Il Carabiniere indicò la vittima ai killer

NAPOLI – Il maresciallo fu convocato dai boss. “Devi dirci chi ha osato sparare contro di noi. Chi ha ucciso un nostro uomo”. Il sottufficiale sudava freddo. Era stipendiato dal clan (10 milioni al mese, una villa, un premio di altri 50 milioni) ma sapeva bene che fare quel nome equivaleva a uccidere quel collega. “Allora -incalzarono i padrini- o parli o ti ammazziamo e facciamo saltare in aria la caserma con tutti dentro”. Il maresciallo parlò. Pochi giorni dopo un giovane carabiniere rimase sull’ asfalto con il volto sfigurato e il petto squarciato dai proiettili. Era l’ estate dell’ 82. Questo agghiacciante episodio apre l’ Operazione Spartacus atto secondo: 86 ordinanze di custodia cautelare contro la camorra del clan dei Casalesi, l’ organizzazione che ha sottomesso la provincia di Caserta; 62 arresti compiuti; 24 latitanti. UN’ inchiesta che svela l’ esistenza di un autentico impero economico fondato esclusivamente sul delitto. Un impero del male nel quale carabinieri tradiscono altri carabinieri e li consegnano alla vendetta dei padrini; ex parlamentari fanno a gara per favorire i boss in cambio di voti; amministratori locali sono in realtà camorristi prestati alla politica. Ieri all’ alba investigatori della Dia, Squadra Mobile, carabinieri e Criminalpol sono piombati nella piccola Casal di Principe, cuore di un clan legato alle tradizioni di sangue e vendette di Cosa nostra. Manette anche nella città di Aversa, dominata dal capo dei Casalesi, l’ imprendibile Francesco Schiavone, detto Sandokan per la sua somiglianza con l’ attore Kabir Bedi. La provincia di Caserta si sveglia con le sirene delle auto che portano via potenti ed ex, intoccabili e insospettabili. Sono finiti in cella 5 carabinieri (uno di questi è stato nella Dia e ha seguito la prima puntata dell’ Operazione Spartacus), un poliziotto, un vigile urbano. Dietro le sbarre pure quattordici politici. Fra questi, Antonio Ventre, già deputato e senatore (dc); Tiberio Cecere, ex deputato (dc); Giuseppe e Gaetano Santarpia, già concessionari per la riscossione dei tributi in vari comuni della provincia di Caserta; Dante e Vincenzo Cappello, padre e figlio, entrambi già assessori regionali (dc). Il capo di imputazione accusa i politici di aver “messo a disposizione tutta la propria influenza e rete di conoscenze nei settori istituzionali, politici e amministrativi” per aiutare la camorra a rastrellare appalti su appalti; godere di finanziamenti statali, regionali e della Cee; ottenere assunzioni di figli, parenti e amici e persino “esiti processuali favorevoli”. La Procura sospetta che qualche big abbia cercato di aggiustare i processi dei Casalesi. Che, dal canto loro, erano ufficialmente entrati in politica. Con alcuni affiliati eletti in varie amministrazioni locali. Per non avere problemi il clan eleggeva maggioranza e opposizione e faceva in modo che il candidato prescelto la spuntasse con percentuali non eccezionali. Niente exploit era la regola: poteva portare qualcuno a sospettare. La vicenda che i giudici Federico Cafiero de Raho, Lucio Di Pietro e Giovanna Ceppaluni ricostruiscono con grande allarme è quella del carabiniere arrestato per associazione mafiosa e omicidio. Il maresciallo Gerardo Matassino – dice l’ inchiesta – era nel libro paga dei boss. E i camorristi a lui si rivolsero dopo una sparatoria tra militari e affiliati che costò la vita al latitante Mario Schiavone. I clan volevano la testa del carabiniere che aveva ucciso un loro capo. Matassino indicò un giovane militare ventenne, Salvatore Nuvoletta. E lo fece doppiamente in malafede, sottolinea la Procura: Nuvoletta con quella sparatoria non c’ entrava niente ma aveva intuito che Matassino (allora alla guida della stazione di Casal di Principe, oggi pensionato) era in contatto con i boss. L’ ipotesi accusatoria è da brivido: il maresciallo mandò a morire un suo collega per liberarsene.

di GIOVANNI MARINO

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23 Ottobre 1996 Stampa: La Repubblica – Il Carabiniere indicò la vittima ai killer
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