosciuti?”, tre volte. Ancora. Beh, insomma, qui, questo che poi lo avete anche visto, questo verbale, insomma, è una cosa che, a un certo punto, imbarazza il dottor Fleury, non c’è niente da fare. “Ecco, quando lei è andato alla macchina” – dice il dottor Fleury — “Avete acceso i fari, c’erano già stati tutti gli spari?” “Sì, e venivan contro di noi. E noi ci toccò andar via, a quel punto lì”, risponde il Lotti. Quindi, la storia delle escissioni, la gente dentro la tenda tutti e due, la buca, corri un quarto d’ora, dieci minuti… sparisce tutto. E allora dice: “Ma è sicuro?” … “Sì, sì.” E il dottor Fleury dice: “Sospenda un pochino.” “Sospendiamo, sì sospendiamo.” E si sospende, chiaramente. Perché poi, poi si riprende. E alla fine dice: “Lotti, dove, a che punto si trovava lei?” “Dove c’è la macchina, la prima qui.” “La scura, o la chiara?” ”No, questa qui, la più scura”. “L’Alfetta?” Insomma, è in una posizione tale che luì, da quella Alfetta, non lo può vedere. E allora il dottor Fleury, ecco: “Direi che si può chiudere il verbale.” E Lotti dice “Perché se la macchina era più indietro-, io non li potevo vedere bene…” “Lasci fare” —dice – “Lasci fare.” E sì chiude il verbale… E così si va avanti con questo signore, in questo modo. In cui,, a un.. certo punto, si trova queste due indicazioni, che sono importanti per quello che vi sto dicendo. E che riguardano… niente, è finito da qualche altra parte. Ah, eccolo l’interrogatorio di Lotti, del marzo del 1996 . E per l’esattezza 6 marzo 1996. Vi indico queste due cose e poi chiudo, perché francamente sono molto stanco, non ne posso più. Siamo alla pagina 2 di questo verbale di interrogatorio del Lotti del 6 marzo 1996. “Vidi quindi il Vanni che, con il coltello che aveva in mano, tagliava la tenda verticalmente da una parte…” 

Mario Vanni: Unn’è vero… 

Avv. Nino Filastò: E lo so che non è vero, Vanni. 

Mario Vanni: Eh, e lo dice. Io… 

Avv. Nino Filastò: Lo so, ma io sto leggendo… Capisce? 

Mario Vanni: Ho capito, l’ha ragione. 

Avv. Nino Filastò: Non sto dicendo quello… 

Mario Vanni: Si, si, ho capito. 

Avv. Nino Filastò: …che dice Lotti. Per dire che dice Un sacco di fandonie. 

Mario Vanni: Sì, sì. Questo bugiardo! Pazzo… 

Avv. Nino Filastò: Questo bugiardo. Pazzo. “Vidi quindi il Vanni. Con il coltello che aveva in mano tagliava la tenda verticalmente da una parte e subito dopo entrava dentro. 

Mario Vanni: (voce non udibile) 

Avv. Nino Filastò: Quindi non c’è niente da fare. Lui sta descrivendo una persona che taglia la tenda e poi si inserisce dentro dal taglio. Non c’è niente da fare, sta così. Poi dopo, “peso el taccon del buso”, cercherà di rimediare in vario modo: ‘ma non l’ho visto, non so dov’era Pucci. Anche lui…’ Eh, no, ma è la cosa che è andata così. Non c’è niente da fare. E l’altro dato, altrettanto falso, impossibile, è quello che riguarda, invece qui, quello là del delitto degli Scopeti. Ora qui siamo invece al delitto di Vicchio, che riguarda la povera Pia Rontini. “Ebbi modo anche di vedere…” Questo è’ l’interrogatorio che lui rende il giorno, il Lotti, l’esame che lui rende… No, no, è lo stesso quello di prima. È quello stesso interrogatorio che ho detto prima. Lo stesso interrogatorio che ho detto prima, dice: “Rimaneva nei pressi della macchina e si occupava del ragazzo.” Poi l’avvocato Mazzeo vi ha indicato fino a che punto dice: ‘no, il ragazzo… però il ragazzo, la ragazza no. E quindi la ragazza venne uccisa col coltello…’, tutte quelle storie lì che vi ha dettagliatamente indicato e molto importanti, che vi ha indicato dettagliatamente il collega: “Debbo dire che… dice testualmente: “Debbo dire che la ragazza, mentre veniva trascinata nel campo, faceva ancora qualche strillo.” I gemiti vengono dopo, come la pezza. Ma all’inizio sono strilli. E qualsiasi neurologo vi dirà che quella ragazza, con quelle lesioni, non può emettere – e poi ve lo hanno detto anche al dibattimento i periti – non può emettere suoni volontari. Tutto quello che può fare quella ragazza, in quel momento, è emettere un suono che, in termine tecnico, si chiama respiro stertoroso. Vale a dire una specie di gorgoglio di gola, un rantolo, che può sentire e questo potrebbe essere, introdotto da quel terzo difensore di cui vi ho parlato ieri che magari può sentire qualcuno che gli sta proprio addosso. Ma uno che, come dice lui, sta a quanto? 2-3-10-12 metri, no… E poi c’è tutto il resto che vi ha detto il collega e che io non vi ridico. Ed è tutto quello che, da un punto di vista giuridico — che poi la conclusione deve esser quella — qualifica una confessione di assoluta inattendibilità e comunque una chiamata di correo che, comunque voi la vogliate intendere, è la peggiore che vi sia mai capitato di vedere. Viziata dall’interesse introdotta in un modo che abbiamo visto, come abbiamo visto, con un nome che viene fuori, come lo abbiamo visto venir fuori. Con degli inquirenti che sono, in qualche modo, come la Frigo: ossessionati da una ricerca di qualche cosa; che ha tutte quelle tare che sappiamo; che è contraddetta da alcuni elementi fondamentali, come quelli che riguardano la assenza di un secondo passeggero nella macchina, vista da Frigo, a tutto concedere. E in che cosa, anche? Nel Nesi Lorenzo, che vede lui un passeggero in quel posto. E non riconosce l’amico suo di 40 anni. E tutte quelle altre cose che vi ho detto fino a questo momento. E con questo vi ringrazio di avermi ascoltato fino ad ora. Assolvete Mario Vanni, assolvete questo buonuomo. Assolvete questo buonuomo. Questo che viene indicato dal teste don Polidori, come una persona pia, come una persona che va a Messa tutte le domeniche e che si confessa molto… sì, che si confessa, e che fa la Comunione… Perché sulla confessione, gli ho fatto una domanda, mi ha risposto: ‘avvocato, si occupi dei fatti suoi’. E che fa la Comunione molto spesso. Eccolo qua il don Polidori, il quale dice, vi racconta e così si chiude ancora col mio paziente: “Lei lo conosce?” “Da sempre, da 3 7 anni.” Io gli chiedo: “Senta, che le risulti, è cattolico?” “Cattolico praticante. Veniva assiduamente in chiesa, faceva anche la Comunione.” “Con che frequenza?” “Ora, di preciso…- a fasi alterne. In certi periodi anche assai” spesso, addirittura anche quotidianamente. Gli si chiede se sa dei litigi che c’erano. Dice: “Sì, mamma Giulia, ogni tanto veniva e diceva: ‘eh, non vanno d’accordo questi due figlioli”. E si riferiva a quell’epoca trascorsa di 34 anni fa, che è costata quel processo a Vanni. “Si litigano?” “Si litigano un po'”, tutto qui. “E quando?”, gli chiedo io. “Mah, i primi anni dopo il matrimonio.” Perché poi dopo quest’uomo si è rassegnato, ha tenuto questa donna con sé, come due buoni compagni, no? E così siete andati avanti fino a ora. 

Mario Vanni: Sì, eh. 

Avv. Nino Filastò: E certamente. Eccolo qua: “La figlia era molto malata…” Se il Pubblico Ministero mette in dubbio quel che dice questo teste, perché dice che non sapeva nemmeno che aveva una figlia. Poi dice: ‘sì, mi pare che avesse una figlia’, alla fine dice don Polidori. Certamente, questa figlia, non è che la sbandierassero a tutti, questa povera bambina, in questo stato, nata in quel modo. Non perché qualcuno l’aveva buttata dalle scale, ma perché la madre, ha quella tara che noi sappiamo e che è documentata anche nel processo. Assolvetelo, perché non c’è proprio altro da fare in questo processo. Ho detto, avrei, mi sarei messo accanto a voi a frugare queste carte; ho fatto quello che dovevo fare da questo punto di vista. Credo di aver fatto quello. Se poi qualcuno dice che ho fatto delle ipotesi, che ce l’ho con la Polizia, non è vero un’accidente. Ho fatto l’ipotesi di quel genere per quelle ragioni che ho detto. Ma più che altro ho lavorato, ho lavorato duro. Molto, molto duramente, molto sodo, guardando tutto quel che c’era da vedere e che vi ho esposto in questo modo, come vi ho esposto, per concludere come ho concluso. Salvo quella conclusione di ipotesi che la gentile signora Elisabetta ha già registrato. Grazie ancora, Signori. 

Presidente: Pubblico Ministero, il programma suo qual è? Quale… Dura molto? 

P.M.: “Eh, un po’ dura, Presidente. Quindi… 

Presidente: Allora, vogliamo andare a domani mattina, o vogliamo iniziare oggi, vuol fare anche oggi pomeriggio? Cioè, la esaurisce domani, o no? 

P.M.: No, preferirei, Presidente, se mi concede, dopo una breve interruzione, iniziare oggi e fare un’ora, due e continuare domani mattina. 

Presidente: Ah, benissimo. Benissimo. 

P.M.: Va bene? 

Presidente: Okay. Allora diciamo un quarto d’ora, 20 minuti. Va bene? 

P.M.: La ringrazio. 

Avv. Nino Filastò: Ah, Presidente, queste cose qui io le vorrei… le vorrei allegare, eh. 

Presidente: Ce le dia, vai. Tanto le carte non è che… 

Avv. Nino Filastò: Questa qua… 

(brusio) 

Avv. Nino Filastò: Che è sicuramente utile, perché è molto dettagliata, parla molto bene. È dell’Istituto Geografico Militare, non è una cosa…

12 Marzo 1998 69° udienza processo Compagni di Merende

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