Chi era davvero Pietro Pacciani? Vita di un presunto mostro

Il Messicano

Pietro Pacciani nasce a Vicchio del Mugello, in provincia di Firenze, il 7 gennaio del 1925, in una  povera famiglia contadina composta da cinque persone: Pio (un mezzadro) e Rosa, i genitori, e tre figli: il nostro Pietro, Rina e un altro fratello, deceduto in tenera età. Terminata la terza elementare, Pietro abbandona la scuola e dedica la sua vita, com’è d’uso in quei contesti, ad aiutare suo padre nei campi. L’esistenza scorre sempre uguale, lenta e durissima, sino al 1943: siamo in pieno conflitto mondiale e il diciottenne Pacciani viene chiamato alle armi. Pietro non ha la minima intenzione di andare a morire per la patria e diventa un disertore, nascondendosi nei boschi insieme ad altri coetanei della sua zona. Nel 1944 L’Organizzazione Todt, un ente di costruzioni che opera nella Germania hitleriana e in tutti i territori occupati dalla Wehrmacht, comincia ad edificare la Linea Goticauna mastodontica struttura fortificata ubicata tra il Centro-Nord e il Sud dell’Italia, per tentare di bloccare l’avanzata delle truppe anglo-americane, iniziata nella parte meridionale del nostro Paese. I nazisti hanno fretta e quindi trasformano in muratori moltissimi abitanti delle aree attraversate dalla Linea, ricompensandoli principalmente con cibo e sigarette.

L’enorme struttura difensiva delimita anche la località di San Bavello, a circa 50 chilometri da Firenze, un territorio drammaticamente impoverito dalla guerra. Molti maschi in età da lavoro residenti nei pressi di quel luogo, circa 300, si offrono volontari: tra loro c’è anche Pietro Pacciani. Ben presto gli alleati bombardano San Bavello mentre gli operai lavorano: muoiono quasi tutti. I superstiti, tra i quali c’è il Nostro,  ovviamente si impauriscono e scappano, rifugiandosi sui monti, mentre i tedeschi li cercano per riportarli coattamente in cantiere. È durante questo periodo di latitanza che Pacciani incontra dei partigiani, membri della Brigata Garibaldi Lanciottoe si unisce a loro, acquisendo un buffo nome di battaglia: Paletta. In questo lasso di tempo Pietro si rende protagonista di un vero e proprio atto di eroismo. Un suo compagno, Dante Ricci, viene colpito da un proiettile vagante e si accascia. Pacciani gli tampona la ferita con la sua camicia, poi lo carica sulle spalle e lo porta sino all’ambulanza, salvandogli di fatto la vita.

Pochi mesi dopo a tutte le divisioni partigiane toscane viene ordinato di raggiungere Firenze durante le ore notturne. Sulle sponde dell’Arno nasce un sanguinoso conflitto a fuoco tra partigiani e truppe tedesche: Pietro molla fucile e bombe a mano e corre verso Vicchio, cercando riparo nella casa paterna. La sua brigata nei giorni successivi lo cerca ovunque. Pio Pacciani viene interrogato più volte, ma chiaramente “copre” suo figlio sempre e comunque. La guerra termina con i ben noti esiti: Pietro se l’è cavata egregiamente in tutte le situazioni, portando costantemente a casa la pelle.

Arriva il momento del servizio di leva. Nel 1947 Pacciani, dopo l’addestramento ad Avellino, viene destinato a Novara, poi presso la scuola mitraglieri di Cesano (Roma). Terminato il corso, finisce a Varallo Sesia – provincia di Vercelli – dove conosce Carla Viotti, con la quale inizia una frequentazione. La relazione prosegue, seppur per via epistolare, anche dopo un ulteriore trasferimento di Pietro. Nelle numerosissime lettere Pacciani promette a Carla che dopo il congedo dalla leva militare l’avrebbe sposata. La ragazza piemontese, però, a un tratto scrive allo spasimante toscano che dei problemi di famiglia l’avrebbero portata lontano e lo lascia. Pietro prova a chiedere ulteriori spiegazioni, ma le lettere gli vengono regolarmente rispedite indietro dai genitori della sua ormai ex fidanzata.

Da perfetto campagnolo di quegli anni, però, Pacciani sente l’esigenza di mettere su famiglia e continua quindi a cercare moglie. Tramite un’amica, il contadino di Vicchio inizia un rapporto epistolare con una ragazza calabrese, Carmela Scanzo. La giovane donna, figlia di un funzionario statale, vuole accasarsi e ha dei sani principi morali. Dopo un intenso scambio di lettere, Carmela invita Pietro a Palmi (Reggio Calabria): vuole ufficializzare il fidanzamento presentandolo alla sua famiglia, per poi organizzare le nozze. In prossimità del fatidico incontro sorge un imprevisto: Pacciani viene colpito da una brutta broncopolmonite, quindi la conoscenza con la sua futura sposa salta. Carmela la prende malissimo, perché si sente tradita, e chiude per sempre il rapporto.

Nel 1949 Pietro si fidanza con Miranda Bugli. La ragazza abita a Casanova del Poggiosecco, un borgo di campagna della provincia di Firenze, a circa 7 chilometri dal podere in cui Pacciani fa il mezzadro insieme alla sua famiglia. I due si vedono mediamente due volte alla settimana, di solito il giovedì e la domenica. Arriviamo al 1951: Pietro e Miranda sono fidanzati da circa due anni e stanno organizzando il loro matrimonio. Un giorno Pacciani decide di fare un’improvvisata alla sua bella, ma quando arriva in paese non riesce a trovarla. Dei braccianti gli riferiscono di averla vista nel bosco, in località Tassinaia, a pascolare le pecore: un compito solitamente affidato ai fratelli minori di Miranda. Pietro si insospettisce e ha ragione: poco dopo sorprende la sua ragazza nel bel mezzo di un rapporto sessuale con un compaesano, Severino Bonini. A quel punto la Bugli, correndo verso il suo promesso sposo, urla di essere stata condotta in quel luogo e poi violata da quell’uomo con la forza. Pietro si scaglia contro il bruto, ma ha subito la peggio: tra i due ci sono almeno venti kg di peso di differenza e inoltre il Bonini è noto per la sua ingente forza fisica. Pacciani si ritrova in men che non si dica con il braccio di Severino intorno al collo e ha enormi difficoltà a respirare. Per salvarsi la vita, quindi, estrae dalla tasca il coltello a serramanico che porta sempre con sé e trafigge Bonini, uccidendolo.

Quella appena raccontata è la versione di Pietro e Miranda, ma è altamente probabile che i fatti si siano svolti diversamente. Il cadavere martoriato di Severino Bonini viene ritrovato nei pressi di un lago, sotto un cumulo di foglie e con un masso legato al collo tramite un filo di ferro. È stato attinto da ben 19 coltellate, tra volto, torace e schiena. Inoltre gli è stato sottratto il portafoglio. Molti abitanti della zona, compresi i familiari del defunto, sono convinti che l’assassinio sia la diretta conseguenza di una rapina, con Miranda nel ruolo di esca atta ad attirare il povero Severino in una trappola mortale, ordita da Pacciani ed altri complici.  Oltre ai due giovani fidanzati, però, nessuno viene coinvolto nell’iter giudiziario.

La coppia viene arrestata pochi giorni dopo il delitto. Il difensore di Pietro è Dante Ricci, l’uomo a cui Pacciani ha salvato la vita durante la guerra, che nel frattempo è diventato un avvocato penalista. Dopo tutti i gradi di giudizio, il 18 dicembre del 1952 scatta la condanna definitiva: Pacciani viene giudicato colpevole di omicidio, occultamento di cadavere, atti osceni (pare che subito dopo il fattaccio si sia congiunto carnalmente con la sua fidanzata, a poca distanza dal cadavere ancora caldo), furto pluriaggravato e altri reati minori, e gli viene comminata una pena di 18 anni, cinque mesi e cinque giorni di carcere. Miranda Bugli, giudicata colpevole di concorso in omicidio ed atti osceni, prende 10 anni e un mese di reclusione.

Durante la detenzione la Bugli scrive a Pietro più volte: vorrebbe convolare a nozze con lui una volta terminate le rispettive condanne. Pacciani la ritiene in un certo senso la causa del misfatto e le risponde con una lunga missiva tramite la quale mette definitivamente fine al fidanzamento.

Una amnistia riduce le pene di entrambi. Miranda sconta cinque anni di carcere, mentre Pietro soltanto tredici: torna in libertà nel 1964. Pur essendo vicinissimo ai quarant’anni, Pacciani, per ovvie cause di forza maggiore, non è ancora riuscito a formare una famiglia. L’anno successivo, in una balera nei dintorni di San Godenzo, un paesino della provincia di Firenze non lontano dal confine con l’Emilia-Romagna, conosce Angiolina Manni. La donna non è particolarmente avvenente, viene da una famiglia poverissima e disagiata ed è inoltre, per usare un’espressione politicamente corretta, una persona mentalmente molto semplice. Pietro è un modesto mezzadro quarantenne, per giunta con una condanna pesante nel curriculum, e sa benissimo di non avere troppa scelta: il 26 giugno del 1965 sposa Angiolina. Pacciani porta a vivere con sé anche il padre di sua moglie, vedovo da tempo. Ad un tratto però Pietro si accorge che tra la sua sposa e suo suocero c’è un rapporto ambiguo: ipotizza, insomma, una relazione incestuosa tra i due, quindi, senza pensarci troppo, caccia via il vecchio Manni. Nel 1966 nasce la prima figlia della coppia, Rosanna. Angiolina ha diversi problemi dopo aver dato alla luce la bambina e va addirittura in coma per quattro giorni. Secondo Pacciani, il difficoltoso parto rende sua moglie “seminferma di mente”, ma è molto probabile che la Manni in realtà fosse più o meno così anche prima. Nel 1967 nasce la seconda figlia di Pietro ed Angiolina, Graziella. Anche questo parto è travagliato: la bambina nasce prematura e finisce nell’incubatrice per diverso tempo.

Pacciani continua a fare il mezzadro anche dopo essere diventato un padre di famiglia: nel corso degli anni cambia diversi padroni e, per motivi lavorativi, si trasferisce con moglie e figlie in vari Comuni della provincia di Firenze. È conosciuto da datori di lavoro, amici e colleghi per il suo carattere fumantino: quando perde le staffe – e basta poco per far sì che ciò accada – diventa aggressivo e talvolta anche violento. Sin da giovane Pietro ha un soprannome, Il Vampala cui origine è, come accade non di rado per i nomignoli paesani, abbastanza incerta. L’ipotesi più accreditata collega il buffo appellativo al fatto che Pacciani si innervosisca spesso e che in quelle circostanze il suo viso diventi rosso fuoco. Un’altra versione racconta invece che il tutto abbia ipoteticamente inizio quando al litigioso bracciante si sia avvampato il viso nel goffo tentativo di imitare un artista di strada mangiafuoco in occasione di una sagra.   

In casa Pietro è autoritario, da perfetto padre padrone della vecchia scuola, anche e soprattutto perché ritiene sia la moglie che le figlie praticamente incapaci di intendere e di volere.

Alla fine degli anni Settanta Pacciani viene colpito da un infarto. In teoria, viste le sue precarie condizioni di salute, dovrebbe cambiare mestiere, ma sostanzialmente, dopo aver ottenuto un indennizzo, continua a grandi linee a condurre la vita di sempre, oltre a cercare delle entrate extra svolgendo piccoli lavori manuali (è una sorta di tuttofare) per conto di vicini e conoscenti. È anche un grande risparmiatore: spende poco e non butta via niente. Segue, insomma, il canovaccio di molte persone che hanno vissuto sulla propria pelle sia la miseria che la guerra: non si spreca nulla, si compra solo lo stretto necessario e – ultimo ma non per importanza –  qualunque cosa si può riparare, accomodare o riutilizzare in qualche modo.

Nel 1987 Graziella e Rosanna denunciano Pietro Pacciani. Secondo i verbali delle forze dell’ordine, le due ragazze affermano di subire abusi dal loro papà da anni. Il quadro che emerge dai racconti delle giovani è letteralmente terrificante: tutta la loro esistenza è costellata da brutalità di varia natura, sia fisiche che psicologiche, oltre a violenze sessuali ed imposizioni di ogni genere. Praticamente un incubo. Pacciani viene dipinto come una bestia senza sentimenti, che usa moglie e figlie come meglio crede, come se fossero degli oggetti di sua proprietà.

Pietro ovviamente non ci sta e cerca di difendersi in qualche modo: per lui dietro la denuncia delle due eredi c’è una sorta di complotto ai suoi danni. L’agricoltore del Mugello si autodefinisce un padre attento: racconta di aver cercato di far studiare le sue figlie in un Istituto privato gestito da un gruppo di suore. Visti gli scarsi risultati scolastici – prosegue Pacciani – compra una costosa e modernissima macchina da cucire e paga una donna per insegnare a Rosanna e a Graziella quantomeno a rattoppare camicie e pantaloni. Sempre secondo la sua versione, le ragazze si rifiutano di imparare anche soltanto le basi della sartoria e alla prima occasione utile vanno via da casa, trasferendosi a Firenze presso l’abitazione di un noto avvocato, dove si occupano di un bambino portatore di handicap, probabilmente il figlio della famiglia che le ospita, e di una anziana signora. A Pietro non va bene il nuovo lavoro delle sue figlie, perché è convinto che siano sfruttate/sottopagate.

Dopo qualche tempo, non si sa se per un intervento del padre o per altre motivazioni, Graziella e Rosanna tornano a vivere con i loro genitori. La maggiore ad un certo punto comincia a frequentare un giovane della zona, tale Luca, un perdigiorno che approfitta della semplicità della ventenne per ottenere facilmente sesso e denaro. Quando se ne accorge, Pietro vieta a Rosanna di continuare quella frequentazione, ma il suo ordine viene ignorato e i due fidanzati continuano a vedersi di nascosto. Pacciani lo scopre: chiaramente va su tutte le furie e riempie di botte la figliola disobbediente, che a quel punto fugge e chiede aiuto alla famiglia fiorentina presso cui ha prestato servizio poco tempo prima. Pietro a quel punto contatta gli ex datori di lavoro di sua figlia e chiede loro di convincerla a tornare a casa, altrimenti li avrebbe denunciati per lo sfruttamento lavorativo perpetrato nel recente passato nei confronti della stessa Rosanna e di sua sorella Graziella. Per evitare una sorta di scandalo, quindi, la famiglia dell’avvocato fiorentino convince la giovane sempliciotta a denunciare Pietro per abusi mai avvenuti, coinvolgendo nella stessa trama anche la secondogenita.

Gli inquirenti credono alla versione delle due ragazze. Il 12 febbraio del 1988 il Tribunale penale di Firenze  condanna Pietro Pacciani “per essersi innumerevoli volte congiunto carnalmente, anche per via orale, con le figlie Rosanna e Graziella (fin dalla loro tenerissima età) e che ha poi sottoposte le stesse e la moglie Manni Angiolina ad una serie continua di vessazioni fisiche e morali fino a picchiarle sistematicamente quasi tutti i giorni, anche a sangue, facendo uso di mani e calci nonché di bastoni, tenaglie, pinze e quant’altro gli capitava a portata di mano”.

Pietro ancora non lo sa, ma questo suo guaio giudiziario scoperchia un vaso di Pandora, visto che viene monitorato dalle forze dell’ordine già da qualche anno. Nel 1985, infatti, una lettera anonima  (l’autore della segnalazione si scopre qualche lustro dopo, tramite una perizia calligrafica: Floriano Delli, un bancario in pensione, ai tempi vicino di casa dei Pacciani) suggerisce agli inquirenti che il Vampa possa essere coinvolto in uno dei casi di cronaca nera più noti ed intricati della storia del nostro Paese, quello del Mostro di Firenze: otto coppiette brutalmente trucidate da mano ignota, nel corso di un decennio abbondante, mentre sono appartate nelle campagne fiorentine. La missiva contiene anche inesattezze ed esagerazioni, ma fa comunque in modo che Pietro venga inserito nell’elenco delle persone da attenzionare. La sopracitata condanna del 1988 chiaramente non fa altro che peggiorare la sua già precaria posizione.

Mentre è detenuto per gli abusi sessuali sulle figlie, Pacciani viene interrogato più volte riguardo personaggi e circostanze inerenti le vicende del MostroDa lustri gli inquirenti tracciano dei potenziali ritratti mostrologici, di conseguenza inquisiscono svariati possibili autori dei delitti delle coppie (i guardoni e la famosa pista sarda), ma per vari motivi puntualmente le accuse decadono. Analizzando il profilo di Pacciani, alcuni investigatori si convincono che possa essere l’uomo giusto.

Nel 1991 Pietro viene scarcerato, ma in regime di sorveglianza. A Rosanna e Graziella viene assegnata la casa paterna, mentre Pacciani e signora vanno a vivere in un’altra abitazione, a circa un chilometro di distanza dalla precedente, acquistata anni prima con i soldi del già citato indennizzo. Ruggero Perugini, zelante superpoliziotto all’americana, nonché dirigente della S.A.M. (Squadra Anti-Mostro), tallona il Vampa senza sosta e si reca più volte a casa sua per interrogarlo sugli otto duplici omicidi. Quasi certamente è già convinto che il presunto assassino seriale possa essere Pietro, ma quando va a trovarlo imposta i primi interrogatori in maniera quasi informale/confidenziale: Pacciani gli offre qualcosa, fumano una sigaretta insieme, e nel mentre parlano delle vicende. Più passa il tempo e più queste chiacchierate assumono connotati accusatori. Pietro ovviamente se ne rende conto e in più di un’occasione mostra a Perugini tutto il suo disappunto, chiaramente con la rudezza che lo contraddistingue da sempre.

Non finisce qui: arrivano anche le perquisizioni ai beni immobili riconducibili a Pacciani (due case ed un garage). Le proprietà di Pietro vengono scandagliate in lungo e in largo più volte: le forze dell’ordine trovano dei reperti che secondo loro potrebbero collegare il rabbioso contadino ad alcuni delitti del Mostro, fino alla cosiddetta prova regina: un proiettile calibro 22 serie H sepolto nell’orto della casa di Pacciani, la stessa tipologia (di difficilissima reperibilità da decenni) utilizzata nei delitti. Pietro fornisce una spiegazione per tutti i presunti indizi e afferma con forza di non sapere nulla della cartuccia (dice la verità, ma questo verrà provato soltanto molti anni dopo), ma non c’è niente da fare: il 17 gennaio del 1993 viene arrestato con l’accusa di essere il famigerato Mostro di Firenze.

Il processo Pacciani e quelli successivi ai famosissimi compagni di merende (Mario Vanni, il postino in pensione di San Casciano in Val di Pesa, in provincia di Firenze, ed il chiamante in correità Giancarlo Lotti, anche lui sancascianese) sono un enorme circo mediatico, un confusionario groviglio di nomi, circostanze, date, testimonianze surreali, personaggi da film di Ettore Scola o di Pasolini e chi più ne ha più ne metta. Un labirinto pazzesco in cui è quasi impossibile orientarsi e che eventualmente merita dei capitoli appositamente dedicati.

Il 1º novembre 1994 Pietro Pacciani viene condannato in primo grado alla pena dell’ergastolo: per la Corte è l’autore di 14 dei 16 omicidi del Mostro di Firenze. Il 13 febbraio del 1996, nel secondo grado di giudizio, Pietro viene assolto. Il giudice Francesco Ferri e il PM Piero Tony criticano apertamente sia le indagini precedenti che l’operato dei loro omologhi predecessori, Enrico Ognibene e Paolo Canessa. Il 12 dicembre del 1996, però, la Cassazione annulla l’assoluzione a causa di un vizio di forma. Tutto da rifare, insomma. Ma qualcosa va storto: il 22 febbraio 1998 Pietro Pacciani, 73 anni, viene ritrovato morto in casa sua. Il decesso, esattamente come tutte le vicende che lo hanno visto coinvolto in vita, genera teorie del complotto ed ipotesi. Uno dei suoi avvocati storici, Pietro Fioravanti, afferma pubblicamente di essere sicuro che Pacciani sia stato ucciso, in quanto possibile testimone scomodo. La morte del presunto Mostro di Firenze viene archiviata come avvenuta per cause naturali. Pare che il cadavere sia stato ritrovato con i pantaloni calati.

Pietro Pacciani si era definito “un lavoratore della terra agricola”. Secondo alcuni era il Mostro di Firenze; per altri ancora era “un mostro, ma non quello di Firenze”. Qualcuno è convinto che sapesse più di quanto volesse far credere, ma c’è chi si dice sicuro che non c’entrasse assolutamente nulla con la vicenda che sconvolse l’Italia tra il 1968 ed il 1985. Non pochi sono assolutamente certi che fosse un capro espiatorio, un utile idiota, ficcato in quel tritacarne terrificante per coprire qualcun altro. Insomma: ce n’è per tutti i gusti più uno, esattamente come per gli altri aspetti di questo gigantesco – l’ennesimo – mistero italiano. In questa storiaccia c’è un’unica certezza matematica: ufficialmente non sapremo mai chi era davvero Pietro Pacciani. E forse è meglio così. (Il Messicano)

Chi era davvero Pietro Pacciani? Vita di un presunto mostro

27 Gennaio 2024 Stampa: Metal Skunk – Chi era davvero Pietro Pacciani? Vita di un presunto mostro
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2 pensieri su “27 Gennaio 2024 Stampa: Metal Skunk – Chi era davvero Pietro Pacciani? Vita di un presunto mostro

  • 28 Gennaio 2024 alle 00:29
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    Ho scoperto questo blog solo oggi, come pingback da questo articolo del Messicano pubblicato su Metal Skunk.
    L’argomento delMostro di Firenze mi ha sempre interessato, troppi punti aperti, indagini condotte in modo approssimativo e chiuse frettolosamente quasi a voler consegnare un colpevole, uno qualunque, alla giustizia o all’opinione pubblica.
    Grazie per questo lavoro di approfondimento.

    Rispondi
    • 28 Gennaio 2024 alle 02:23
      Permalink

      Grazie a lei. L’articolo del Messicano è approfondito e particolareggiato.

      Rispondi

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