Il 4 Aprile 2007 viene inviata una Nota GIDES, indicata come nota conclusiva, alla Procura della Repubblica di Perugia all’attenzione del Sostituto Procuratore Giuliano Mignini, al Sostituto Gabriele Paci e al Sostituto Giuseppe Petrazzini, a firma di Michele Giuttari.

Nella Nota vengono riassunti i fatti conclusivi relativi alle indagini in corso relative alla morte di Francesco Narducci per i p.p. nr. 8970/02 e p.p.nr. 2782/05.

Questa la nota: Gides nota conclusiva 4 aprile 2007

PROCURA DELLA REPUBBLICA DI PERUGIA
Gruppo Investigativo Dr. Michele Giuttari
(ex G.I.De.S.)
_______________________________________________________
Viale Gori 60, 50127 Firenze – Fax 055/4977701 – Tel. 055/4977702

N° /07

Firenze, li 4 aprile 2007

Oggetto: Nota conclusiva relativa alle indagini sulla morte di Francesco Narducci.
p.p. nr. 8970/02 e p.p. nr. 2782/05.

ALLA PROCURA DELLA REPUBBLICA DI =PERUGIA=
– Dr. Giuliano Mignini – Sost. Proc.
– Dr. Gabriele PACI – Sost. Proc.
– Dr. Giuseppe PETRAZZINI – Sost. Proc.

PREMESSA

Il caso della morte nel lago del medico di Perugia Francesco Narducci, noto e stimato gastroenterologo appartenente a una rispettabile famiglia del posto, si è rivelato un esempio concreto della cultura del depistaggio e dell’omertà, che si é manifestata fin dall’inizio, dal lontano 8 ottobre 1985, che é proseguita nel corso degli anni e che sembra essersi protratta fino ai nostri giorni.

Questo Gruppo Investigativo, aderendo alla richiesta di codesta Procura della Repubblica, col presente atto riassume l’attività svolta su delega richiamando tutte le note, inviate nel tempo fin dall’inizio della collaborazione col PM titolare, dr. Giuliano Mignini, ivi comprese quelle concernenti le numerose attività tecniche d’intercettazioni telefoniche e ambientali.

Per seguire, non solo un ordine cronologico, ma anche un valido metodo espositivo, si reputa opportuno fare un passo indietro rispetto all’inizio della collaborazione con codesta Procura facendo cenno all’attività della squadra mobile di Firenze sui delitti attribuibili giornalisticamente al cosiddetto “Mostro di Firenze” e, in particolare, al segmento investigativo dei cosiddetti mandanti, scaturito dalla sentenza di condanna, definitiva, di Mario Vanni e di Giancarlo Lotti, colpevoli di essere stati, insieme a Pietro Pacciani, gli esecutori materiali degli ultimi quattro duplici omicidi.

Poi, dopo l’esposizione di alcuni punti fermi dell’inchiesta (in particolare, quelli sulla reale causa della morte del Narducci, sul cosiddetto “doppio cadavere” e sulle frequentazioni fiorentine del predetto), si farà cenno anche ad alcuni avvenimenti verificatisi dopo l’ultimo delitto del “Mostro”, nonché ad alcuni delitti che sono da ricondurre con tutta probabilità alla vicenda in generale del cosiddetto “Mostro di Firenze”, nella quale vicenda, come oramai è assodato, deve ricondursi anche la morte e l’uccisione del Narducci. E questo riferimento lo si ritiene utile anche per illustrare alcune analogie dei quei delitti con il caso “Narducci”.

Ma prendiamo le mosse dalla sentenza di condanna di Vanni Mario e Lotti Giancarlo.

Come noto, questa decisione giurisprudenziale ha rappresentato una vera e propria svolta, avendo ribaltato la filosofia investigativa del Serial Killer solitario che era stata seguita dagli inquirenti per tanti anni fino all’incriminazione e alla condanna di primo grado del Pacciani.

La sentenza in questione oltre ad aver cristallizzato giudiziariamente la colpevolezza dei nominati Vanni e Lotti, esaltava alcune risultanze dibattimentali in considerazione delle quali incominciava a ipotizzarsi la possibile compartecipazione ai fatti criminosi di un “dottore”, il quale avrebbe rivestito il ruolo di mandante pagando gli esecutori materiali; tra costoro, in particolare, Pietro Pacciani.

Era una ipotesi suffragata da circostanze obiettive e, in particolare:

– dalle dichiarazioni di Lotti in ordine al “dottore”, che avrebbe commissionato i delitti e che avrebbe acquistato le parti escisse dal cadavere delle ragazze, pagandole materialmente al Pacciani (pag. 208 sentenza n. 1/98 Reg. Sent. – n. 8/97 Reg. Gen. del 24.3.1998 della Corte d’Assise di Firenze – Sezione Seconda, depositata il 30.7.1998).

Al riguardo la Corte così argomentava:

La Corte ha cercato di acquisire elementi anche su tale punto (e art. 507 PP, al fine di avere il maggiore materiale probatorio possibile relativamente alle dichiarazioni del Lotti sugli omicidi), ma il risultato non è stato positivo, nel senso che non vi è stato alcun “riscontro” preciso sul predetto “dottore”.
Non sembra, tuttavia, che il Lotti possa aver mentito solo su tale circostanza, non avendo avuto alcun ragionevole motivo per farlo. D’altra parte l’istruttoria dibattimentale ha lasciato intravedere “qualcosa”, che porta nella direzione indicata dal Lotti e, quindi, del predetto fantomatico “dottore”. E’ emerso infatti:
che, in occasione dei duplici omicidi di Scopeti e di Vicchio ( che furono appunto caratterizzati dall’asportazione del seno sinistro e della zona pubica dal corpo delle ragazze), il Pacciani ed il Vanni, al termine di tutta l’operazione, avrebbero lasciato un “fagotto” al limite di tali piazzole, poggiandolo delicatamente per terra nella zona dei cespugli. Il che lascia ragionevolmente presumere che si sia trattato delle parti escisse dal corpo delle ragazze, che venivano lasciate temporaneamente lì, a disposizione di altro soggetto che avrebbe dovuto rimuoverle e portarle via; e ciò anche in considerazione del fatto che il Lotti non ha mai parlato di una diversa collocazione di tali “parti” dopo i delitti, tanto che per il duplice delitto di Vicchio ha specificatamente parlato dell’avvenuto occultamento della sola pistola nel casolare disabitato, lontano dal luogo del delitto.
Ciò porta ancora a ritenere che possa esserci stato, in occasione dei duplici omicidi, anche qualche altro “personaggio” nascosto tra i cespugli, personaggio che non si voleva far vedere da tutti quelli che partecipavano ai delitti e che chiaramente interveniva subito dopo, per prelevare e portare via le parti escisse, non appena gli altri si fossero allontanati dalla piazzola. D’altra parte, è impensabile che il Pacciani ed il Vanni si soffermassero sul posto per operare anche le escissioni, per poi lasciare il tutto sul posto, con l’intento di tornare in un secondo momento, perché la cosa sarebbe stata estremamente rischiosa, sia per il pericolo di perdere tutto a causa degli animali che circolano nelle ore notturne nei boschi, sia per il pericolo di essere sorpresi da qualcuno, tenuto anche conto che quelle aree erano frequentate da coppiette e che presto sarebbero scattate le indagini per i duplici omicidi;

dall’esito degli accertamenti finanziari.

Sul punto la Corte osservava:

Le indagini di carattere finanziario, eseguite dalla PG sul conto di Pacciani, hanno portato ad una situazione economica del tutto incompatibile con la sua condizione di contadino, che lavorava i terreni altrui e che guadagnava appena il sufficiente per vivere, essendo risultato che lo stesso Pacciani ha acquistato in quegli anni un immobile urbano in Mercatale Val di Pesa per il prezzo di £35. 000.000 di allora (anno 1984) ed ha poi investito la somma di £ 157.890.038 in “buoni postali”, disseminandoli tra i vari uffici del circondario (Mercatale, Montefiridolfi, San Casciano, Cerbaia e Scandicci), chiaramente per tenere nascosta tanta provenienza di denaro, non sicuramente di fonte lecita.

Ad integrazione di quanto osservato dalla Corte, si rappresenta che in quegli anni Pacciani aveva acquistato anche due immobili: oltre a quello pagato 35 milioni, ne aveva comprato un altro per 26 milioni, anche questo in contanti e poi anche questo ristrutturato.

Si richiama poi una conversazione registrata a suo tempo (il 06.12.1992) tra la moglie del Pacciani ed una interlocutrice di nome Nella.

Nel corso di questa conversazione, infatti, parlando delle ingenti somme del Pacciani, Nella obiettava:

“…e che gli hanno fruttato tutti questi quattrini? Vien via! Lui l’ha avuto qualcosa di truffa! Lui l’ha avuto qualcosa!”.
Al che la moglie di Pacciani rispondeva:
“Ah.. sì qualcosa gli ha avuto!”.
E ancora Nella:
“Qualcosa gli ha trafficato perché sennò non poteva avere quasi cento milioni in banca!”

Ed ancora la Corte sullo stesso punto:

Una situazione un po’ simile si riscontra anche relativamente al Vanni, per quanto costui abbia fatto per anni il “postino” ed abbia preso una “liquidazione” all’atto della sua andata in pensione, essendo risultati a suo carico notevoli investimenti di denaro nonché il fatto che in un periodo ha circolato con “rotoli” di banconote in tasca, per almeno 2-3 milioni alla volta, per le sole occorrenze della giornata (pagg. 209-210-211 della citata sentenza).

La Corte, quindi, così concludeva su tale aspetto:

Le predette situazioni vanno comunque meglio verificate da parte del PM, ai fini di una valutazione più sicura, nell’ambito delle nuove indagini in ordine al predetto “dottore”. D’altra parte, la Corte non poteva non segnalare anche tutte le predette circostanze, che possono portare a maggiori risultati ed a fare finalmente completa luce sulla presente vicenda, che si trascina purtroppo da molti anni.

Da quella sentenza scaturiva così il nuovo filone d’indagine sui mandanti, nell’ambito del quale fra l’altro venivano acquisite notizie che portavano a prendere in considerazione la persona del medico perugino Francesco Narducci.

A fornire le notizie era la signora Jorge Alves Emilia Maria, nata a Petropolis (Brasile) il 31.10.31 che, nei giorni 6 e 9 novembre 2001 si presentava spontaneamente negli uffici della squadra mobile, riferendo fatti e circostanze che riguardavano direttamente un suo ex amante, l’avvocato fiorentino Giuseppe Jommi, da lei sospettato di avere avuto a che vedere con la vicenda del “Mostro”, o ancora meglio – precisava – con qualcuno che sarebbe stato coinvolto direttamente in quei delitti. Scendendo, poi, più nello specifico, faceva riferimento alla persona di Francesco Narducci quale amico dello Jommi. Spiegava quindi che, quando aveva appreso che tale “Francesco di Foligno” a Perugia veniva indicato come “il Mostro di Firenze”, aveva voluto acquisire informazioni interessando un’agenzia privata di investigazioni. Si accerterà poi che effettivamente il 27.5.1990 aveva incaricato l’istituto d’investigazioni private “La Segretissima” di Massimo Mosconi, che confermerà l’incarico producendo copia del registro nel quale l’incarico risultava regolarmente annotato ( vds nota n. 482/05/Gides del 21.9.2005).
Spiegava ancora di aver appreso che si trattava di un medico, di ottima famiglia, una famiglia molto importante di Perugia, originaria di Foligno, che era stato trovato morto annegato nel lago Trasimeno un mese dopo l’ultimo delitto del Mostro, che insegnava all’università di Harvard in America, che era stato sposato con certa Francesca Spagnoli, che quando era morto era stata trovata una lettera indirizzata ai familiari, della quale però ufficialmente non si era saputo nulla. Tutti, particolari, questi, che sostanzialmente conducevano alla persona di Francesco Narducci.

Nelle circostanze di cui sopra esibiva un’agenda del 1990 contenente alcune annotazioni, da lei fatte all’epoca, quale quella di “Falciani – Siena”, spiegando che tale località doveva riferirsi ad un posto, frequentato dallo Jommi e dal suo amico di Perugia.

Successivamente, il 13.2.2002, al PM di Firenze, aggiungerà altri particolari, quale quello di un’autovettura tipo monovolume, di colore verdolino chiaro, targata Perugia, che era in possesso dello Jommi e che da quello che aveva saputo era di proprietà di un amico di questi.

In relazione alle citate dichiarazioni, veniva svolta una verifica agli atti dell’ex SAM, dove si rinveniva una nota, datata 21.9.1990, con cui veniva trasmessa alla Procura della Repubblica l’annotazione redatta in data 18.9.1990 da personale di quell’ufficio, con la quale si riferiva la consistenza immobiliare dello Jommi, gli estremi delle autovetture in uso di questi nel tempo, nonché la verifica positiva della circostanza relativa al rapporto di locazione esistente tra la moglie dello Jommi, Ada Pinori, e la famiglia di Susanna Cambi, assassinata nella notte tra il 22 ed il 23 ottobre 1981 in località “Le Bartoline” di Calenzano. L’appartamento in questione era ubicato in via B. Marcello n. 45 di Firenze.

Sempre nella citata annotazione, si riferiva che, in ordine al suicidio del medico di Perugia, asseritamene amico dello Jommi, la Procura della Repubblica di Firenze, a suo tempo, era stata dettagliatamente informata del caso.

Circa quest’ultimo episodio, sempre in quegli atti, esisteva un fascicolo a nome di Narducci Francesco, nato il 4.10.1949, al cui interno si trovavano alcune lettere anonime, che indicavano il predetto come il “Mostro di Firenze”. Esisteva altresì una richiesta di accertamenti da parte della Procura della Repubblica di Firenze, datata 3.11.1993, relativa al p.p. 1822/93 Mod. 45, con cui veniva trasmesso un memoriale, presentato in quegli uffici giudiziari da parte del titolare dell’Istituto di Investigazioni “Ariston”, sig. Valerio Pasquini. Detto atto conteneva il consuntivo di una attività informativa svolta sul posto dal Pasquini sulla famiglia del Narducci Francesco e sulla morte dello stesso.

Durante lo sviluppo del filone investigativo in questione, al quale le dichiarazioni dell’Alves fornivano un preciso impulso, codesta A.G., nell’autunno 2001, acquisiva elementi d’indagine che, tra l’altro, portavano all’accostamento della persona di Narducci Francesco a quella di Pietro Pacciani.

Infatti in un’inchiesta sulle minacce telefoniche, ricevute da un’estetista di Foligno, certa Dorotea Falso, poste in essere da più interlocutori della donna, a loro dire appartenenti a una sorta di setta satanica, emergevano ripetuti riferimenti alla morte del Pacciani, al territorio fiorentino, nonché al Narducci, il quale, ultimo, sarebbe stato ucciso per essere stato, come Pacciani, un traditore.

A tal proposito, si richiamano i seguenti passaggi delle registrazioni telefoniche, consegnate dalla nominata Falso alla polizia:

“….farà la fine di Pacciani….tuo figlio sarà sacrificato…sulle colline del Mugello…la testa verrà sepolta…sulla terra di Pacciani…”… “Verrai uccisa e seppellita come l’amico di Pacciani… del Lago Trasimeno…”… “…Sarai uccisa come i traditori Pacciani e il grande medico…finirai come i traditori di Firenze e il grande dottore…”.. “…il dottore …il grande dottore NARDUCCI”… “…la tua vagina verrà spaccata come le vittime di Firenze e dei traditori Pacciani…Narducci che tradirono il nome di satana..”… “… il grande professore Narducci finito nel lago strangolato”.

Alla luce delle suddette emergenze il PM di Firenze, dr. Canessa, chiedeva a codesta A.G. il collegamento d’indagine e, in conseguenza di ciò, questo Gruppo Investigativo, appositamente costituito dietro diretto interessamento dei PP.MM. dr Canessa e dr. Mignini, intraprendeva la collaborazione con codesta Procura della Repubblica.

PARTE PRIMA

I PILASTRI DELL’INDAGINE

1. CAUSA DELLA MORTE DI FRANCESCO NARDUCCI
2. DOPPIO CADAVERE
3. COLLEGAMENTO TRA “CASO” NARDUCCI E I DELITTI DEL C.D. “MOSTRO DI FIRENZE”
4. LUOGHI FIORENTINI E PERSONE FREQUENTATE DA FRANCESCO NARDUCCI
5. UN’EVIDENTE ATTIVITA’ DI DEPISTAGGIO

I PILASTRI DELL’INDAGINE

L’indagine, laboriosa e complessa quanto tormentata, consentiva comunque di conseguire alcuni punti fermi, frutto di risultanze assolutamente diversificate: riscontri ai pregressi atti, informazioni testimoniali (numerose) e consulenze tecniche (diverse).
Esaminiamoli in dettaglio.

1)- CAUSA DELLA MORTE DI FRANCESCO NARDUCCI.

Dall’attività svolta emergeva in termini inequivocabili e certi che la morte del Narducci non era avvenuta secondo le modalità, i tempi e nei luoghi, ricostruiti all’epoca della sua scomparsa e di cui vi era traccia nell’originario fascicolo processuale che recava il n. 1868/85 C classificato come

Atti relativi alla scomparsa di Francesco Narducci”.

La lettura di questo fascicolo faceva emergere inquietanti interrogativi sull’affidabilità di quanto era stato svolto nella circostanza; in particolare, per il mancato intervento sul posto di un medico legale e per la mancata effettuazione dell’autopsia, come invece ci si sarebbe aspettato di trovare in quegli atti.

Il caso, una volta riaperto dal P.M. titolare, Dr. Mignini portava via via a risultati che consentivano di sciogliere alcuni di quegli interrogativi. E questo fin dagli esiti delle prime consulenze.

Infatti, il prof. Giovanni Pierucci dell’Università di Pavia, nel suo articolato elaborato peritale, depositato il giorno 20.12.2002, dava atto che, a seguito delle operazioni settorie eseguite sul cadavere di Francesco Narducci, la cui salma per tali operazioni era stata trasferita a Pavia, era emersa:

la frattura del corno superiore di sinistra della cartilagine tiroidea,

che l’insigne professore riteneva che fosse avvenuta in vita rendendo ciò

quanto meno probabile che la causa della morte di Narducci Francesco risieda in una asfissia meccanica violenta prodotta da costrizione del collo (manuale – strozzamento, ovvero mediante laccio – strangolamento) secondo una modalità omicidiaria.

Dava altresì atto che il Narducci, negli ultimi mesi di vita, aveva fatto un uso ripetuto di una sostanza oppiacea di natura sintetica, la petidina o meperidina, che ha un’azione analgesico – narcotica. Questo perché tracce di detto farmaco erano state rinvenute nell’encefalo, nei capelli e nello stomaco, a riprova, in quest’ultimo organo, che l’assunzione era avvenuta per via orale e che l’ultima era stata piuttosto recente in relazione al decesso.

Altri risultati importanti si conseguivano dalle assunzioni di informazioni da parte di più persone, i cui racconti mettevano in forte dubbio che la morte del Narducci fosse avvenuta nel luogo del ritrovamento del cadavere ripescato la mattina del 13.10.1985 e altresì che il suo cadavere fosse stato ripescato proprio in quel giorno e fosse, quindi, quello che nella circostanza era stato riconosciuto come appartenente a lui.

Al riguardo si richiamano, in particolare, i seguenti testi:

FERRI Giancarlo: è un testimone diretto.
Nel pomeriggio del 9.10.1985 (il giorno seguente alla scomparsa del Narducci) su una barca a motore che si trovava in località San Feliciano aveva visto il cadavere di un uomo che aveva avuto modo di osservare per diversi minuti, tanto che lo descriveva come:

“…snello, asciutto, vestito con una maglietta…”

e poi riconosciuto nelle foto del Narducci Francesco esibitegli dal PM.

Le dichiarazioni sul punto erano abbastanza precise e univoche e di esse si riportano qui alcuni stralci:

Il giorno dopo (alla notizia della scomparsa del Narducci data dal TG3 e, quindi, il 9 ottobre) mi sono recato nuovamente a San Feliciano nel vecchio pontile, vicino al monumento, verso le ore 15.00. Da lì notai all’incirca tre, quattro o cinque barche in direzione della punta nord-occidentale dell’Isola Polvese chiamata Macerone. Dopo una ventina di minuti, le barche si sono spostate verso la darsena di San Feliciano, a cinquanta metri circa dal vecchio pontile. Si trattava di barche di pescatori, in una delle quali vi era il cadavere, asciutto e muscoloso, con capelli ricciolini biondi e carnagione chiara che ho poi riconosciuto in questa Stazione Carabinieri nelle foto mostratemi, raffiguranti Francesco Narducci. Le foto mi sono state mostrate al rovescio, come vidi il cadavere, che aveva il capo verso di me e i piedi rivolti verso il Lago. Ribadisco che era vestito con una maglietta color nocciola, forse senza colletto e mutandine celesti. Il cadavere lo vidi ad una distanza di poco più di un metro, con il capo verso di me e le gambe verso il lago. Alla guida dell’imbarcazione vi era un pescatore sui 30/35 anni di cui non ricordo il nome.

Sul cadavere ancora precisava:

…indossava la maglietta nocciola, aveva le mani innalzate a livello del capo con i polsi in direzione delle tempie, le gambe erano diritte. L’uomo non era assolutamente gonfio, tanto che rimasi stupito dal fatto che era asciutto e muscoloso.
…il cadavere che io vidi sulla barca non era quello di un annegato, non era assolutamente gonfio e non sputava acqua. Inoltre, l’uomo che vidi sulla barca era solo leggermente bagnato. La maglietta era un po’ umida ma i capelli erano asciuttissimi. Era un bell’ uomo.
(vds in particolare verbali del 17 febbraio e 17 settembre 2004);

● MAZZI Leonardo, ispettore della Polizia di Stato in congedo, all’epoca in servizio alla squadra mobile di Perugia: è un testimone qualificato e che, quindi, si ritiene dotato anche di una attendibilità intrinseca.
Aveva appreso la notizia del rinvenimento del cadavere del Narducci nel pomeriggio di un giorno feriale mentre si trovava in Questura, e ricordava che nella circostanza aveva visto partire per recarsi al lago il collega Napoleoni insieme a un altro poliziotto.

Gli accertamenti sui turni di servizio del Mazzi, espletati agli atti della mobile, consentivano di acclarare che l’unico pomeriggio della settimana della scomparsa del Narducci in cui aveva espletato servizi pomeridiani era stato solo quello del giorno 9 ottobre. Peraltro domenica, 13, lo stesso aveva goduto del riposo settimanale.

Nei giorni successivi, poi, il teste aveva appreso che il Narducci era stato ritrovato con le mani legate dietro la schiena nella posizione tipica del cosiddetto “incaprettamento”, e cioè del sistema di uccisione con cui la vittima viene legata mani e piedi al collo in modo da determinare una stretta progressiva al collo stesso nel momento in cui cerca di muoversi, mentre la corda rimane lenta quando piega le gambe (vds verbale del 15.12.2003);

CECCARELLI Martina : dipendente del supermercato GAD di Perugia. La figlia all’epoca frequentava la Scuola di Ginnastica Artistica di Case Bruciate ove insegnava Elisabetta Narducci, sorella di Francesco Narducci.
Dichiarava che un giorno, di pomeriggio, le avevano detto che doveva tornare a prendere la figlia Alessia, perché avevano rinvenuto il cadavere del fratello dell’insegnante (vds verbale della Squadra Mobile di Perugia);

● SISANI Primo (NdR: Secondo Sisani): pescatore.

Dichiarava:

Io ho sentito che il cadavere del Narducci fu rinvenuto alcuni giorni prima della domenica del 13 ottobre 1985 nelle acque del lago Trasimeno verso l’Isola Polvese con le mani ed i piedi legati. Il corpo fu poi portato nella darsena di Peppino Trovati e da lì nella villa dei Narducci a San Feliciano dove è stato lasciato. Queste cose mi sono state dette da un gruppo di amici che frequentavano con me il Circolo dei Pescatori. (vds verbale del 28.11.2003);

E’ utile, adesso, fare un cenno alla lettera che il Narducci aveva lasciato nella villa di San Feliciano della sua famiglia, prima di allontanarsi col motoscafo dalla darsena di Trovati.

Di tale lettera ne parlavano più persone, tra cui una testimone diretta, Emma Magara che, insieme al marito, Luigi Stefanelli (morto nel 1988), aveva svolto servizi alle dipendenze dei Narducci, tra cui quelli di fare le pulizie nella villa in questione e di preparare i pranzi.

La donna dichiarava:

il giorno 08/10/1985, giorno della scomparsa del prof. Narducci Francesco, io e mio marito ci siamo recati alla villa di San Feliciano del Prof. Narducci per rimettere la legna. Ci siamo recati alla villa verso le ore 14.00 circa. Ivi giunti non c’era nessuno, abbiamo notato che vi erano vistose tracce lasciate sulla breccia del piazzale di casa, lasciate molto presumibilmente da una moto. A quel punto pensammo che vi era stato Francesco, visto che lui era in possesso di una moto con la quale veniva spesso in villa. Io, comunque, ho aperto la casa per far prendere un po’ di aria in attesa che arrivasse la persona a portare la legna. Abbiamo atteso circa un’ora ma non è arrivato nessuno. Durante l’attesa abbiamo fatto un giro all’interno dell’abitazione e ci siamo accorti che sul davanzale della finestra del salone vi era un foglio di carta scritto a penna. Per pura curiosità con mio marito abbiamo cercato di leggerlo ma non siamo riusciti a decifrare il contenuto anche perché era stato scritto con una grafia a noi incomprensibile. Abbiamo anche notato che in cucina vi erano ancora le posate sporche usate dalla famiglia Narducci la domenica prima…La mattina successiva mi recavo a fare la spesa e presso il generi alimentari ho incontrato il signor Ciampana Vittorio che era il custode della villa Narducci e dallo stesso ho appreso la notizia della scomparsa del Prof. Francesco Narducci. La sera stessa, verso le ore 17.00 ritornava mio marito dal lavoro e gli riferivo la notizia appresa relativa alla scomparsa del Prof. Narducci Francesco. Mio marito si recava subito alla villa per vedere se c’era qualcuno. Ivi giunto non trovava nessuno. Comunque entrava in casa e notava che il foglio di carta che era stato da noi visto sul davanzale della finestra era scomparso. Ritornava a casa e mi riferiva questo particolare. Entrambi abbiamo pensato che il foglio era stato preso dai familiari del Prof. Francesco, anche perché le chiavi della villa, per quanto mi risulta, le avevamo solamente noi oltre alla famiglia Narducci (vds verbale del 01.10.2002);

In sede di incidente probatorio la Magara si trincerava dietro una serie di “non ricordo”, “questo non l’ho detto”, tanto che diverse erano le contestazioni del P.M..

L’unico particolare che confermava era quello della presenza di un bigliettino all’interno della villa, posto sul davanzale della finestra, da lei notato quel pomeriggio dell’8 ottobre 1985; e questo rimaneva un dato storicamente certo. Su quello che era scritto sul bigliettino, però, si manteneva sul vago asserendo di non averne compreso il contenuto per via della grafia a lei incomprensibile e del fatto che vi fossero degli “scarabocchi”.

Tra le circostanze negate, elencava l’assenza del marito nell’occasione di cui sopra, come pure il fatto che il marito, ritornato il giorno dopo nella villa, non avesse più trovato il biglietto (udienza del 25.11.2005).

Sull’esistenza della lettera diverse sono state le testimonianze indirette di conferma, tra cui si citano:

Lorenzo Bruni: seppe da Trovati (era l’indomani della scomparsa) che i familiari di Narducci avevano trovato la barca e un biglietto scritto dal professore (vds verbali del 15.7.2002 e del 12.3.2003);

Moreno Stefanelli: è il figlio della Magara Emma.

Dichiarava:

Sono a conoscenza di una lettera che il Prof. Narducci ha lasciato ai familiari. Nel periodo compreso tra la morte del Narducci e la morte di mio padre, ricordo che una sera mio padre, parlando a cena con mia madre a tavola a proposito dei Narducci, qualche mese dopo la sua morte, accennò a qualcosa di strano dicendo a mia madre: “E POI TI VOLEVO DIRE CHE…”, alludendo, in modo sibillino, al fatto che era stato trovato qualcosa di strano nella villa dei Narducci non al suo posto,come riuscì a capire da qualche parola in più che lui disse. Mio padre le fece capire che le avrebbe spiegato meglio la cosa a quattrocchi, ciò che mio padre avrà fatto sicuramente, credo quando stavano a letto…Mio padre diceva anche che dell’isola Polvese sapeva due cose che si sarebbe portato nella tomba…All’inizio degli anni ’90 ho sentito parlare di una lettera che il Narducci avrebbe lasciato ai familiari, forse da mia madre o comunque da un mio familiare (vds verbale del 14.05. 2002);

Francesca Spagnoli : vedova di Francesco Narducci.

Dichiarava:

Dell’esistenza di una lettera lasciata da Francesco non posso dire nulla per conoscenza diretta. Posso solo dire che mia madre mi ha detto che Ornella Servadio qualche tempo dopo la morte di Francesco le disse che quest’ultimo aveva effettivamente lasciato una lettera. Ornella disse a mia madre proprio così: “La lettera c’è!”. Aggiungo che Ornella Servadio era molto amica della madre di Francesco (vds verbale del 13.10.2006);

SERVADIO Ornella : amica di famiglia dei Narducci.
Confermava di aver sentito parlare dell’esistenza della lettera (vds verbale del 31.05.2002);

Angiola Caligiani: ex dipendente di Alfredo Brizioli presso il negozio “Skipper”.
Riferiva di aver appreso dalla propria cugina, Paola, che il Narducci aveva lasciato una lettera sulla finestra della villa del lago, poi trovata dalla domestica (vds verbale del 9.8.2004);

LUCATTELLI Giuseppe: medico ortopedico.
Raccontava di aver saputo, dopo la morte del Narducci, dell’esistenza di una lettera, scoperta dal padre, a San Feliciano (vds verbale del 14.2.2006);

BUFALARI Amedeo: medico primario.
Spiegava di ricordare che nella loro cerchia di amici, e cioè i Coen, i Cantucci, Giuliana Mignini e suo marito, si parlava di una lettera che Francesco avrebbe lasciato al fratello per spiegare i motivi che a loro sembrava un suicidio ma di cui non comprendevano le ragioni (vds verbale del 14.02.2006).

Francesca Bene: giornalista.
Riferiva che in occasione dell’udienza di incidente probatorio del 7 ottobre 2005 (NdR: 25 novembre 2005), quando erano presenti tutti i testimoni, scambiava qualche parola con Emma Magara e le chiedeva del bigliettino ritrovato nella villa di S. Feliciano. La Magara riferiva che si trattava di un foglio piegato in quattro e che la scrittura era illeggibile. Poco dopo tempo giungeva Giovanna Ceccarelli, moglie di Pierluca Narducci, che abbracciava la Magara. Quest’ultima, a quel punto imbarazzata, alle domande che le rivolgeva la giornalista cercava di minimizzare e puntualizzava:

“Ma era solo un bigliettino…dove c’era scritto di rimettere a posto la legna”.
(vds verbale del 28.11.2005).

In conclusione del presente capitolo, giova fare un cenno al telo rettangolare di lino sulla salma del Narducci ed evidenziato dalle operazione di svestizioni effettuate presso l’Istituto di Medicina Legale di Pavia. Un telo, che non appariva funzionale alla vestizione di un cadavere e che lasciava ipotizzare un’eventuale significato massonico – esoterico.

In realtà però con tutta probabilità, il motivo della presenza di tale telo potrebbe rinvenirsi in quello che si apprendeva dal contenuto di una telefonata intercettata, intercorsa tra i fratelli Spagnoli e che qui di seguito si trascrive ( R.I.T. 197/02 brano nr. 423 del 14.07.2002 ore 09,58):

Massimo: Eh…ma c’è la testimone chiave…è l’impiegato de Passeri (impresa funebre gestita da Morarelli e Barbetta)…no?… che l’ha vestito e che non gli ha messo i vestiti che gli ha mandato la Bona!
Gianni: Eh….certo…
Massimo: Eh…insomma…è dura eh?
Gianni: Eh… quello ha parlato perché quello ha detto che l’asciugamano [si riferisce chiaramente al rinvenimento sulla salma del Narducci di un sorta di telo sulla parte addominale bassa] glielo ha messo lui sul corpo…perché sul corpo c’aveva un sacco di segni fatti dalle catene…capito?
Massimo: Eh…certo..
Gianni: Tutta gente che parla…come dice che ce sono tre…
Massimo: Eh…che parla perché la dice questa cosa perché c’ho Puletti che queste cose le sa tutte!

Tale ipotesi peraltro confermerebbe quanto riferito da quei testi, quali il Leonardo Mazzi, sul particolare che il Narducci fosse stato “incaprettato”, ovvero che sul suo corpo fossero state trovate delle catene.

2)- DOPPIO CADAVERE

Le risultanze peritali e le numerose informazioni testimoniali, anche di testimoni diretti, consentono di affermare con assoluta certezza che il cadavere, recuperato dalle acque del lago il 13.10.1985 e appoggiato sul pontile di S. Arcangelo, non era quello appartenuto in vita a Francesco Narducci, ma in realtà quello appartenuto a una persona, ancora rimasta sconosciuta, e che è stato procurato chissà da chi, dove e con quali modalità.

Non esiste dubbio alcuno che questo cadavere di persona sconosciuta sia servito per attuare, quella mattina del 13 ottobre 1985, una vera e propria messinscena finalizzata, con tutta probabilità, a coprire le cause reali della morte del Narducci e il retroscena di essa.

Prima di passare a esaminare le testimonianze, è utile richiamare le consulenze tecniche; in particolare, quella antropometrica, della dottoressa Gabriella Carlesi dell’Università di Pavia.

La C.T., infatti, eseguiva un raffronto tra l’uomo del pontile e il corpo del Narducci utilizzando le foto del corpo disteso sul pontile, scattate all’epoca, e quelle del Narducci in vita e del cadavere di quest’ultimo dopo la riesumazione per l’esame autoptico, disponendo di uno stato dei luoghi immodificato poiché le piastrelle della pavimentazione del pontile da quel 13 ottobre 1985 nel tempo non erano state mai sostituite e, pertanto, rappresentavano un’unità di misura assolutamente certa per i necessari calcoli.

La dottoressa Carlesi, con la consulenza depositata il 16.12.2002, concludeva nel senso della

incompatibilità tra il cadavere del professore (che era della lunghezza di circa 180 cm) e il cadavere del lago,

al quale, ultimo, sulla base della sua misurazione rilevata dalle foto, veniva attribuita la lunghezza di circa 173,3 cm. e la circonferenza addominale di circa 110 cm.

Il cadavere del Narducci, ricomposto nella bara, indossava pantaloni della taglia 48 small, che era in effetti quella indossata in vita.
Altre significative differenze venivano riscontrate dalle caratteristiche della testa dell’uomo disteso sul pontile, che presentava la:

la totale assenza di capelli nella zona anatomico tra padiglione auricolare sinistro e parietale temporale sinistro,

mentre sulla salma del Narducci si notavano ancora ben visibili i capelli anche nella zona occipitale, che erano ben conservati e intatti.

La dottoressa Carlesi con altra consulenza, depositata il 25.6.2004, ricostruiva anche il volto dell’uomo del pontile, utilizzando i negativi fotografici in possesso di codesta Procura e procedendo a una riproduzione tridimensionale dei due crani e dei due volti.

Da tale attività emergeva che il cranio dell’uomo del pontile era di tipo

Brachicefalo,

ossia con prevalenza della larghezza sulla lunghezza, ed

ipodivergente con antero – rotazione della mandibola.

Il cranio del Narducci era invece

subdolicocefalo con un’altezza regolare del terzo distale del volto, dato che indica una post – rotazione della mandibola normo o ipodivergente con regolare intercispidazione dentale nei settori posteriori.

Ma vediamo adesso alcune delle numerose testimonianze.

Ferruccio Farroni: medico, collega e amico di Francesco Narducci.
La mattina del 13.10.1985 effettuò il riconoscimento cadaverico in quanto: quel cadavere indossava abiti che avrebbero potuto essere quelli dell’amico; gli risultava che questi era scomparso nel lago; era stata rinvenuta nella tasca del cadavere la patente di guida del Narducci.

Lo stesso descriveva quel cadavere in uno stato enormemente edematoso, soprattutto in corrispondenza dell’addome; anche il volto era estremamente edematoso e cianotico.

E ancora:

il cadavere appariva gonfio e cianotico, i capelli erano appiccicati ma la capigliatura mi sembrava quella di sempre e non ricordo se avesse anelli, il cadavere era un pallone ed era sfigurato.

Poi riferiva che, quando aveva rivisto il cadavere alla villa, denudato e sdraiato per terra, esso sembrava quello del personaggio della Michelin tanto era gonfio (vds verbale del 7.3.2002, ore 15:40);

Antonio Morelli: è l’altro medico, amico del Narducci, che riconobbe il cadavere.
Così lo descriveva:

era molto gonfio e scuro, l’addome aveva delle connotazioni batraciane e il volto era cianotico. Il volto assomigliava poco al volto di Francesco anche perché quest’ultimo era molto snello. I capelli del cadavere erano scuri…anche le gambe erano molto gonfie…ho avuto molte difficoltà dal punto di vista delle sembianze (a riconoscerlo). Il cadavere era veramente difforme da Francesco ma sul momento condizionato dal fatto che vi erano i documenti ed in particolare dalla patente di guida e dal fatto che il cadavere indossasse gli abiti di Francesco anche se erano stirati viste le dimensioni del corpo tanto che i piedi sembravano straripare dalle scarpe. Ricordo inoltre di aver visto una cravatta di cuoio marrone non so se sopra o sotto la camicia. Il volto aveva una “Facies Lunare” ( vds verbale del 4.7.2002).

E poi ancora:

Il volto era irriconoscibile. Era edematoso, cianotico, aveva pochi capelli, molto gonfio, con le guance gonfie, i capelli erano tirati indietro e la fronte era molto prominente; in pratica aveva pochi capelli e l’attaccatura era alta. Quello che mi ha colpito in modo particolare fu la fronte particolarmente prominente e senza capelli. Anche il volto aveva le fattezze batraciane. Con questo termine batraciano mi riferisco alla prominenza delle parti laterali, tipicamente determinato da stasi venosa, per contrizione del collo. La cravatta era di pelle di quelle che si usavano all’epoca. Dai miei ricordi era sul marrone.

Sulle circostanze del cadavere da lui visto nella bara presso la villa dei Narducci:

Il cadavere aveva le sembianze di Francesco. Non so dire in che modo ma quel cadavere aveva qualcosa di diverso da quello che avevo visto sul molo. Questo assomigliava di più a Francesco (vds verbale del 28.2.2003);

Nazzareno Moretti: impresario di pompe funebri, intervenuto per primo sul pontile su richiesta dei carabinieri di Magione.

Così dichiarava:

Il cadavere era grande come una persona corpulenta perché molto gonfio, così mi sembrò perché era gonfio e tumefatto. Secondo me poteva pesare più di un quintale.

E ancora quando gli venne detto che sarebbe stato sostituito da altro impresario:

quando seppi che sarebbe venuta la ditta Passeri con Morarelli fui contento perché non me la sentivo proprio di procedere alla vestizione di un bestione di quelle dimensioni…io lasciai il cadavere per terra e me ne andai all’esterno perché tanto se ne sarebbe occupato Morarelli (vds verbale del 20.8.2002).

In altra circostanza dichiarava:

ricordo che la salma era grossa, enorme, era tutta la persona sproporzionata (vds verbale del 9.6.2005);

FINO Anna Rita : moglie di Moretti Nazareno.

Dichiarava:

Ricordo che mio marito fu chiamato ad effettuare un recupero di un cadavere nel lago. Chiesi al suo ritorno come fosse andata e lui mi disse che il morto era molto grosso….Voglio aggiungere che quando mio marito tornò a casa era sconvolto e mi disse che la persona deceduta era molto grande nel senso che era molto corpulento e che lui voleva portare il cadavere all’obitorio ma fu costretto a condurlo nella casa della famiglia. Mi disse in particolare che al suo fianco, nel carro funebre, vi era una persona che comandava che lo obbligò a portarlo a casa e che insieme a quest’ultima, non nel carro, vi era anche, probabilmente, un conoscente o un familiare del defunto che affiancava il personaggio potente. Io allora gli dissi in maniera diretta: ma ti sei rimbecillito! Guarda che per queste cose si rischia perché sono cose gravi anche in considerazione del fatto che non si era attuata la procedura prevista. Mio marito si giustificò dicendo che lui aveva detto all’uomo seduto al suo fianco che doveva, per procedura, portarlo all’obitorio ma questa persona che comandava gli disse di non preoccuparsi perché pensavano a tutto loro (vds verbale del 20.08.2002);

Nazzareno Morarelli: addetto dell’impresa funebre (la seconda fatta intervenire dalla famiglia Narducci) che ha proceduto alla vestizione del cadavere.

Dichiarava:

Aveva la testa gonfia e nera con aspetto negroide, l’addome gonfio fino all’ombelico e da sotto l’ombelico fino al pube aveva l’aspetto di una “grattacacia” che mi sembra di colore scuro, ho pensato che si trattasse di una malattia, non mi ricordo che mancavano le unghie, aveva i capelli ma non ricordo come, non ricordo come fosse lo stato dei genitali e non ricordo se aveva lesioni. Non c’era bisogno di mettere tamponi in bocca in quanto era chiusa. Aggiungo che io ho partecipato alla vestizione del cadavere del lago nel 1985 e ho partecipato alla vestizione del cadavere dopo la riesumazione di giugno 2002, e ho notato una notevole differenza di volume tra gli stessi in quanto il cadavere che ho vestito nel 1985 aveva un volume maggiore rispetto a quello vestito nel 2002…furono applicati una camicia chiara che io tagliai posteriormente. Non mi ricordo di che tipo fossero i pantaloni e sopra la camicia mettemmo una giacca o un golf blu scuro (vds verbale del 13.01.2003);

Gabriele Barbetta: addetto dell’impresa funebre (la seconda fatta intervenire dalla famiglia Narducci) che ha proceduto alla vestizione del cadavere.

Dichiarava:

Il cadavere si presentava gonfio, color grigio con chiazze color kaki, che sono caratteristiche di un corpo che entra in avanzato stato di decomposizione ed emanava fetore. Ricordo che i capelli erano sul nero un po’ stempiato come me. La fisionomia del cadavere era alterata in quanto era gonfio in volto, nei pettorali e nell’addome. Gli occhi erano mezzo chiusi. Rimasi talmente colpito dallo stato del cadavere che rivolto al mio socio Morarelli esclamai: “oh Dio come è ridotto! Ma ce lo fanno anche rivestire?”. I familiari ci avevano preparato gli abiti… (il cadavere pesava) all’incirca tra i 90 ed i 100 Kg. Sarà stato alto circa mt 1,80.
Ricordo perfettamente di aver fatto indossare al cadavere delle mutandine, una maglietta bianca, un paio di pantaloni ed una camicia (vds verbale del 10.06.2002).

In altra circostanza precisava:

…ricordo che la salma si trovava adagiata al suolo, al piano terra, e si presentava in pessimo stato di conservazione; il corpo era completamente gonfio, con chiazze violacee. Ricordo anche che mi stupii parecchio del fatto che i familiari volessero rivestire la salma, questo perché quel cadavere mi faceva anche un po’ ribrezzo, viste le condizioni, ma i familiari vollero che noi lo rivestissimo…non ho messo alcun telo o asciugamano sulla pancia del cadavere. Ricordo che mettemmo un giubbino, forse di lana, che mi sembra avesse delle trecce di un colore grigio chiaro…dopo averlo vestito lo abbiamo messo sopra una brandina e poi siamo andati a prendere la bara…al nostro ritorno, intorno alle 13,30 circa, andammo di nuovo nello stesso ambiente, e cioè al piano terra, dove ritrovammo la salma nello stesso modo in cui l’avevamo lasciata…Aggiungo inoltre che, accanto alla salma, vi erano delle persone che la vegliavano e ricordo perfettamente che vi erano anche delle donne…Sono assolutamente sicuro del fatto che Morarelli e l’altra persona (di cui non ricorda l’identità) sono rimaste sempre insieme a me per tutto il periodo che ci ha visto protagonisti nella sistemazione del cadavere quel giorno….Dopo aver saldato la cassa in zinco, abbiamo avvitato la bara con il relativo coperchio di legno. Posso stimare che quando chiudemmo definitivamente la bara, saranno state intorno alle 14,30, al massimo le 15,00…Credo che i sigilli li abbia apposti Moretti Nazareno di Magione, dopo aver espletato tutta la documentazione…Le pratiche funerarie sono state fate dal Moretti…Lei mi chiede come mai Moretti Nazareno abbia effettuato le pratiche funerarie ed io le rispondo che siccome il Moretti aveva “le mani in pasta” al Comune di Magione, e con ciò intendo che poteva sbrigare facilmente le pratiche, gli sia stato chiesto di darci un aiuto. Non gliel’ho chiesto io, presumo l’abbia fatto Morarelli, così come presumo che i sigilli alla bara in legno li abbia messi sempre lo stesso Moretti dopo lo svolgimento delle pratiche funerarie…
In sede di assunzione d’informazioni testimoniali, al Barbetta veniva fatto presente che alcuni testimoni avevano raccontato circostanze in contrasto con quanto da lui esposto [alcune persone avevano dichiarato che nei giorni successivi al ritrovamento del corpo e quindi il lunedì, avevano visto la bara aperta con il cadavere all’interno ed in zone della villa diverse da quelle descritte dal Barbetta], e così replicava:
Se la bara aperta l’hanno vista il giorno stesso in cui l’ho chiusa è possibile, se, invece, questo è accaduto dopo non ne ho la più pallida idea. Voglio aggiungere, ancora, che la salma che io ho rivestito non poteva essere esposta a lungo perché igienicamente non era il caso visto che era in piena fase di decomposizione (vds verbale del 13.06.2005).

Alberto Speroni: era il capo della squadra mobile della Questura di Perugia.

Si era recato sul posto e così descriveva in cadavere:

vidi il cadavere vestito con una camicia e un paio di pantaloni. Aveva dei grumi di schiuma alle narici e ad un angolo della bocca. Il cadavere era completamente vestito e non l’ho mai visto denudato. Rimasi sorpreso dal colorito scuro della pelle e la dottoressa disse che poteva trattarsi di barbiturici (vds verbale del 5.4.2002);

Donatella Seppoloni: svolse le funzioni di medico legale, senza però avere competenze specifiche, come dalla stessa ammesso.

 Descriveva il cadavere così:

era sdraiato in posizione supina sul molo, nelle vicinanze delle scalette ed era vestito interamente; mi pare che portava le scarpe, una camicia e, se ricordo bene, un giubbotto sopra la camicia. Mi sembrava che fosse vestito normalmente. Il cadavere del Narducci si presentava gonfio, edematoso e di un colore violaceo, aveva un notevole gonfiore al viso alle braccia e all’addome…dalla bocca si vedeva uscire un rivolo schiumoso rosato (vds verbale del 24.10.2001);

Francesca Raspati: all’epoca dei fatti aveva 16 anni e, insieme alla propria madre, si era recata al pontile di S. Arcangelo in occasione del rinvenimento del cadavere.

Descriveva così quel cadavere, visto a distanza attraverso i varchi lasciati dalla gente che affollava il posto (persone competenti e altolocate):

era estremamente gonfio e indossava pantaloni chiari e un giacchetto marrone di renna, così almeno sembrava…il giacchetto era chiuso sul davanti, ma il ventre enorme premeva sull’indumento. Il cadavere aveva le braccia lungo i fianchi…mi colpì anche la straordinaria diversità del cadavere da me visto rispetto al Narducci che io conoscevo di persona. Tra l’altro questo cadavere indossava dei rozzi pantaloni di colore molto ambiguo tra il cartazucchero e il grigio, allora in voga tra persone anziane e del tutto inadeguato a una persona raffinata come il Narducci. Esternai subito a mia madre le mie perplessità su quel cadavere, nel senso che non poteva essere quello del Narducci (vds verbale del 29.12.2003).

Poi, faceva cenno ai falsi allarmi spiegando di aver appreso dalla titolare di un negozio di alimentari, tale Gonda Cocchini, la mattina dopo la scomparsa del Narducci, che questi era stato ritrovato dietro l’isola Polvese, in località “Muciarone”;

Aurelio Piga: all’epoca brigadiere dei carabinieri, intervenuto sul posto.

Dichiarava:

Il cadavere era disteso sul pontile ed appariva gonfio e di colore scuro. Ricordo che emanava un po’ di cattivo odore che si sentiva solo avvicinandosi molto al cadavere. Intorno a quest’ultimo in quel momento vi erano persone che io non conoscevo e tutti attendevano l’arrivo del medico legale. Mi pare che il cadavere avesse le braccia incrociate intorno allo stomaco…pochi minuti dal mio arrivo sul posto, sopraggiunse una dottoressa che iniziò l’ispezione cadaverica. La prima cosa che fece fu di sollevare gli abiti del morto che non sapevo chi fosse. Quello che mi colpì e che attirò la mia attenzione fu la presenza di vistosi ematomi sul petto del cadavere. Io mi trovavo a fianco del cadavere insieme ad altre persone ed ero talmente vicino allo stesso da sentirne il cattivo odore che si avvertiva stando sopra al cadavere e vicinissimi allo stesso. Mi ricordo che vi erano ematomi sicuramente nella zona mammaria sinistra. Per me erano chiarissimamente degli ematomi per quello che ne posso sapere. Preciso che di cadaveri ne avevo già visti molti e quei segni mi davano una sensazione di qualcosa di pesto e dei innaturale. Ebbi la netta impressione che quella persona avesse subito percosse. Altri ematomi erano presenti nella parte sinistra del costato…Gli ematomi più vistosi si notavano nella zona mammaria sinistra dove l’ematoma aveva le dimensioni di un’arancia con un colore di sangue pesto molto scuro e concentrato rispetto alla restante parte del corpo. Nella zona del costato e fianco invece i segni di ecchimosi avevano delle forme disomogenee, in alcuni punti a forma di striscia in altri con forme più circoscritte che mi sembravano dovute a colpi secchi ricevuti dal cadavere. Nella parte destra del petto si notavano segni che mi sembravano ematomi di forme più ridotte rispetto alla parte sinistra, ma dello stesso colore di pesto, sia nella zona mammaria che nel costato e nel fianco destro…A questo punto tra me e me mormorai “MA QUELLE SONO LESIONI” ma qualcuno a me vicino, alle mie spalle, mi intimò in modo autoritario di stare zitto…Ad un certo punto il cadavere fu rovesciato sul fianco destro, così mi ricordo, e venne data un’occhiata alle spalle. Anche sulle spalle aveva dei segni che mi sembravano degli ematomi ma non così vistosi come nel petto. Ricordo che quando fu piegato uscì del sangue misto ad acqua dalla bocca e dal naso, con un certo fetore, che avrei risentito nel corso degli anni di fronte ad altri cadaveri. Puzzava di fango e sangue (vds verbale del 25.03.2002);

Daniele Meli: è il carabiniere che coadiuvò sia alle ricerche e sia al recupero del cadavere dalle acque del lago.

Dichiarava:

Il cadavere aveva un braccio piegato davanti a sé o forse tutte e due le braccia piegate davanti a sé ed era rigido. Aveva una camicia a quadri, mi pare avesse anche la cravatta, un giacchetto forse di renna marrone e pantaloni. Il cadavere era gonfio e gli occhi erano tanto gonfi da essere chiusi. Aveva anche liquido biancastro che usciva dalla bocca…Quello che mi impressionò era però soprattutto la presenza di numerose escoriazioni sulla testa e sul volto…si notavano varie escoriazioni nella parte alta del capo tanto che i capelli erano stati strappati via; sul volto aveva una escoriazione sopra il sopracciglio destro, che si notava molto perché l’occhio era molto gonfio. Era come se la pelle fosse stata strusciata via e si notava il bianco sotto. Nel capo in corrispondenza delle escoriazioni vi era del sangue rappreso, come delle strisciatine rosse…la cosa che mi colpì fu che la dottoressa fece girare di fianco il cadavere e poi tagliò la camicia posteriormente al centro della schiena dove vi erano delle ecchimosi o comunque dei punti di un blu intenso che mi sembravano ecchimosi. Il cadavere era molto gonfio e ricordo che mi colpì il fatto che in pratica la dottoressa scoprì soltanto parte della schiena del cadavere (vds verbale 26.10.2001).

Il cadavere era gonfio e sarà pesato oltre un quintale. Presentava escoriazioni soprattutto in corrispondenza del cuoio capelluto…Il cadavere era violaceo soprattutto in corrispondenza del volto che appariva tumefatto. Il collo era talmente gonfio che debordava dalla camicia. I capelli rimasti al cadavere erano di colore chiaro, non ricordo se bianco. Vi erano numerose chiazze nella parte superiore del capo dove mancavano completamente i capelli in un modo che non appariva naturale.
D: “Come era la stazza del cadavere?”
R: “Il cadavere aveva la stazza dell’ispettore che mi sta davanti”. Si da atto che l’App.to indica l’Isp. Fantauzzi il quale dichiara di pesare Kg 110.
D: “A suo avviso come doveva essere l’uomo in condizioni normali?”
R: “Sicuramente era un uomo di ossatura molto robusta”
Vengono esibite all’App.to Meli la foto nr. 6 depositata il 10.5.2002 raffigurante il Narducci disteso su un motoscafo a torso nudo in compagnia di un amico che indossa un cappello estivo.
D: “La stazza dell’uomo ripescato corrispondeva a quella del giovane che appare in primo piano senza cappello?”
R: “Assolutamente no, la stazza del cadavere era molto più grossa e anche l’ossatura appariva molto più robusta”
(vds verbale del 17.10.2002);

Maria Teresa Miriano: amica della famiglia Narducci e sorella del Procuratore Capo Dr. Miriano.

Dichiarava:

Io mi recai nella loro villa di San Feliciano, dove arrivai verso le 14.00. Mio marito non venne perché aveva l’ambulatorio. Ricordo che c’era un gran via vai di amici, tra i quali mi sembra di ricordare il prof. Cancellotti e la moglie. Non ho un ricordo preciso delle persone presenti. Può darsi che io sia andata nella villa di San Feliciano in due giorni diversi…il primo giorno che sono andata alla villa, ho visto il cadavere di Francesco all’interno della bara situata al piano terra…Francesco mi apparve con una espressione serena, con il suo volto di sempre senza alcun segno di violenza. Mi sembrava talmente sereno da apparire truccato. Aveva un paio di pantaloni tipo jeans, era senza scarpe, con delle calze scure; indossava un giubbotto color cuoio da cui spuntava una camicia verde. Me lo ricordo in maniera perfetta: Il giubbotto aveva il colore del cuoio e mi sembra che fosse un po’ di pelle e un po’ di lana. A me sembrava che subito dopo fosse stato portato via dall’impresa funebre, ma qualcuno mi disse che non era così. L’unica cosa che notai è che aveva un po’ di pancia e ciò mi stupì, perché Francesco aveva un fisico slanciato (vds verbale del 20.2.2003);

AGABITINI Giuseppe : vide il cadavere nella fase del recupero dalle acque del lago.

Dichiarava:

mi affiancai alla barca dei Carabinieri i quali mi fecero vedere il cadavere, scoprendo la coperta fino al bacino. Notai che si presentava gonfio, vestito e non ricordo che avesse particolari tumefazioni sul volto (vds verbale del 10.05.2002);

AGABITINI Omar : nipote di Agabitini Giuseppe con cui ritrovava nella fase del recupero del cadavere.

Dichiarava:

Giunti anche noi sul posto, avemmo modo di vedere che il cadavere, che poi seppi appartenere in vita al Dottor Francesco Narducci, era già stato caricato sulla barca dei Carabinieri, tra cui riconobbi l’Appuntato Di Goro. Quest’ultimo tolse la coperta dal corpo del dottore e sia io che mio zio avemmo modo di notare nella sua interezza il cadavere. Il mio ricordo è questo: era un corpo molto gonfio, aveva un colorito tra il verde scuro e il violaceo, almeno così mi sembra (vds verbale del 10.05.2002);

Ugo Baiocco : è uno dei due pescatori che trovarono il cadavere il 13.10.1985. L’altro Budelli Arnaldo è morto annegato nel 2001. E’ stato un testimone oculare anche delle fasi relative al recupero del cadavere dalle acque.

Dichiarava:

Vidi il corpo di un uomo sfigurato, a pancia all’aria, vestito con cravatta, camicia e mi pare un giacchetto, calzoni e scarpe, con il volto tumefatto, nero e gonfio, e non si vedevano nemmeno gli occhi. Ricordo che la testa era rivolta verso Castiglion del Lago, a favore di vento, ricordo anche che sulla testa vi erano molte alghe che formavano come una specie di capannelli in cui era immerso il corpo. Aveva il braccio sinistro poggiato sullo stomaco e il braccio destro lungo il corpo; appena lo vidi svenni e mi ripresi dopo pochi minuti…Ricordo anche che la mano sinistra, quella poggiata sullo stomaco era particolarmente gonfia, deforme e scura, mentre l’altra mano era sotto l’acqua. Dopo quel fatto facemmo chiamare i Carabinieri di Castiglion del Lago che hanno portato il cadavere al molo, dove è arrivato il Procuratore (vds verbale del 24.10.2001).

All’udienza del 17 febbraio 2006 dell’incidente probatorio, il predetto confermava sostanzialmente i fatti, tra cui i particolari della posizione del cadavere nell’acqua (a pancia all’aria), del viso (trasformato, molto gonfio, molto scuro), degli occhi (erano chiusi ricoperti dal gonfiore), del recupero dall’acqua (i carabinieri avevano un telo, poi con dei bastoni le guardie da una parte e i carabinieri dall’altra gli hanno passato sotto al corpo questo telo e poi lo hanno tirato su col telo), dell’orario dell’avvistamento del cadavere ( le sette e un quarto, le sette e venti);

Piero Bricca : all’epoca vigile della Polizia delle acque di Perugia, teste oculare del recupero del cadavere.

Dichiarava:

dei pescatori sono venuti incontro a noi che ci trovavamo avvertendoci che il cadavere era riaffiorato. Ci dirigemmo con loro nel punto dove era affiorato il cadavere, mentre nel frattempo erano arrivati anche i vigili del fuoco ed insieme tirammo su il cadavere. Il cadavere lo ricordo bene come una fotografia, perché mi fece senso in quanto il cadavere non sembrava quello del professore o comunque di un uomo bianco. Sembrava un negro perché aveva le labbra tumefatte, molto grosse e la pelle scurissima. Ricordo perfettamente che gli uscì, non appena lo muovemmo per tirarlo su, un rivolo di sangue da una narice. Non si trattava di acqua mista a sangue. Era proprio sangue e lo ricordo con assoluta certezza come fosse oggi. Il rivolo di sangue si fermò all’altezza delle labbra, anzi poco sopra l’inizio del labbro superiore, raggiungendo la lunghezza di un paio di centimetri. Non sembrava il Prof. Narducci che io conoscevo di vista e le cui foto ho rivisto sui giornali…Il corpo aveva un fetore insopportabile. Avevo visto molti cadaveri recuperati dall’acqua ma quello era diverso da tutti gli altri e mi ha impressionato troppo. Il cadavere aveva una camicia, e quello di cui sono assolutamente certo e lo ribadisco perché ho davanti ancora l’immagine di quel corpo, è che attorno al collo, sopra la camicia aveva una cravatta molto stretta al collo tanto che io pensai che il colore scurissimo del volto dipendesse dalla strozzatura della cravatta. Ricordo che appena lo vedemmo esclamai: “Ma questo non è lui!”. La camicia era chiara e non era tutta abbottonata fino al collo. Ripeto che questi sono particolari che non si dimenticano e dico ancora che sono assolutamente sicuro che quel cadavere avesse la cravatta al collo. Sarà stato alto circa mt. 1,75-1,77 ed era molto gonfio. Non ricordo se portasse qualcosa sotto la camicia. Non ricordo se il cadavere fosse supino o bocconi. Al momento del recupero uscì il rivolo dal naso. Anche questo fatto lo ricordo perfettamente. Ribadisco che quel cadavere non mi sembrava il Narducci poiché appariva molto trasformato. Il corpo fu issato sopra la nostra imbarcazione e poi venne portato sul pontile di Sant’Arcangelo. La camicia era al di fuori dei pantaloni. Quando il cadavere fu poggiato sul molo rimanemmo anche noi intorno al cadavere e si formò una specie di cerchio di persone intorno al cadavere stesso (vds verbale del 11.06.2002).

E poi ancora in altra circostanza:

La domenica 13 ottobre fu tirato su il cadavere che era scuro scuro con le labbra tumefatte, molto grosse e il volto gonfio. Appena lo muovemmo, uscì dal naso un rivolo di sangue puro che si fermò all’altezza del labbro e lo confermo con assoluta certezza perché mi impressionò molto. Potrei metterci le mani sul fuoco.
Non sembrava il Professor Narducci che conoscevo di vista, tanto che, quando lo vedemmo esclamai: “Ma questo non sembra lui!”. Il cadavere emanava un fetore insopportabile. Ricordo che aveva una cravatta molto stretta al collo, una camicia chiara…Ciò che mi è saltato agli occhi è stato soprattutto il sangue dal naso che non avevo mai visto negli annegati. Non avevo mai visto un cadavere così scuro e gonfio dopo cinque giorni dalla caduta in acqua e, comunque, dalla scomparsa (vds verbale del 27.09.2004);

● GONNELLINI Paolo : vigile lacuale, collega di Bricca Piero, teste oculare del ritrovamento del cadavere.

Dichiarava:

Il giorno del ritrovamento, di mattina, non ricordo l’ora, fummo chiamati da un pescatore che ci disse di aver trovato un cadavere e aggiunse di aver paura di avvicinarsi non so perché. Ci recammo nel luogo del rinvenimento che era vicino al molo di Sant’Arcangelo che era a circa tre o quattrocento metri dallo stesso pontile ed in direzione di Castiglion del Lago, cioè spostato molto ad ovest del pontile. Ero nella motovedetta con l’allora vigile Piero Bricca. Il pescatore era sulla propria barca da solo e stava tirando su i tofoni. Il cadavere era bocconi con la testa immersa fino alle orecchie nell’acqua, le braccia allargate e le gambe sotto il pelo dell’acqua. Non ricordo se vi fossero anche i Carabinieri. Quello che mi colpì del cadavere fu la cravatta stretta al collo con il classico nodo al di fuori del colletto di camicia, proprio sotto il mento. Il volto appariva molto scuro quasi come quello di una persona di colore ed anche le labbra erano tumefatte. Indossava una camicia chiara e abbottonata salvo all’altezza del collo dove la camicia appariva spanciata. Sopra la camicia aveva un giubbotto di colore marrone. Ricordo che sotto la narice vi era come un rivolo di sangue rappreso che terminava all’altezza del labbro piegando verso lo spigolo dello stesso. Della cravatta sono sicuro al 100%, così come sono sicuro del fatto che lo stesso apparisse molto gonfio e scuro. Il cadavere, credo, lo portammo a bordo della nostra pilotina. Dopo che il cadavere fu appoggiato sul molo me ne andai perché erano presenti molte persone tra cui le Forze dell’Ordine (vds verbali del 11.06.2002);

In un successivo verbale precisava:

vedemmo un cadavere, con le mani allargate e il volto immerso nell’acqua. Era un uomo di circa 30 anni, alto non più di mt. 1,70, molto gonfio, in particolare nel volto. Non ricordo come fossero i capelli, ricordo solo che erano piuttosto corti. Indossava un giubbotto di renna marrone scuro. Ciò che ci colpì fu il volto dell’uomo che era gonfio come una palla e talmente scuro che io l’avrei scambiato per un uomo di colore. Le labbra erano più scure della pelle e leggermente prominenti, forse anche a causa del gonfiore. Stretta al collo l’uomo aveva una cravatta scura che si trovava al di fuori dei colli della camicia, che era di colore chiaro. La camicia era tiratissima perché al di sotto l’uomo era molto gonfio e il ventre premeva sulla camicia. Non vidi ferite sul volto dell’uomo che caricammo sulla nostra motobarca. Ricordo che l’uomo benché leggermente piegato, era contenuto, nelle sue dimensioni, dal copri vano motore, nel senso che non sporgeva niente al di fuori. Poiché la lunghezza del copri vano motore è di circa mt. 1,30, l’uomo doveva essere di statura bassa. Ho vivido il ricordo della corrispondenza tra le dimensioni dell’uomo leggermente rannicchiato e la lunghezza del copri vano motore. Non ricordo se l’uomo avesse o meno le scarpe, ne che tipo di pantaloni indossasse. Mi trovavo insieme al collega Bricca Piero perché il pescatore era come impaurito e si era tenuto lontano. Ad un certo punto arrivò la motovedetta dei carabinieri che presero in consegna il cadavere, anche perché noi eravamo vigili lacuali (vds verbale del 22.10.2003).

Sul “doppio cadavere” si ritiene utile fare un cenno anche alla falsificazione del certificato di morte di Francesco Narducci e al mancato rinvenimento, agli atti dei Vigili del Fuoco di Perugia, della scheda di intervento del giorno 13 ottobre 1985.

Dagli accertamenti espletati sono risultati due certificati, datati 14.10.1985, rilasciati dal Servizio Necroscopico della USL del Lago Trasimeno.

Il primo di essi, recante il n. 786 (3-11-B), presentava evidenti segni di cancellazione che indicavano un’ avvenuta alterazione dell’originario contenuto; cosa, invece, che non si riscontrava nell’altro certificato che recava il n. 788 – copia.

Una consulenza grafologica del CT del PM, dr. Francesco Donato, ravvisava la presenza di tre mani diverse che avevano contribuito a compilare il documento: quella del medico necroscopo, che aveva redatto la parte relativa alla causa della morte (annegamento 8-10-85- Lago Trasimeno); quella, diversa dalla precedente, che aveva redatto alcuni dati, quali quelli anagrafici; quella che, utilizzando una penna diversa dalle precedenti e di tipo “roller ball”, aveva effettuato cancellature (vecchio indirizzo di residenza) e vere e proprie obliterazioni di indicazioni compilate dalla mano precedente (data del decesso: 8 anziché 9 ottobre); luogo: acque Trasimeno – frazione S. Arcangelo anziché Spiaggia San Feliciano).

A quanto rilevato dal prefato C.T., va segnalato un ulteriore differenziazione della calligrafia in relazione al contenuto della parte relativa alla “descrizione lesione”: nel certificato 786 è riportato :

“segni di macerazione della cute e mucose – stato edematoso”

con una calligrafia apparentemente diversa dalle altre e in ogni caso del tutto differente da quella che risulta nel medesimo spazio nel certificato 788.

Va altresì rilevato che i due certificati riportano due firme appartenenti a mani diverse e delle quali una è quella della Dott.ssa Mencuccini (certificato 788), nonché la stessa data (14.10.1985) che in realtà non può essere assolutamente coincidente, atteso che il certificato, contraddistinto dal numero intermedio (il 787) riporta la data del 15 ottobre..

Mauro Sciurpi: addetto all’ufficio servizi demografici presso il Comune di Magione.

Dichiarava:

Domanda: Lei si ricorda della morte del Narducci?
Risposta: Sì, l’ho letto sui giornali e comunque se ne parlava in comune. So che il Dentini è stato convocato in Procura e di questa storia ne abbiamo parlato.
Domanda: Lei ricorda il certificato di “Accertamento morte nr. 786” che le mostro?
Risposta: Lo ricordo perfettamente e posso dire che il certificato è stato da me redatto nelle parti relative all’indicazione di Magione, al luogo di nascita e di residenza del morto Prof. Francesco Narducci ed al cognome della moglie e cioè alle indicazioni scritte con penna biro di colore nero. Avevo scritto anche la data ed il luogo di morte che mi era stato indicato dall’addetto alle pompe funebri Nazzareno Moretti e cioè “9.10.1985 e San Feliciano”.
Domanda: Lei riconosce la grafia scritta in rosso “spiaggia” che le mostro?. Si da atto che viene mostrata allo Sciupi la pagina della consulenza tecnica del Prof. Donato in cui viene evidenziata la scritta sottostante la parola “frazione”.
Risposta: La scritta spiaggia che vedo evidenziata in rosso e che appare sotto la parola frazione non è stata da me apposta. Non so a chi appartenga, forse al Dentini, ma non ne sono sicuro. Io non ho scritto neppure la parola “frazione”riferita a Sant’Arcangelo. Interruppi la stesura del certificato dopo avere compilato le parti riguardanti il comune fermandomi all’indicazione del luogo della morte e cioè San Feliciano. Non ho scritto “annegamento Lago Trasimeno”. La sottostante parte del certificato doveva essere compilata dall’ufficiale sanitario preposto dell’USL. Lo sbarramento sulla parte “morte per causa naturale”è stato apposto da Dentini Luciano….Io avevo scritto anche il luogo di residenza del defunto in Via San Bonaventura 12, perché così mi era stato dichiarato dal Moretti. La linea di sbarramento su Via San Bonaventura e l’indicazione Via Savonarola 31, come tutte le altre indicazioni scritte con inchiostro nero, sono state apposte dal Dentini. La correzione sull’orario del rilascio 9,00 invece che 9,30 sembra apposto dal medio.

A questo punto veniva mostrato allo Sciurpi il certificato nr. 788 sempre relativo al Narducci.

Domanda: Come mai vi è un secondo certificato di accertamento morte con diverso numero, sempre relativo al Narducci e come mai il certificato precedente il nr. 787 è stato rilasciato il 15.10.1985 mentre il successivo certificato nr. 788 di nuovo si rifà al Narducci ed è stato rilasciato il giorno prima di quello nr. 787? Riconosce la grafia apposta sul certificato 788? Come mai nel certificato necroscopico nr. 788 vi è in alto un timbro assente sugli altri, mentre non è presente in fondo a dx il timbro tondo del distretto dell’USL competente?
Risposta: Non riesco a spiegarmi la presenza di un doppio certificato, né le altre anomalie. Posso solo dire che a me sembra falso. Non ho mai visto in vita mia una cosa del genere. Secondo me il certificato di accertamento morte nr. 788 che mi viene esibito, non è del Comune di Magione. Fra l’altro il timbro con la data 19.10.1985 non è assolutamente del Comune di Magione, mentre invece il certificato nr. 786, relativo al Narducci, reca il timbro del Comune di Magione siglato dal Dentini. Più guardo il certificato nr. 788, più mi rendo conto che non è del nostro Comune. Sarebbe necessario accertare presso tutto l’ambito territoriale della USL del Lago Trasimeno il certificato di accertamento morte 788 del 1985 perché evidentemente a qualcuno di questi Comuni manca il nr. 788 del 1985 che è stato utilizzato per redigere il certificato in questione, a mio avviso. Secondo me il certificato nr. 788, che mi viene mostrato, deve essere stato prelevato da un Comune più piccolo di quello di Magione perché in quei Comuni il nr. 788 era probabilmente libero. Deve trattarsi quindi, a mio avviso, o del Comune di Tuoro o del Comune di Passignano o del Comune di Panicale o di altri piccoli Comuni che compongono l’USL del Trasimeno, mentre il Comune di Castiglione del Lago è più grande e popoloso di quello di Magione e all’epoca avrà sicuramente superato il numero 800, perché il numero dei morti doveva essere superiore.

Quindi, venivano mostrati il Nulla Osta al seppellimento della Procura di Perugia, la Scheda di morte ISTAT, relativa al Narducci, e l’atto di morte del Narducci.

Domanda: Come mai il Nulla Osta della Procura risulta emesso il 16.10.1985, mentre l’atto di morte è del giorno prima ed in esso si dà atto che è stato acquisito Nulla Osta della Procura in data 15.10.1985 e come mai l’indicazione relativa alla data di nascita del coniuge del Narducci è totalmente errata poiché la signora Francesca Spagnoli, moglie del Narducci, è nata il 02.10.1060?
Risposta: La cosa è irregolare ma può essere accaduto che il Moretti abbia messo fretta al Dentini assicurandogli che il Nulla Osta al seppellimento sarebbe arrivato e il Dentini, fidandosi di questo, abbia dato atto della presenza di un atto che invece reca la data del giorno successivo. Sulla data di nascita posso dire solo che il Dentini avrà scritto quello che gli avevano dettato.
……
Domanda: Come mai nessuno si è accorto delle anomalie di questi registri?
Risposta: A fine anno la documentazione viene archiviata e nessuno la vede più. Anche le verifiche dei registri venivano fatte sommariamente. Inoltre i nostri uffici volendo sono accessibili da chiunque. Aggiungo che, parlando con il Dentini, l’ho trovato molto sorpreso del fatto che il Nulla Osta al seppellimento del cadavere successivo all’atto di morte. Quell’ufficio è un “porto di mare” e non sarebbe difficile manomettere la documentazione esistente.
(vds verbale).

Singolare poi si rivelava il mancato ritrovamento della scheda d’intervento dei vigili del fuoco di Perugia – guarda caso! – relativa proprio alla giornata del 13 ottobre 1985.

Infatti, contrariamente a quelle dei giorni precedenti, tutte esistenti agli atti e trovate, di quella del 13 ottobre non c’era traccia e di tale mancanza nessuno sapeva fornire valide spiegazioni.

Sul punto veniva svolta un’articolata attività delegata, riferita al P.M. con la nota n. 259/04/Gides del 4.6.2004, che qui si richiama.

Infine, dagli elementi acquisiti dall’attività tecnica di intercettazione, si reputa interessante fare riferimento alla telefonata delle ore 16,41 del 19.12.2002 (la nr. 415), intercorsa tra Gianni Spagnoli e la figlia Francesca.

Siamo in un momento storico dell’inchiesta in cui si venivano a sapere i primi risultati delle consulenze tecniche disposte dal P.M. e dai consulenti di parte, sulla salma di Francesco Narducci.

Padre e figlia commentavano così tali risultati:

Gianni: A un certo momento è ore eh?… perché…questa era una cosa che ormai lo s… lo sapevamo no?… da due o tre mesi no?
Francesca: Eh sì.. è vero.. probabilmente a ‘ste cose uno non si abitua mai finché non te dicono come sono effettivamente no?
Gianni: Eh beh… certo…
Francesca: Uno spera sempre … spera sempre che non sia vero ma insomma…
Gianni: Eh..
Francesca: Va beh..
Gianni: Purtroppo è così ed è anche peggio co’ ‘sta storia del doppio corpo…
Francesca: Eh sì..
Gianni: Sta venendo fuori con chiarezza… io c’ho parlato con…con…col capo.. ma a Francesco non glie dì niente eh!?
Francesca: No…no!
Gianni: C’ho parlato e… insomma sembra che la notte prima… no?
Francesca: Eh…
Gianni: La notte prima hanno trafficato anche con i corpi…capito?
Francesca: Madonna!
Gianni: Quindi loro stanno dietro a questo…ormai stanno stringendo…c’è qualcuno che ha fatto ‘sto lavoro ma chiaramente…i Narducci sono…coinvolti!
Francesca: Eh beh…insomma…
Gianni: Eh se è così…capito?… se…se… loro riescono a dimostrà questo glie mettono le manette eh!?
Francesca: Eh beh…ce credo eh?
Gianni: E’ sottrazione di cadavere…ma dico (ride) è un casino tale…che proprio non te ce devi…non ce…non…non…non te…non ce devi soffrire su questo perché… guarda è una cosa…veramente…
….
Francesca: Così almeno ci mettiamo con le ma…con le spalle al muro perché comunque noi cioè…eee…dalle nostre…dai nostri periti è venuto fuori che questo qui è morto strangolato…eh!
…..
Gianni: Eh han fatto tutto ‘sto lavoro sul garage eh?… eh…de casa no?
Francesca: Eh già…

Tra i personaggi implicati nella messinscena del ritrovamento del cadavere “sconosciuto”, per come è stato possibile ricostruire dalle molteplici testimonianze in atti, alcuni rappresentanti istituzionali che erano presenti sul pontile anche la mattina del 13 ottobre 1985 ( in particolare, il dr. Francesco Trio, all’epoca Questore di Perugia, e il Col. Francesco Di Carlo, all’epoca capitano del carabinieri) avrebbero ricoperto un ruolo primario. Senza il loro intervento sul posto, con tutta probabilità la messinscena non sarebbe stata possibile attuarla, ovvero sarebbe stata molto difficile poterla realizzare.

Analizziamo ora le dichiarazioni di Francesco TRIO, quelle di Francesco Di Carlo e le incoerenze emerse grazie alle testimonianze di coloro che, nonostante le pressioni ricevute, non hanno taciuto.

Francesco Trio: all’epoca Questore di Perugia.

Dichiarava:

All’epoca ero il Questore di Perugia; conoscevo il padre, Prof. Ugo, ma non il figlio. Ricordo che nel mese di ottobre 1985 venne denunciata la scomparsa di questo medico e le indagini le seguì la Squadra Mobile ed io seguii i vari sviluppi dell’attività investigativa… Se non ricordo male il professor Ugo Narducci mi venne a trovare il giorno successivo la scomparsa del figlio Francesco; non ricordo se c’era anche l’altro figlio Pierluca. In quel periodo le ipotesi che venivano fatte circa la scomparsa erano le solite, ossia il rapimento, l’omicidio, il suicidio o una disgrazia…era stato redatto un voluminoso e specifico rapporto da parte della Squadra Mobile sulla scomparsa del Narducci nel quale dovevano esistere anche delle fotografie del cadavere…del fascicolo è rimasto in “moncone” che non ha senso alcuno e non riesco a capire che fine abbia fatto il rapporto di cui ho parlato e che deve essere stato mandato all’Autorità Giudiziaria. Sicuramente deve essere intervenuta la Scientifica che ha fatto i rilievi…ricordo anche che furono fatti i rilievi dall’Arma dei Carabinieri, almeno così credo perché i Carabinieri intervennero prima della Squadra Mobile…
Domanda: Si ricorda se il Professor Narducci le parlò dell’eventualità dell’autopsia e della possibilità di evitarla perché aveva paura di farla praticare?
Risposta: Non ricordo, ma sicuramente se me ne avesse parlato gli avrò risposto che la cosa dipendeva dalla magistratura, con la quale io non ebbi contatti, a quanto ricordo, se non a titolo di “pour parler”…
Domanda: La coincidenza della scomparsa del Narducci con il periodo successivo all’ultimo dei delitti del cosiddetto “Mostro di Firenze”non vi insospettì, trattandosi di un medico?
Risposta: Non ci pensammo perché non c’erano elementi per farci pensare a tale coincidenza anche se i giornali parlavano di una sua attività lavorativa a Firenze.
Domanda: Il giorno in cui il cadavere fu rinvenuto, Lei quando giunse sul posto?
Risposta: Ricordo che arrivai quando stavano organizzando il trasposto del cadavere presso un’abitazione sita nei pressi del lago, di proprietà del Professor Narducci. Non vidi il cadavere se non a distanza e ricordo che era vestito; ricordo che il Dirigente della Squadra Mobile mi informò che il cadavere doveva essere consegnato ai familiari secondo disposizioni avute dagli organi competenti;nell’occasione mi disse anche che una dottoressa aveva eseguito la visita esterna. Non escludo che il Professor Narducci mi abbia espresso il suo disagio per una possibile autopsia.(vds verbale del 05.04.2002).

In altra occasione riferiva:

Quando arrivai sul pontile, dopo il rinvenimento, e preciso di non aver mai visto in vita il Dr. Francesco Narducci, vidi il cadavere ripescato. Il cadavere era in terra, indossava un paio di jeans, non ricordo altro del cadavere in quanto ero ad una distanza tale che non mi consentì di vedere bene. Dalla cintola in su non vedevo niente perché ero ad una distanza di circa dieci metri dal cadavere. A questo punto si distacca il Dr. Speroni, capo della Squadra Mobile, viene da me e mi dice: “quando sono arrivato il cadavere era sul molo, era intervenuta una dottoressa chiamata anzitempo dai Carabinieri che ha effettuato una ispezione cadaverica”. Mi aggiunse inoltre di aver personalmente informato il magistrato di turno che chiese di parlare con la precitata dottoressa, cosa che avvenne, e, a fine colloquio telefonico tra il medico ed il giudice, riprese la conversazione il Dr. Speroni al quale il giudice disse che la salma poteva essere consegnata ai familiari avvalendosi della impresa funebre all’uopo intervenuta.
Domanda: E’ a conoscenza di sopralluoghi o di ispezioni effettuate da uomini della Questura di Perugia o dai Carabinieri di Perugia presso abitazioni di Firenze o dintorni appartenute al Narducci o alla sua famiglia?
Risposta: No, lo apprendo in questo momento! (vds verbale del 20.06.2002);

Enzo Leonardi: all’epoca autista del Questore Trio, dichiarava di non ricordare nulla del periodo che seguì la scomparsa del Dott. Narducci, tanto meno ricordava di aver accompagnato il Dott. Trio a Firenze. Lo stesso esponeva che, il giorno del ritrovamento del cadavere, fu contattato alle 07 – 07,15 dal centralino della Questura che lo notiziava del fatto che il Sig. Questore lo attendeva sul pontile di Sant’Arcangelo, dove lui prontamente si recò posizionando la macchina di servizio lontano sulla sinistra per mantenere il collegamento del ponte radio. A quel punto al Leonardi venivano mostrate le foto scattate il giorno del ritrovamento del cadavere e dalle quali si deduceva che la posizione presa dall’autista quella domenica era vicino al pontile sulla destra. Leonardi esclamava: “Mi sono sbagliato”.

Poi, riferiva:

Questa situazione mi sta logorando e mi sta rovinando la vita; dopo la prima citazione sono caduto in un baratro, vedendomi con dei sospetti. Ho una vita stupenda, ma questa storia mi sta rovinando…io ero l’ultimo pesciolino della situazione. Io mi trovo in un grande imbarazzo perché lì sul posto ero l’unico pesciolino in mezzo a tanti pesci grossi. Io mi sono sentito così perché sono stato coinvolto in questa storia a causa del Questore Trio…Ricordo che arrivammo con le macchine dentro la villa; di fronte alla mia autovettura vi era il carro funebre ed un’altra autovettura. All’interno vi era solo il Questore e non ricordo se vennero gli altri della Squadra Mobile che si trovavano sul pontile. Ricordo che io sono sceso dalla macchina e sono rimasto lì. Vedevo le persone che entravano ed uscivano dalla casa. Il Questore andava e veniva dall’interno della casa dove si sarà trattenuto per circa due ore; notavo che lo stesso, ogni cinque, quindici minuti entrava ed usciva dalla casa (vds verbale del 29.04.2004);

Maria Bona Franchini: moglie di Gianni Spagnoli.

Dichiarava:

Nel pomeriggio del giorno 9 mentre mi trovavo in casa di Ugo con mia figlia ed erano presenti molti loro amici, come il rettore Dozza e la moglie, Ugo mi prese in disparte portandomi in un’altra stanza, uno studio, e mi disse: “mi sono messo d’accordo con il Questore per non far fare l’autopsia a Francesco”. La cosa mi lasciò sorpresa perché speravo ancora che potesse essere trovato vivo e manifestai ad Ugo questa speranza cercando di incoraggiarlo ed invitandolo a non pensare a questa cose, ma Ugo tagliò corto dicendomi che non avrebbe voluto vederlo tagliuzzare (vds verbale del 21.02.2002);

Francesco Di Carlo: all’epoca Capitano dei Carabinieri, comandante della Compagnia CC di Perugia.

Dichiarava:

Ricordo che la denuncia della scomparsa del Narducci fu presentata alla Questura di Perugia ed io intervenni solo quando il M.llo Bruni della Stazione CC di Magione mi chiamò dicendomi che era stato recuperato un corpo esanime del Prof. Narducci nel lago…il cadavere era interamente vestito, gonfio e aveva un rigolo di schiuma che usciva dal naso e dalla bocca. Detti uno sguardo sommario al cadavere e non lo esaminai con attenzione. Ricordo che il Narducci era stato identificato dal M.llo Bruni. Il cadavere, quanto mi disse il M .llo, era stato trovato da pescatori nel lago….Gli unici accertamenti da noi fatti furono quelli relativi alla ricerca dello scomparso…(vds verbale del 07.01.2002).

Il M.llo Bruni testualmente riferiva:

Venni allertato il giorno del rinvenimento e cioè il 13.10.1985 dall’allora Comandante della Compagnia di Perugia, Capitano Francesco Di Carlo. Ricordo che quel giorno mi misi a riposo perché dovevo fare una scappata a Roma per mie cose personali. Nel contesto il Capitano Di Carlo mi disse che era stato ripescato il cadavere del Dr. Narducci e che per questo dovevo recarmi sul molo di Sant’Arcangelo; non ricordo l’orario ma posso supporre si trattasse della prima mattinata. Tempo dieci minuti ed arrivai sul molo vestendo la divisa su espressa richiesta del Capitano che volle ch’io indossassi l’uniforme…In quella circostanza, atteso che l’ordine di portarmi sul luogo del ritrovamento era stato impartito personalmente dal Cap. Di Carlo, ritenevo che lo stesso avesse provveduto ad inviare il personale abilitato alle foto. Cosa che non avvenne. Ricordo che sul pontile ne dovetti parlare per forza con il Cap. Di Carlo, mio comandante e superiore diretto, il quale mi disse testualmente: “Lascia stare per le foto tanto si tratta di annegamento”….della Dott.ssa Seppoloni me ne parlò in prima persona il Cap. Di Carlo il quale, quando mi ordinò di andare sul pontile ancorché io fossi a riposo, mi disse anche che sul posto avrei trovato la Dott.ssa Seppoloni della USL di Panicale. A quel punto domandai al Capitano chi fosse questa Seppoloni e cosa c’entrasse Panicale visto che io non l’avevo mai sentita né vista, né sui luoghi in cui rinvenivo qualche cadavere, né altrove, oltre al fatto che dovevo chiamare qualche medico di Magione, cosa che in caso di decessi avevo sempre provveduto personalmente. Il Capitano Di Carlo mi disse fin da subito che non dovevo preoccuparmi “tanto si trattava di una cosa sbrigativa”. Io rimasi alquanto sorpreso della risposta datami e siccome era un ordine legittimo non eccepii…finite le operazioni di stesura del verbale mi avvicinai al Cap. Di Carlo al quale dissi: “Capitano qui le cose non mi sembrano tanto chiare!”, riferendomi anche al fatto che ci fosse una fretta che non mi sembrava normale. Ricordo che poi iniziai a controbattere al Capitano al quale dissi pure: “Ma le sembra questo il modo di fare una rimozione del cadavere?”. Mi rispose testualmente e questo lo ricordo con certezza: “Ma non ti stare a preoccupare, fatti gli affari tuoi tanto la vita continua, ci sono tante Autorità..”, lasciando intendere che io ero l’ultima ruota del carro. A quel punto gli feci notare che la Dott.ssa Seppoloni poco prima aveva detto a Nazareno Moretti che poteva portare via la salma e metterla a disposizione dei familiari. Aggiunsi, ovviamente, che a quel cadavere doveva essere fatta l’autopsia. Il Capitano mi disse testualmente: “Ma lascia stare!”. (vds verbale del 15.07.2002).

Stefania, figlia del M.llo Bruni, escussa a verbale raccontava:

E’ successo la scorsa estate. Mi trovavo in compagnia dei miei genitori a San Feliciano, alla “Festa del Giacchio”. Mentre mi trovavo nei pressi della pista da ballo notavo il Colonnello Di Carlo che si avvicinava a noi. Salutò prima mio padre e poi noi e, dopo alcuni convenevoli, il Colonnello cominciò a parlare del caso Narducci. Mi ricordo benissimo che disse a mio padre le testuali parole: “Se ti dovessero chiamare per essere sentito sul caso Narducci, tu dì che non ti ricordi nulla giustificandoti che è passato tanto tempo!”. Aggiunse che quella era una famiglia potente e che non conveniva mettersi contro. Ricordo anche che il Colonnello fece riferimento ad un magistrato, senza peraltro dire il nome, che aveva fatto carriera dopo essersi occupato di questo caso e che qualcun altro, forse perché sentitosi danneggiato da questo fatto,aveva sollevato questo “polverone”e che era comunque meglio tenersi fuori.
Tale episodio veniva puntualmente confermato dall’altra figlia del M.llo Bruni, Loredana (vds verbali del 07.04.2003).

In sede di confronto con Lorenzo Bruni, Francesco Di Carlo negava di aver personalmente coordinato i primi interventi dopo il ritrovamento del cadavere.

Sebastiano Pilurzi: all’epoca autista ed addetto ai carbolubrificanti presso il Comando Gruppo Carabinieri di Perugia.

Dichiarava:

Qualche volta accadeva che sostituivo l’autista del Sig. Comandante del Gruppo, quando questi era assente per licenza o altri motivi…Sì accompagnai l’allora Capitano Francesco Di Carlo che era il Comandante della Compagnia Carabinieri di Perugia…Se non ricordo male partimmo da Perugia alle ore 09,30 circa e l’allora Capitano mi disse di dirigermi in Questura, dove arrivammo poco dopo. Ivi giunti notammo il Questore che ci attendeva fuori dalla Questura…Appena saliti in macchina il Questore Trio ed il Capitano, chiesi loro dove dovessi dirigermi e il Capitano mi disse che dovevamo andare a Sant’Arcangelo senza aggiungere altro (vds verbale del 09.12.2005);

Alberto Buini: aveva la stessa donna di servizio dei Narducci, Emma Magara.

Dichiarava:

La signora Emma era solita invitarmi a pranzo la domenica a casa sua. Per caso capitò ed uno di questi pranzi anche l’allora Capitano Di Carlo con la famiglia oltre ai componenti della mia famiglia e a due o tre figli della signora Emma. Nell’occasione quest’ultima e suo marito Luigi confermarono che il Narducci era stato ritrovato con una fascia di pesi nella vita ed imbottito di barbiturici (vds verbale del 14.05.2002).

In altra occasione riferiva:

Confermo quanto ho già dichiarato, in particolare che il corpo del Narducci fu ritrovato con pesi al collo e comunque con pesi addosso. Questo era quello che tutta la gente del paese di S. Feliciano diceva. Dicevano anche che, nella barca trovata la sera fra l’8 ed il 9 ottobre 1985, c’erano parecchie scatole di barbiturici vuote e qualche indumento. Ciò mi venne riferito da Emma Magara nel corso di una cena nella sua casa di S. Feliciano, il giorno del ritrovamento del cadavere o poco dopo, alla presenza dell’allora Capitano dei CC Di Carlo, del marito di Emma e dei suoi figli. Ricordo che il particolare dei pesi al corpo (collo e fianchi) e addirittura di una catena, era dato per pacifico da tutti i presenti, anche dal Capitano Di Carlo che non smentì mai il particolare. Dato che io avevo sentito in paese che il Narducci poteva essere coinvolto nella vicenda del cosiddetto “Mostro di Firenze”, perché così dicevano tutti in paese, ne parlai anch’io a cena. Alle mie parole che ripeto oggi con sicurezza, il Capitano Di Carlo non disse nulla, mentre Emma e gli altri sembravano increduli di fronte alle chiacchiere che circolavano…Aggiungo che, recentemente, il Colonnello Di Carlo, che è mio amico, mi telefonò poco dopo la mia audizione chiedendomi che cosa avessi riferito al magistrato ed io gli risposi che avevo detto solo la verità. Il Colonnello Di Carlo mi è sembrato un po’ contrariato. Ricordo che, durante un’altra cena a casa mia, che si tenne o il lunedì o il martedì successivi al ritrovamento, avvenne un fatto molto strano e cioè che, mentre prima tutti dicevamo le cose che ho riferito e tutti parlavano del ritrovamento del cadavere del Narducci come l’ho descritto, avvenne qualcosa, non so se una telefonata o una comunicazione improvvisa, che impose il silenzio sulla vicenda e a quella cena non parlò più nessuno del caso Narducci. Alla cena parteciparono quasi tutti coloro che avevano organizzato le operazioni di recupero del cadavere (vds verbale del 04.12.2002).

Messo a confronto con Buini Alberto, il Colonnello Di Carlo confermava di aver partecipato alle cene come riferito dal Buini, ma di non ricordarne i particolari.

Particolarmente significative apparivano le dichiarazioni rese da Massimo Spagnoli e da Sogaro Giancarla.

Massimo Spagnoli: è il fratello di Gianni Spagnoli.

Dichiarava:

In quei giorni io invitai ripetutamente mio fratello a chiedere l’autopsia del cadavere di Francesco, ma Gianni mi diceva sempre che era stata Francesca a non volerla, poi venni a sapere che vi era stato un “inguacchio” massonico. Preciso che, molti anni prima, dopo pressanti richieste di Augusto De Megni, entrai in una loggia massonica del grande Oriente, ma dopo aver partecipato ad una riunione, mi ritirai perché avevo capito che non faceva per me. Tra l’altro, in quella riunione, mi ritrovai con dei massoni di basso grado e non ebbi la minima conoscenza dei gradi superiori. Si trattava della loggia “Guardabassi”. Anche Ugo Narducci era un massone ma non credo di grado elevato. A quanto mi disse mia moglie e dei massoni di mia conoscenza, Ugo Narducci si rivolse ad Augusto De Megni, in occasione della morte del figlio, e questi interessò il Questore Trio, che sapevo essere massone, perché me lo avevano detto dei massoni di mia conoscenza. Trio, a quanto mi dissero, fece in modo di far chiudere rapidamente gli accertamenti, senza che venisse fatta l’autopsia. A quanto ne so, la magistratura fu tenuta all’oscuro della realtà della situazione e il Questore Trio si adoperò perché l’Autorità Giudiziaria considerasse la morte un fatto accidentale o un suicidio. Queste notizie me le ha riferite mia moglie ed erano date per scontate in città, in un certo ambiente sociale e specialmente in quello medico. Anche mio fratello mi disse queste cose. Si trattava di fatti che venivano dati per notori e non si parlava che di questo. Nonostante i miei reiterati tentativi, mio fratello non si decise a sporgere denuncia. Il motivo per cui Ugo non voleva l’autopsia del figlio veniva spiegato allora con la necessità di coprire il coinvolgimento di Francesco in una storia terribile, avvenuta a Firenze dove si diceva fosse stato scoperto, in un appartamento tenuto in locazione da Francesco, un repertorio di boccette con resti di cadavere. Poi tutto questo fu collegato ai delitti del cosiddetto “Mostro di Firenze” (vds verbale del 03.11.2003);

Giancarla Sogara: moglie di Spagnoli Massimo.

Dichiarava:

So che Ugo e Pierluca si opposero all’autopsia e convinsero Francesca della sua inutilità. Mio marito, invece, prese Gianni da una parte e lo esortò a richiedere l’autopsia, ma Gianni rispose che Francesca non lo voleva. Dopo i fatti, a causa della grande amicizia che mio marito aveva con Augusto De Megni, venni a sapere che si erano interessati a mettere “tutto a posto”, così si espressero, circa la morte di Francesco, Augusto De Megni, Ugo Narducci ed un Questore che poi venimmo a sapere essere il Dr. Francesco Trio, appartenente anche lui alla massoneria. Credo che ci fosse di mezzo anche qualche magistrato, perché erano tutti massoni. A quell’epoca De Megni era una potenza a tutti i livelli, sia finanziari che politici (vds verbale 03.11.2003).

In chiusura del presente capitolo si reputa opportuno fare un breve cenno alle condizioni oggettive di paura in cui si sono trovati alcuni testimoni chiamati a riferire sulla vicenda Narducci e in particolare sul rinvenimento del “doppio cadavere”.

Per tutti, si richiamano le affermazioni di Giancarlo Zoppitelli, il quale in un primo tempo negava quanto confidenzialmente aveva riferito alla Dott.ssa Paola Barone (NdR: si tratta di Francesca Paola Barone) ( “….lo Zoppitelli sopraggiunse trafelato dando la notizia del rinvenimento del cadavere del Narducci con le mani legate dietro la schiena e con i segni delle percosse, saranno state le 17,00 circa. La mia sensazione fu che la cosa fosse avvenuta poco tempo prima”- vds verbale del 05.12.2003) e poi, dopo il confronto con quest’ultima, ammetteva di aver raccontato i dettagli del cadavere del Narducci, trovato con le mani legate, il naso rotto ed il volto tumefatto, ma si limitava a sostenere di averlo appreso da persone presenti sul pontile.

Particolarmente significativi però appaiono i timori manifestati dallo Zoppitelli che, in uno stato di evidente difficoltà, affermava:

“Mi rammarico di essere andato sul posto e di aver dovuto dire queste cose perché non voglio entrare in queste storie.:.” (vds verbale di confronto con la Prof.ssa Barone del 12.03.2002);

“Io ho paura di questa storia. Confermo di aver sentito dire che il cadavere del Narducci presentava le mani legate dietro la schiena, aveva il naso rotto e il volto tumefatto…Non mi rovini io non voglio finire nei guai. Si da atto che lo Zoppitelli si mette la mano nel capo e dice: “Io m’ammazzo, ho paura!”….Ho paura dei personaggi fiorentini …..non ricordo chi mi avesse avvertito. Ricordo solo che ad un certo punto si avvicinò Nazzareno Moretti che mi chiese di portargli un telo di nylon per coprire il cadavere. Io gli ho portato il telo e sono rimasto un po’ sul cortile.” (vds verbale del 2005).

3)-IL COLLEGAMENTO TRA IL “CASO” NARDUCCI E I DELITTI DEL C.D. “MOSTRO DI FIRENZE”.

Non si vogliono qui richiamare le voci pubbliche che subito dopo la morte del Narducci (alcune in verità ancor prima) avevano collegato la persona del medico ai delitti fiorentini, ma si vuole rimanere ancorati ai fatti oggettivi, emersi dallo sviluppo di tale segmento investigativo.

3.1)- ATTIVITA’ DELLA SQUADRA MOBILE DI PERUGIA.

Innanzitutto, un preciso collegamento lo si rinviene negli atti della squadra mobile della Questura di Perugia, e questo subito dopo la scoperta dell’ultimo duplice omicidio del “Mostro” (10.9.1985); quindi ancor prima della scomparsa e della morte del Narducci.
Infatti, dai brogliacci del lavoro del personale risultava che l’Ispettore Luigi Napoleoni ed altri dipendenti avevano svolto attività in orario di “straordinario” in relazione al “Mostro di Firenze” anche a Foligno (centro presso cui il Narducci, all’epoca, aveva uno studio privato).

In particolare:

– 10.09.1985: ore 18/20 e 22/04 Indagini relative al Mostro di Firenze – Servizi di p.g. e sicurezza pubblica a Foligno;
– 11.09.1985: ore 17/20 Indagini relative al Mostro di Firenze;
– 27.09.1985: ore 21/03 Servizio di ordine e sicurezza pubblica- prevenzione dei reati nella città di Foligno;
– 01.10.1985: ore 14/20 e 21/01 Indagini omicidio Gabriella Caltabellotta – servizio per segnalata ingente refurtiva;
– 07.10.1985: ore 17/20 Rientro suppletivo per ricerche abitazioni Poli Paolo;
– 08.10.1985: ore 21/24 Indagini p.g. in Foligno per duplice omicidio Firenze;
– 09.10.1985: ore 06/08 e 16/20 Ricerche persona scomparsa – Dott. Narducci Francesco – Lago Trasimeno;
– 10.10.1985: ore 16/19 Ricerche sul Lago Trasimeno con le relative isole per la scomparsa di cui sopra; ore 19/22 servizio presunto pagamento riscatto Guglielmi Isabella Lante Della Rovere;
– 12.10.1985: ore 16/19 e 20/24 Ricerche sul Lago Trasimeno – permanenza per servizio sequestro Guglielmi;
– 13.10.1985: idem (con una freccia corrispondente che riporta al giorno precedente alla voce ricerche sul Lago Trasimeno);
– 15.10.1985: ore 21/01 Servizio riservato città di Foligno;
– 18.10.1985: ore 21/02 Servizio riservato a Foligno e sorpresa bisca clandestina di Via dei Filosofi;
– da altro elenco risulta: 01.10.1985 Sardara Giampiero ore 14/20 Indagini relative all’omicidio Caltabellotta Gabriella;
– 09.10.1985 Tardioli Antonio ore 21/24 Indagini relative agli omicidi di Firenze.

E’ certo quindi che, subito dopo la notizia delle vittime del “Mostro” agli Scopeti, e anche nei giorni successivi, la Squadra Mobile di Perugia svolse indagini sul “Mostro di Firenze” e servizi di p.g. a Foligno. E che in realtà proprio il Narducci fosse l’oggetto dell’indagine veniva comprovato dal fatto che l’8 ottobre (giorno della scomparsa) l’Isp. Napoleoni si era recato nuovamente a Foligno per indagini relative al “duplice omicidio Firenze”.

Inoltre, dalla citata documentazione acquisita emergeva un’indagine della Squadra Mobile di Perugia anche in relazione all’omicidio di Gabriella Caltabellotta, avvenuto in Firenze tra il 29.2.ed il 1.3.1984.
Un omicidio, questo, di una giovane, appena diciottenne, uccisa a coltellate e il cui cadavere veniva fatto trovare in un campo, in una zona periferica della città.

Inoltre veniva rinvenuto un foglio con la data del 30.9.1985 sul quale risultava annotato:

“Mostro di Firenze – ufficio postale – bar Jolly – via stretta – città – seduto fuori – colore di capelli castani – occhi – occhiali scuri – vestito maglietta bianca, blue jeans – un po’ di barba – niente orologi – bracciale”;

Sull’altro lato del foglio c’era scritto:

“Timberland – solo al bar – soldi dove sono – in tasca della maglietta”;

Di traverso ancora:

“ Jach’o (forse la discoteca) – no macchina – sembra che…lettere sigillate pubblico presente – raccomandata – occhiali nel cassetto dell’ufficio pistola – soldi in barca (o banca)…ore 14 – lui no…finire il suo lavoro…21.00 oggi pizzeria in taxi (FI)…telo marrone in una casa disabitata lontana dall’…taxi colore azzurro”.

L’Isp. Napoleoni, assunto più volte a sommarie informazioni, non spiegava i motivi delle sue indagini sul Mostro di Firenze a Foligno, ma confermava di aver svolto accertamenti nella città di Firenze sulla base di notizie acquisite da un certo Edoardo Frivola il quale, dopo l’ultimo delitto del mostro aveva raccontato in Questura i particolari di un sogno che aveva avuto. Il Frivola però, sentito a sua volta a verbale, negava di aver fatto cenno alla città di Foligno, come pure di aver conosciuto o fatto cenno a Francesco Francesco Narducci (vds verbali del 21.09.2002).

Dichiarava anche di avere ricevuto notizie da certo Picchi Franco sulle violenze subite da una ragazza fiorentina da certo Paolo Poli:

In data 30 settembre 1985, io ho redatto una relazione di servizio inerente una notizia confidenziale ricevuta circa un episodio di violenza carnale avvenuto ai danni di una ragazza a Firenze. Tale notizia mi è stata confidata, sicuramente da PICCHI Franco, un conoscente per motivi di lavoro. Immediatamente io e il Mazzi abbiamo fatto degli accertamenti che scaturivano in una seconda relazione di servizio da me redatta in data 8 ottobre 1985, nella quale io riferivo di aver individuato a Firenze in via dei Serragli nr. 6 l’appartamento di POLI Paolo, presunto responsabile della violenza ai danni della ragazza. E’ chiaro che per effettuare tale individuazione io mi sono recato a Firenze, ma non ricordo quando precisamente, sicuramente nel periodo compreso fra il 30 settembre e l’ 8 di ottobre 1985. E’ probabile che l’appartamento di via dei Serragli nr. 6 ritenevamo potesse essere collegato alla vicenda del Mostro di Firenze, cosa mai accertata. Era una supposizione.

Il dato rigorosamente certo rimaneva pertanto il fatto che l’Isp. Napoleoni (non si sa perché, né come si sia in realtà determinato a ciò) ancor prima della scomparsa del Narducci avesse collegato questi alle indagini sul Mostro di Firenze e che si era recato a Firenze per rinvenire i reperti umani asportati alle vittime custoditi in un appartamento in uso al Narducci, del quale ricordava soltanto l’esistenza di un corridoio lungo e che con tutta probabilità si trovava nella zona vecchia di Firenze. Come pure, sempre secondo le supposizioni dell’Ispettore, l’omicidio della giovane Caltabellotta sarebbe stato riconducibile alla vicenda del Mostro di Firenze.

3.2)- INTERCETTAZIONI TELEFONICHE.

Il particolare dei “feticci” e della casa di Francesco Narducci in territorio fiorentino veniva comprovato dal contenuto di una conversazione telefonica, intercorsa tra Gianni Spagnoli e la figlia Luisa, registrata nell’ambito delle attività tecniche delegate da codesta Procura. In tale conversazione Gianni Spagnoli raccontava alla figlia che la notizia pubblicata sul rinvenimento del “feticci” in un’abitazione in uso al Narducci, nei pressi di Firenze, corrispondeva a verità, precisando che non si trattava di un appartamento, ma di una “vecchia casa colonica”, e che la proprietaria, non ricevendo più il canone da Francesco, aveva chiamato il Prof. Ugo che vi si era precipitato insieme a Pier Luca e ad elementi della Polizia, trovando in un frigorifero le parti asportate delle vittime (vds R.I.T. 425/03, brano nr. 656 del 23.01.2004 h. 20,35).
Su tale conversazione occorre soffermarsi e trascriverla in dettaglio proprio per l’importanza che ad essa si annette.
Gianni Spagnoli commenta un articolo di stampa pubblicato in data 23.01.2004 sul Corriere della Sera nel quale si diceva che sarebbero stati trovati i feticci nella casa di Narducci. La figlia, Luisa, si mostra incredula, ma il padre ribatte confermando con assoluta certezza che invece la notizia è vera e spiega con dettagli alcune circostanze (mancate notizie di Narducci da parte dei proprietari dell’appartamento fiorentino, interessamento dei familiari del Narducci, intervento della Polizia, rinvenimento dei feticci) che trovano puntuale conferma in particolare nelle dichiarazioni rese da Mario Bellucci, Agostinucci Gianangela e Giuseppe Mazzini.

G: Gianni – L: Luisa

G: E invece è vero!
L: Madonna mia! Ma dice che hanno detto e… che… che insomma, quella cosa che teneva i feticci in frigorifero…
G: Eh, eh…
L: Madonna! Io pensavo che non poteva esse, invece sarà vera!
G: Ah… eh! Ma è vera, sì!
L: Madonna!
G: Eh… eh…e poi loro sapevano!
L: Ma… che (inc.)..
G: Il babbo e fi… e il fratello!
L: E l’hanno appurato questo che lo sa… loro lo sapevano?
G: Eh, sì! Perché… le… le… la proprietaria del… dell’appartame… della… no dell’appartamento…
L: Eh!
G: Lui c’aveva una vecchia casa…
L: Eh!
G: colonica…
L: Eh!
G: (colpo di tosse)
L: Eh!
G: La proprietaria.. un gli pagava più l’affitto.. lui.. e allora…
L: Eh!
G: ha telefonato a Ugo…
L: Ah!!
G: Per farsi pagà.. e quindi… Ugo….
L: Ma…
G: Sapeva che a Firenze… ecco!
L: Madonna mia che casino!
G: Non so se sapeva dei feticci.. ma…
L: Mado…
G: In ogni modo… dice che la Procura.. qui..
L: Eh…
G: Ha già.. e… ha già messo sotto inchiesta… due stretti parenti..
L: Eh..
G: E chi sono gli stretti parenti?
L: Eh…
G: Uno il babbo e uno…
L: Eh certo!
G: E’ il fratello!
L: Certo! Sotto inchiesta non vuol dì che l’hanno arrestati.. no?
G: Arrestati no… ma me sa che … se insistono..
L: Uhm!
G: Adesso incominciano ad arrestà.. capito?
L: Meno male! Mah.. e ho incontrato la Daniela.. quella del piano di sopra.. no!?
G: Ah… ah..
L: Gli ho detto… oh!.. ma … siamo a bo… dico… siamo agli sgoccioli? Dice agli sgoccioli no… ma siamo a buon punto.. m’ha de..
G: Maga..
L: Meno male! Ha detto… ma l’ha visto? E come un l’ho visto!
G: Eh.. esatto!
L: Eh.. madonna mia… uhm..
G: E insomma sono…
L: Eh…
G: Son messi male.. eh!
L: Eh… son messi male sì!… Ma eh…
G: Anche perché ‘sto delinquente … ‘ste cose le faceva prima di sposare lui… va bene?
L: Eh certo!
G: Siccome … corrisponde con gli anni… hai capito?
L: Eh.. eh.. ecco!
G: Negli anni… eh.. lui ha avuto…
L: Eh…
G: Eh.. quando.. naturalmente.. sono andati… tutte ‘ste cose l’han sapute quando lui è morto!
L: Eh.. già.. eh!
G: Ma.. quando sono andati da.. dentro lì.. ‘st’appa.. no… appartamento, era una vecchia casa!
L: Eh.. eh..
G: Han trovato ‘sta roba!
L: Madonna mia!
G: Capito?.. Eh.. e tu capisci che..
L: Mamma mia! Ah… loro tu dici?.. i genitori?.. eh ..
G: No.. i .. no i genitori… i padroni di ‘sto locale..
L: I padroni.. eh già!
G: Protestavano che un gne.. gne.. gne..
L: Un gne pagava!
G: Gne pagavano l’affitto!
L: Madonna!
G: Allora han telefonato (accenno di risata).. eccetera!.. solamente che loro.. che la Polizia quando ha saputo st’affare è andata giù..
L: Eh… già..
G: E’ andata a vede’.. no?
L: Eh.. già.. certo..
G: E’ andata a vede’.. ha aperto il frigorifero e son venuti fori tutta ‘sta roba!
L: Madonna!
G: Capito?
L: Che cose tremende! Proprio un po.. dico.. la Francesca l’ha scampata.. dico.. perché con un matto così… dico… un lo so eh..
G: Porca maia.. (inc.)..
L: Ma mica.. mah.. ma.. dico.. è da morì eh… al pensiero!
G: No! Ma a me… e c’è sempre il problema …. e loro.. no… è ‘sti due!
L: Eh..
G: Eh.. dei.. dei Narducci.. no?
L: Eh.. eh!
G: Eh.. i Narducci devon… devono andà alla gogna! Mica perché..
L: Eh..
G: Perché naturalmente… ma e.. può capità d’averci un figlio matto!
L: Certo!
G: Ma.. (colpo di tosse).. ma loro.. sapevan tutto…
L: Eh.. certo! E han dato addosso alla Francesca!
G: E.. e… han dato addosso (inc.).. questa..
L: Questa è una cosa che un se po’ perdonà!
G: No!
L: No.. assolutamente proprio! La trovo… ter.. tremenda… tremenda! Eh.. ma mo la scontan tutta.. eh…!

Lo Spagnoli alla contestazione da parte del PM del contenuto della telefonata, cercava di appellarsi alle notizie di stampa, ma, come veniva accertato dai CC del R.O.N.O. CC. Perugia, nessun articolo aveva fatto riferimento alla “vecchia casa colonica” di cui lui aveva parlato.

All’indagato veniva fatta ascoltare la telefonata contestata.

Domanda: Come ha fatto a fornire i riferimenti della telefonata appena ascoltata a proposito della vecchia casa colonica dove, dopo la morte del Narducci sarebbero stati rinvenuti i feticci provenienti dai duplici omicidi di coppie già attributi al Mostro di Firenze?
Risposta: Sì. L’ho letto sui giornali ed in particolare sul Corriere della Sera che ha riferito dettagliatamente le dichiarazioni di una persona informata sui fatti sentita nel procedimento sulla morte di mio genero. Successivamente, mi pare che il Messaggero, un mese dopo, a quanto ricordo, ha ripreso l’articolo de Il Corriere della Sera.

Si dava lettura integrale a Gianni Spagnoli dell’articolo de Il Corriere della Sera del 22.01.2004 dal titolo “Mandanti del mostro, 4 indagati a Firenze” pubblicato a pag. 15 e dell’articolo de Il Corriere della Sera del 23.01.2004 dal titolo “Mostro, resti delle vittime a casa di un mandante” pubblicato a pag. 17.

Domanda: Come mai in nessuno dei punti degli articoli ed in particolare di quello del 23.01.2004, articoli che precedono la sua conversazione telefonica fra lei e sua figlia non c’è il benché minimo riferimento alla vecchia casa colonica che lei ha precisato dicendo non appartamento ma vecchia casa colonica nella telefonata del 23.01.2004 sera?
Risposta: Io ho indicato la vecchia casa colonica senza dare ad essa un particolare significato e mutuando il concetto di casa di campagna o di villa, perché, a mio avviso, l’articolo de “Il Corriere della Sera” del 23 gennaio 2004, laddove si parla dell’immobile che sarebbe stato in uso al Narducci, può intendersi come riferentesi anche ad una vecchia casa colonica.
(vds verbale del 20.09.2004)

3.3)- TESTIMONIANZE.

Altri riferimenti alla casa fiorentina si rilevavano da:

Mario Bellucci: amico delle famiglie Narducci e Spagnoli.

Dichiarava:

ricordo anche che un giorno, non ricordo se prima o dopo la morte di Francesco, un contadino che era venuto da me a portare dei prodotti e con il quale stavo parlando del più e del meno, fece delle allusioni ad un medico perugino che avrebbe avuto un’abitazione vicino ai luoghi dei duplici omicidi attribuiti al cosiddetto Mostro di Firenze. Ho anche saputo che la proprietaria di questo appartamento sarebbe andata a denunciare alla locale caserma dei Carabinieri la scomparsa dell’inquilino che non pagava più il canone. Questa confidenza mi fu fatta da una persona autorevole quanto a serietà di cui non ricordo il nome a cui a sua volta la cosa sarebbe stata riferita da persone di origine fiorentina e più precisamente nella zona in cui avvennero parte dei duplici omicidi in particolare la zona di Scandicci- San Casciano.
Il Bellucci a domanda, riferiva che il nome del contadino era Giuliana Ciofini in Parrini di Perugia precisando:
mi sembra di ricordare che la signora abbia fatto riferimento a un carabiniere o agente di Polizia che faceva servizio nella zona dei delitti e che, penso, le avesse raccontato l’episodio della proprietaria dell’appartamento a cui ho fatto riferimento nel verbale (vds verbale del 13.12.2005).

La Ciofini, assunta a verbale del P.M., non confermava la circostanza, ma per i dettagli forniti dal Bellucci e per gli altri elementi acquisiti, si ritiene ragionevolmente che il riferimento della casa sia veritiero.

Il riferimento alla casa in territorio fiorentino emergeva anche dalle dichiarazioni di Alessandro Beccarini (verbale 13.04.2005), di Ferri Benito (verbale del 29.06.2005), di Mignini Giuliana (verbale del 18.01.2006: fa riferimento alla medesima circostanza riferita sul punto da Bellucci, e cioè al fatto che i proprietari dell’appartamento, insospettitisi della mancanza di notizie del Narducci, avessero allertato la Polizia), di Enzo Ticchioni (verbale del 15.10.2004: faceva riferimento a confidenze ricevute dal poliziotto Petri circa i resti umani femminili che sarebbero stati trovati nel frigorifero dell’abitazione di Firenze), di Ginocchietti Gabriella (verbale del 10.11.2003), di Gianangela Agostinucci (verbale 16.06.2006: fa riferimento a notizie apprese dal Dott.  De Feo), di Giuseppe Mazzini (verbale del 27.06.2006: conferma le dichiarazioni di Agostinucci su De Feo, il quale però le negava – verbale 10.07.2006).

In particolare poi si richiamano le dichiarazioni di Anna Maria Mazzari, alias Suor Elisabetta, assistente spirituale di Pacciani durante la detenzione di questi e anche successivamente, la quale raccontava:

Un giorno mi chiamò una signora di Perugia che voleva parlarmi di cose importanti. Io ricordo che questa signora si chiamava Maridea ma non mi disse il suo cognome…La signora Maridea di Perugia mi venne a trovare uno o due giorni dopo e comunque poco dopo la telefonata che mi aveva fatto. Era alta come me mt. 1,55 – 1,60, era magrolina ed aveva un accento non fiorentino né romano…avrà avuto circa 45 anni ma forse anche qualcosa di più…La signora mi disse che a Perugia circolava con grande diffusione e insistenza la voce secondo cui il Mostro di Firenze fosse un medico di Perugia, marito di una Spagnoli, morto al Lago Trasimeno nella barca di suo padre anch’egli medico ed in particolare chirurgo…Aggiunse che questo medico, di cui non mi pare che mi fece il nome, ma mi disse soltanto che era sposato con una Spagnoli, aveva una casa, anzi una villa in affitto a San Piero a Ponte o a Ponti che si trova nei pressi di Firenze. Questa villa in affitto il medico ce l’aveva all’insaputa della moglie e dei propri familiari. Maridea mi disse poi che il proprietario della casa, poiché l’affittuario non pagava più il canone, avvisò la moglie del medico a quanto mi sembra, tanto che indirizzò una lettera al medico di Perugia sollecitando il pagamento dei canoni arretrati che, a quanto ricordo, ammontavano a circa due o tre mesi. Il medico però era morto e allora i familiari, insospettiti da questa situazione, si portarono alla casa di San Piero a Ponti e trovarono all’interno della stessa qualcosa di compromettente (vds verbale del 11.04.2006);

Sante Beccaccioli: all’epoca era l’autista del Presidente del Tribunale di Perugia.

Dichiarava:

Sono stato per 32 anni in servizio come autista e scorta al Presidente del tribunale di Perugia e ricordo che una mattina, alcuni mesi dopo la morte del Prof. Francesco Narducci, l’allora Presidente Raffaele Zampa, deceduto nel 1997, mi confidò che la sera prima, durante una cena, una persona che aveva incontrato quella sera, ma che comunque conosceva, gli riferì che in quei giorni, o poco prima, i proprietari di un appartamento di Firenze di cui era locatario il Prof. Francesco Narducci, insospettiti dal mancato pagamento del canone di locazione, avevano cercato di mettersi in contatto con il professore non sapendo che era morto, e poi erano riusciti a contattare i familiari di quest’ultimo che gli avevano procurato un mazzo di chiavi dell’appartamento. Sempre secondo il racconto dell’amico del Dott. Zampa, la porta era stata aperta e, una volta entrati nell’appartamento avevano rinvenuto all’interno di un frigorifero dei reperti genitali femminili verosimilmente provenienti dai delitti del cosiddetto “Mostro di Firenze” e comunque corrispondenti alle parti notoriamente asportate in questi delitti cioè area del pube e seni. Io rimasi colpito da questo racconto anche perché il Presidente dava la massima credibilità alla persona che glielo aveva riferito. Chiesi al Presidente se non fosse il caso di avvertire gli organi di Polizia, ma lui stringendosi le spalle disse: “Ormai è morto Sante, che vuol fare?” (vds verbale del 30.05.2002);

Pietro Fioravanti : è stato il legale storico di Pietro Pacciani.

Dichiarava:

Ricordo che il più occasioni il Pacciani mi disse che il Narducci era morto con una pietra legata al collo. Da come ho potuto capire, il Pacciani deve aver conosciuto il Narducci a Vicchio dove, molto probabilmente, il medico perugino aveva una villa in affitto o addirittura una porzione di villa del Corsini che aveva a Vicchio anche una riserva di caccia. Il Pacciani mi diceva che il Narducci ed il Corsini erano “in combutta” e che il Narducci aveva un’abitazione a Vicchio, ma che le riunioni le facevano a San Casciano vicino alla chiesa sconsacrata e ad un’azienda vinicola. Pacciani, quando parlava di combutta, alludeva anche all’esercizio della caccia che evidentemente accomunava sia il Corsini che il Narducci. Non si trattava solo di caccia ma anche di altre attività del tipo di quelle che ho descritto nel verbale redatto in data 05.12.2002 e cioè di attività di tipo magico sessuale violento, tipo quelle che caratterizzavano i rapporti sessuali tra il Pacciani, il Vanni, la Sperduto e la Ghiribelli, ma anche persone di alto livello cui allude una lettera anonima che il Pacciani mi consegnò poco prima del processo e che detti in originale al Dirigente della S.A.M. Dr. Perugini su invito del Dr. Canessa che informai immediatamente (vds verbale del 22.01.2003);

Mariella Bigerna Torcoli: amica di Francesco Narducci.

Dichiarava:

Ricordo che Francesco mi disse che si recava a Firenze per non meglio precisati studi. Ricordo anche che Francesco avesse un appartamento a Firenze, anche se non sono sicura al cento per cento (vds verbale del 18.01.2006).

In altra occasione dichiarava:

Posso anche dire che Francesco è cambiato tanto da quando ha iniziato a frequentare Firenze. E’ divenuto ancora più sfuggente di prima. Fu Francesco che mi disse che aveva iniziato a frequentare Firenze, credo per motivi di studio. Francesco mi disse questa cosa, grosso modo nel periodo compreso tra il 1973 ed il 1975. Mi ricordo che, spesso, quando lui mi invitava ad uscire ed io gli proponevo un giorno della settimana, generalmente il giovedì, il sabato o la domenica, lui mi diceva che non poteva perché era a Firenze (vds verbale del 19.06.2006);

SERVADIO Ornella : amica di famiglia dei Narducci e degli Spagnoli.

Dichiarava:

La mamma di Francesca (Spagnoli), la signora Bona Franchini mi ha detto e ripetuto che Francesco aveva una sorta di appartamentino a Firenze. Come ho detto la cosa mi è stata ripetuta e mi è stata riferita dopo la morte di Francesco (vds verbale del 31.05.2002);

Secondo Sisani : all’epoca pescatore.

Dichiarava di non sapere nulla riguardo il ritrovamento del cadavere del Narducci.
Domanda: E’ vero che lei raccontò a Daniela Cortona di aver portato il corpo del Narducci presso la villa insieme ad altri due pescatori? E’ vero che lei con altri due pescatori vestì il cadavere fuori dalla villa e che il cadavere del medico, al momento del ritrovamento aveva la mani ed i piedi legati, tanto che per avvicinarlo all’imbarcazione, lo presero proprio alla corda con cui era legato? E’ vero che lei aggiunse che la corda aveva lasciato un grosso segno ai polsi?
Risposta: Nego tutti questi particolari. Non ho mai visto il cadavere del Prof. Narducci, tanto meno legato con le mani ed i piedi, né ho mai riferito questo particolare a chicchessia.
Domanda: Queste cose le sono state riferite da qualcun altro?
Risposta: No, non me lo ricordo. Qualcuno me lo ha detto, ma non ricordo chi.
(vds verbale del 28.11.2003 ore 11,05).

Lo stesso giorno, dopo poche ore, rettificava:

Poiché non mi sono reso conto di quello che ho detto precedentemente, poiché ero confuso e spaventato dalla convocazione, intendo riferire spontaneamente, i fatti come sono accaduti. Io ho sentito che il cadavere del Narducci fu rinvenuto alcuni giorni prima della domenica 13 ottobre 1985 nelle acque del lago Trasimeno verso l’Isola Polvere con le mani e piedi legati Il corpo fu poi portato nella darsena di Peppino Trovati e da lì nella villa dei Narducci a San Feliciano dove è stato lasciato. Queste cose mi sono state dette da un gruppo di amici che frequentavano con me il Circolo dei Pescatori. Queste cose sono state dette da: Giancarlo Zoppitelli, MOMI Rino, COCCHINI Rino, BELARDONI Nando, Enzo Ticchioni, BIGI Vincenzo, SANTOCCHIA Mario, RASPATI Leonardo. Vi era poi il Prof. BERSIANI Fabio di Perugia. In testa a tutti nel dire queste cose vi era ZOPPITELLI Giuliano. Vi era poi anche un certo ZOPPITELLI di San Savino, ragioniere della Cooperativa che partecipò al recupero dell’altro cadavere a Sant’Arcangelo. Queste persone dicevano che il Narducci era coinvolto nelle vicende dei delitti del Mostro di Firenze. Dicevano che era tutta una tresca e sicuramente avranno detto che era stato il gruppo di Firenze a farlo fuori. Qualcuno diceva anche che Pacciani era pilotato da loro. A quel tempo il nome PACCIANI non mi diceva niente, ma quando, qualche anno dopo, la televisione ed i giornali cominciarono a parlare di PACCIANI mi ricordai di questo nome. Ricordo anche che parlavano di un farmacista della zona di San Casciano. Questi discorsi sono stati fatti nel corso di un certo lasso di tempo dalla morte del Narducci fino ai processi di Firenze e il riferimento al farmacista l’ho sentito fare più di una volta…A quanto mi è stato detto da questi pescatori il cadavere del Narducci era stato rinvenuto verso le 09 – 10 della mattina nel tratto di lago a poca distanza dall’Isola Polvere in direzione Panicarola – Castiglione del Lago (vds verbale del 28.11.2003 ore 14,25);

BUZZONI Giuliana : infermiera all’Ospedale di Foligno, nel reparto di ostetricia e ginecologia, all’epoca lavorava con il Prof. Ugo Narducci.

Dichiarava:

Ricordo che dopo la morte di Francesco Narducci a Foligno in viale Roma era stato appeso un cartello, forse di più, non ricordo con precisione che cose c’era scritto, ma nella sostanza indicava Francesco Narducci come il MOSTRO DI FIRENZE (vds verbale del 08.11.2005);

3.4)- ATTI EX SAM

Le nuove acquisizioni investigative inducevano a revisionare in maniera ancor più approfondita tutti gli incartamenti, relativi alla vicenda “Mostro di Firenze” e, in particolare, gli atti dell’ex SAM.

Presso il vecchio archivio della Squadra Anti Mostro venivano così rinvenute carte che facevano chiaro riferimento al gastroenterologo perugino, tra le quali:

– un foglio, manoscritto, sul quale risultava annotato:

“ Dr. Francesco Narducci – medico- Perugia Via Savonarola 31 – ed era proprietario di un appartamento a Firenze ove avrebbero trovato dei bisturi e feticci – si sarebbero suicidato buttandosi nel Trasimeno”;

rinvenuto all’interno del faldone “1985 – 85090809 PSB – AUTO TRANSITATE GG 8 – 9 85 PROVINCIA DI FIRENZE”.

L’appunto non recava né la firma del suo compilatore, né la data in cui era stato compilato;

– un elenco di nominativi di persone segnalate da anonimi e non dopo il duplice omicidio del 29.07.1984 (quello di Vicchio), tra i quali risultava quello di:

“Narducci Francesco, nato a Perugia il 4.10.1949, già ivi residente, deceduto per annegamento sul Lago Trasimeno nel 1985”;
– un cartellino d’archivio, sul quale c’era scritto, oltre ai dati personali del Narducci:
“Deceduto misteriosamente presso il Lago Trasimeno – accertamenti svolti dai CC di Firenze perché sospettato quale Mostro – il decesso risale all’ottobre 1985?”;
– appunto manoscritto avente il seguente contenuto:
“C – 18273 NARDUCCI FRANCESCO TXNF 1949 NULLAARMERIA MODERINI NULLA”
Rinvenuto all’interno del registro ULTIMI NOMINATIVI E PG POSTI DI BLOCCO ED ALTRO, nel settore M7.
– appunto manoscritto avente il seguente contenuto:
“Mostri (cancellato a penna) – Narducci Francesco – famiglia di Spagnoli “confezioni” – “senza figli” – Stazione CC Magione territorio di competenza – sembra che si sia interessato personalmente il P. G. le di Perugia”.

Al fine di acquisire notizie utili, venivano assunte informazioni dai dipendenti dell’ex SAM.

Da tale attività emergeva che, nel periodo intercorso fra l’ultimo delitto attribuito al cosiddetto Mostro di Firenze (9 settembre 1985) e la fine degli anni ottanta, era circolato presso la SAM di Firenze il nome di Francesco Narducci, come implicato in tali delitti.

Più in particolare si apprendeva quanto segue:

Dall’Isp. Giorgio Zizzi:

“Un giorno, mentre ero in servizio, venne in ufficio l’Agente ACQUARO che era appena rientrato dal suo paese che credo sia dalle parti di Perugia o del Lago Trasimeno, raccontando che dalle sue parti circolavano delle voci che indicavano un medico annegato nel lago, quale Mostro di Firenze. Per quello che sono i miei ricordi credo che poi ACQUARO ne parlò prima con l’Ispettore SIRICO, poi con tutti i colleghi e poi con il Dirigente Dr. FEDERICO o il funzionario Dr. Perugini. Non sono a conoscenza se poi siano state fatte successive indagini”.
Il Sostituto Commissario SIRICO Salvatore e l’Ispettore Capo ACQUARO Alessandro, sentiti rispettivamente in data 29.9.2004 ed in data 04.10.2004, negavano entrambi di aver sentito il nome di Francesco Narducci.

Il SIRICO, però, dopo che l’ufficio gli aveva mostrato l’appunto, manoscritto, delle auto transitate “GG 8 9 85” sopracitato, dichiarava:

E’ la mia calligrafia. In questo appunto ho scritto: “DOTTOR NARDUCCI FRANCESCO MEDICO PERUGIA VIA SAVONAROLA 31 ED ERA PROPRIETARIO DI UN APPARTAMENTO A FIRENZE OVE AVREBBERO TROVATO DEI BISTURI E…” ed altra parola di cui non mi sento di interpretare nel suo giusto significato, che voi mi dite sembra essere “FETICCI”, poi continuando “SI SAREBBE SUICIDATO BUTTANDOSI NEL TRASIMENO”.

Ancora aggiungeva:

anche questa è la mia scrittura
indicava il fascicolo, ingiallito dal tempo su cui era scritto
“Indagini peritali”
e sul quale si trovava l’appunto sul Narducci
tenuto conto del tempo trascorso, circa vent’anni, non sono in grado di fornire spiegazioni in proposito e, poiché mi sto sentendo a disagio, intendo rappresentare che all’epoca di cui stiamo parlando, l’Ufficio SAM trattava una miriade di nominativi e tolti i nominativi più famosi e cioè il PACCIANI e quelli collegati al delitto del ’68, degli altri io non ho ricordo.

Da VENTURINI Alessandro:

Io ho sentito parlare di Francesco NARDUCCI, ma non ricordo il periodo. Preciso che per quello che ricordo, dopo gli accertamenti fatti, non ricordo però da chi furono eseguiti, qualcuno dei responsabili decise che su quel nominativo non era il caso di proseguire le indagini perché in occasione di uno dei duplici delitti del “Mostro” questo non era in Italia, ma in USA. Tengo a precisare che di questo fatto ne ho sentito parlare, ma non riesco a collocare il momento esatto, potrebbe essere a suo tempo come potrebbe essere una cosa più recente;

Da LAMPERI Riccardo:

si apprendeva che aveva sentito fare il nome di Francesco Narducci alla Procura della Repubblica di Firenze dai P.M. Dr. Pierluigi Vigna e Dr. Paolo Canessa, in quanto costoro avevano valutato se effettuare indagini o meno sul Narducci in merito ai delitti compiuti dal cd “Mostro di Firenze” e che ricordava che, probabilmente i due P.M., unitamente all’allora Responsabile della SAM Dr. Ruggero Perugini ed all’allora Maggiore del ROS dei Carabinieri SCRICCIA avevano escluso un coinvolgimento del NARDUCCI nella vicenda del “Mostro di Firenze”, poiché da accertamenti il NARDUCCI si trovava a partecipare ad un congresso negli Stati Uniti d’America all’epoca di uno dei delitti.
Molti degli ex appartenenti alla ex SAM riferivano, in merito alla nota della Questura di Firenze, Cat. M/1/87 Sq. Mob. SAM avente oggetto: “Duplici omicidi commessi in danno di coppiette dal c.d. Mostro di Firenze” – Trasmissione elenco nominativo di persone segnalate, con allegata una lista di 254 nominativi, con al numero 181 il nominativo di NARDUCCI Francesco, che si trattava di una lista di nominativi scaturita da dati inseriti presso la Banca Dati della SAM. Banca Dati che, però, non era più possibile consultare poiché durante la dirigenza della Squadra Mobile da parte del Dr. Gilberto CALDEROZZI l’hard disk del pc della SAM era stato formattato con conseguente perdita e distruzione di tutta la memoria storica dell’inchiesta.

(NdR: due pensieri: Il primo è che non è concepibile che un funzionario decida di formattare gli hard disk di un’inchiesta ancora in corso. Da chi è partito quest’ordine e perché nessuno si è opposto. Il secondo pensiero è che è incredibile che un possibile indiziato sia stato escluso a priori solo perché non presente in Italia durante uno degli omicidi. Questo mette in evidenza che considerare solo la possibilità del serial killer unico sia stata una grossa limitazione nello svolgimento delle indagini dell’epoca, considerando anche che potevano esserci più indicazioni per supporre la presenza di più persone.)

4)- LUOGHI FIORENTINI E PERSONE FREQUENTATI DA FRANCESCO NARDUCCI.

La presenza del Narducci sul territorio fiorentino risultava da molteplici testimonianze di persone, che raccontavano precise circostanze fattuali e temporali.

Tali emergenze, che costituiscono un altro punto fermo dell’inchiesta, consentono di poter affermare con assoluta certezza l’avvenuta frequentazione da parte del Narducci di alcuni dei luoghi dei delitti e, in particolare, della zona di San Casciano.

Non si ritiene opportuno soffermarsi sulle numerose testimonianze di persone che hanno riferito di “voci” perugine, secondo le quali Francesco Narducci aveva frequentato il territorio fiorentino, vuoi per motivi di studio, vuoi per motivi professionali. Tra tutte queste, però, si richiamano le dichiarazioni rese da Augusto De Megni sul punto:

“Aggiungo che era notorio che Francesco Narducci frequentasse Firenze dove non so se avesse un ambulatorio o se avesse un incarico di insegnamento” (verbale del 18.06.2002).

Per una ricostruzione puntuale di tale segmento di indagine si citano testimonianze, quasi tutte dirette, di molteplici persone che contribuiscono in tal modo a far sì che la frequentazione del Narducci nel territorio fiorentino rappresenti un altro punto fermo dell’inchiesta.

4.1)- TESTIMONIANZE.

Gabriella Ghiribelli: amica di Lotti e teste al processo Vanni Mario + 3.

Dichiarava, in particolare:

L’ho conosciuto (Francesco Narducci) tramite Giancarlo (Lotti), che gli parlò bene di me. Ricordo che erano i primi anni 80 ed io ero giovane e lui aveva grosso modo la mia età. Una volta siamo andati anche a mangiare fuori in compagnia della Nicoletti e del Lotti, andammo al ristorante “La Lampara” a Firenze, in via Nazionale…ricordo di aver fatto sesso con il dottore di Perugia; questo aveva un comportamento ambiguo, nel senso che si eccitava e solo quando me lo appoggiava al sedere si eccitava. In quest’ultimo caso arrivava subito all’orgasmo. In tutto ho fatto sesso con lui 4 o 5 volte (vds verbale del 11.07.2003);

Filippa Nicoletti: amica di Gabriella Ghiribelli e di Giancarlo Lotti, teste al processo Vanni Mario + 3.

Dichiarava di aver frequentato diversi locali siti in Via Nazionale, tra i quali La Lampara. La stessa sfogliando l’album fotografico nr. 18/2003 riconosceva Francesco Narducci, precisando:
Si trattava di una persona molto fine, elegante, che parlava bene e che non era di Firenze, ma non so dirvi di dove fosse. Lo vidi una sola volta alla trattoria di Via Nazionale, credo proprio La Lampara, e mangiai insieme a lui. Non ricordo se con noi ci fosse qualcun altro. E’ stata una cosa passeggera, mi sembra che si fosse presentato come un fotografo e che girava film. Non ricordo se ho avuto rapporti sessuali con lui, ma se c’era la Gabriella (Ghiribelli) non mi ci faceva arrivare. Era sicuramente il 1981, forse nel periodo in cui Salvatore (Indovino, il suo convivente) si trovava in galera…Non ricordo come si sia presentato, ma ho un vago ricordo del nome Giuseppe o Pino ed ho anche un vago ricordo che mi abbia detto che era calabrese, ma dal parlare non mi sembrava affatto. Si esprimeva in perfetto italiano e senza la cadenza tipica calabrese, che io conosco. Sicuramente non mi disse la verità. Ho però un ricordo che mi abbia detto che abitava a Prato e che faceva dei film e delle foto, tanto che mi propose se volessi andare con lui a farmi fare delle foto. Io rifiutai. Dopo di quella volta non lo rividi più. (vds verbale del 11.09.2003);

Marzia Pellecchia: teste diretta dei “festini a luci rosse”.

Dichiarava:

la persona raffigurata nella foto contraddistinta con il nr. 8 (Francesco Narducci) non sono sicura di averla vista, ma mi sembra che si tratta di quel medico di Prato che una volta era venuto nella casa di San Casciano in compagnia di una ragazza italiana, alta circa mt. 1,62, capelli lunghi lisci castano chiaro, snella, dall’apparente età di 24-25 anni, ben vestita. Di questo medico di Prato posso dire che era più giovane di tutti gli altri uomini, ed era una persona distinta, tanto che si distingueva dagli altri clienti della casa di San Casciano, vestiva elegantemente; in particolare ricordo che portava una catena d’oro a maglie larghe con una medaglia; lo stesso parlava correttamente l’italiano senza inflessione particolare; aveva un fisico sportivo, alto circa mt. 1,80, capelli chiari… La persona nella foto contraddistinta con il nr. 11 mi sembra che sia il precitato medico di Prato che credo di aver visto nella casa di San Casciano per due volte, una in compagnia della ragazza sopraccitata e l’altra da solo (vds verbale del 4.02.2003);

In altra circostanza riferiva:

…E’ passato molto tempo e sto facendo un ulteriore sforzo di memoria. I miei ricordi sono questi: la casa colonica si trovava fuori dal paese di San Casciano e si raggiungeva dopo aver percorso per circa 5 minuti con la macchina una strada serrata sempre in pianura che portava proprio a quella casa. Era a pieno terreno e poteva avere tre o quattro stanze… erano sicuramente persone con problematiche sotto l’aspetto sessuale. Qualcuno era anche più violento, nel senso che nella presa era piuttosto manesco ed irruente, come ad esempio il medico di Prato di cui ho parlato e con cui in una occasione ebbi un rapporto sessuale… aveva dei problemi.. fu molto lento nel rapporto.. Mi sembrò un po’ “partito di testa” sessualmente parlando… aveva al collo una collana a maglie grosse o qualcosa di simile… il medico parlava più degli altri dei viaggi che aveva fatto. Lo sentii parlare della Thailandia ed anche di sport acquatici (vds verbale del 7.02.2003);

E ancora:

I fatti che ho descritto relativi alla mia frequentazione di uomini e di feste con la Giovagnoli risalgono al periodo 1980/1981…Ricordo che era un’estate in cui c’erano i campionati mondiali di calcio…mi parve che fosse una casa usata solo per fare cose simili e che nessuno vi abitasse stabilmente… prima dei rapporti sessuali si mangiava e si bevevo… Venivano praticati oltre che i normali rapporti uomo/donna anche i rapporti promiscui tipo un uomo con due donne… Una cosa che mi colpì molto in quel contesto è che in due occasioni c’era un uomo completamente diverso…Molto più giovane degli altri, di bell’aspetto, distinto, aveva modi molto fini… disse che veniva da Prato e che lavorava a Prato… Più o meno aveva la mia età, nei primi anni ottanta, avevo trent’anni. Lui al massimo poteva avere qualche anno di più ma pochi di più. Era sicuramente un bell’uomo, curato… era alto circa mt. 1,80 o poco meno. Aveva un fisico slanciato.. I capelli mi sembravano abbastanza chiari… Non portava occhiali… mi sembrò un tipo atletico… parlò di sci d’acqua.. parlava di barche.. non aveva inflessione dialettale fiorentina.. Io le confermo che il medico che ho visto nella casa di campagna corrisponde molto alla persona che si vede in barca a destra con gli slip azzurri (Francesco Narducci) nella prima foto mostratami (vds verbale del 13.02.2003);

Lorenzo Nesi: amico di Vanni Mario e teste al processo Vanni + 3.

Dichiarava:

La persona raffigurata nella foto nr. 2 (Francesco Narducci) l’ho vista sicuramente a San Casciano. Ne sono proprio certo e credo che abitasse in una villa o comunque una casa colonica grossa, che si trovava sulla strada che da San Casciano va verso Cerbaia, e precisamente vicino alla chiesa di San Martino. Non era sicuramente una persona del posto e mi sembra di ricordare di averla vista insieme al farmacista di San Casciano che si chiama Francesco Calamandrei…l’ho visto più volte…ricordo di averli visti (Narducci e Parker) in piazza ed anche al bar, quello stesso bar frequentato anche da me e da Vanni…il fisico (del Narducci) era ben curato e credo che facesse anche dello sport, tipo tennis. Dico questo perché ricordo di averlo visto con una borsa con le racchette da tennis (vds verbale del 04.04.2003);

CIULLI Pietro: cognato di Francesco Calamandrei.

Dichiarava, dopo aver visionato la foto di Francesco Narducci:

Questo l’ho già visto insieme al Calamandrei, ma io non ci ho mai parlato. Può darsi l’abbia visto o al matrimonio di mia sorella con Francesco o in farmacia dal Calamandrei. Era una persona molto distinta, sembrava quasi un conte (vds verbale del 23.07.2003);

Fernando Pucci: amico di Lotti Giancarlo e teste al processo Vanni Mario + 3.

Al Pucci veniva mostrato l’album fotografico nr. 4/2003 contenente 52 foto. Iniziava a sfogliarlo e dichiarava:
La persona della foto nr. 1 (Francesco Narducci) l’ho vista al bar. Era alto e magro, un tipo “finocchino”. L’ho visto che parlava con Giancarlo (Lotti), ma Giancarlo non mi ha mai spiegato nulla. La persona della foto nr. 3 (Francesco Narducci) è la stessa della precedente, ma io ho un ricordo più preciso di questa persona guardando la foto nr. 1.
Domanda: Perché ha chiamato la persona della foto nr. 1 e nr. 3 “finocchino”?
Risposta: L’ho chiamato così perché come parlava e per come gesticolava era un finocchio, effeminato e si vedeva anche dalla faccia. (vds verbale del 03.06.2003).

In altra occasione riferiva:

La persona raffigurata nella foto nr. 1 (Parker Robert) non so come si chiama di nome, ma posso affermare di averla vista a San Casciano. In una circostanza ricordo che si trovava a mangiare alla trattoria “Da Silvano” al Ponte Rotto. Era in compagnia di Giancarlo Lotti ed in compagnia anche di altre persone che vedo raffigurate nell’album. Mi riferisco alla persona raffigurata nella foto nr. 4 (Achille Sertoli) ed a quella della foto nr. 5 (Gian Eugenio Jacchia). C’era anche la persona della foto nr. 11 (Francesco Narducci) da me riconosciuta la volta scorsa e che chiamavano “il finocchino” e la persona della foto nr. 13 (Francesco Calamandrei). Queste persone le ho viste insieme anche in altri posti a San Casciano, tra cui al Bar Centrale sotto all’orologio. Non so dire se in tutte le occasioni fossero tutti insieme perché capitava che li vedessi separatamente, ma comunque si tratta di persone che si frequentavano. Al ristorante al Ponte Rotto ricordo che ad uno stesso tavolo c’erano Lotti, la persona della foto nr. 1 (Parker Robert), della foto nr. 4 (Sertoli Achille), quella della foto nr. 5 (Jacchia Gian Eugenio) e quella della foto nr. 11 (Narducci Francesco). Quest’ultimo però non c’era spesso, mentre gli altri li vedevo di frequente (vds verbale del 04.08.2003);

Mario Vanni: condannato in concorso con altri per gli ultimi 4 duplici omicidi.

Al Vanni, escusso a verbale in data 17.01.2005, veniva esibita dal PM fiorentino una foto del Narducci con un post it che ne copriva il nome. Il Vanni lo identificava come un conoscente dell’ex farmacista di San Casciano, Francesco Calamandrei. Lo stesso precisava che il giovane possedeva una auto grossa, a quattro sportelli, di colore verde, sulla quale riferiva di esserci salito insieme al Pacciani e al Calamandrei per andare a prostitute a Firenze. Riferiva poi che il giovane gli aveva raccontato di avere una casa a Mercatale e che erano stati tutti insieme a mangiare spesso al Ponte Rotto all’epoca in cui il locale era gestito da Matteucci.

A proposito dell’auto:

“grossa, a quattro sportelli, di colore verde”, indicata dal Vanni, si fa presente che un’auto analoga, anche nel colore, era in possesso del Narducci nel suo ultimo periodo di vita, così come emergeva dagli accertamenti svolti.
Si trattava di una Citroen CX Pallas di colore per l’appunto verde.

Infatti:

Emanuele Rinanopoli : medico, amico di Ugo Narducci, precedente proprietario dell’auto Citroen.

Dichiarava:

Ho conosciuto dapprima il Prof. Ugo Narducci e successivamente, dopo la laurea, il figlio Francesco a cui ho venduto anche la mia CX Citroen diesel di colore verdolino, forse metallizzato, poco tempo prima della sua scomparsa (07.05.2002);

Jorge Alves Emilia Maria: all’epoca amante di Jommi Giuseppe e della quale si è già fatto cenno in premessa.

Dichiarava:

Ricordo che lo Jommi mi disse che aveva un amico medico che si chiamava Francesco ed era gastroenterologo di Perugia ed aggiunse che era bravissimo e bellissimo…Ricordo che aggiunse che questo Francesco era stato allievo del Professor Morelli, che mi disse era di Bologna….mi disse anche che insegnava ad Harvard….Questo discorso con lo Jommi, su questo amico di Perugia lo colloco tra gli anni 81/82. Aggiungo ancora che all’epoca lo Jommi era spesso a Perugia, ma non ne conosco esattamente il motivo. Ricordo che una volta lo vidi con un’auto targata Perugia, era di colore verdolino chiaro, tipo monovolume e lo vidi dalla finestra. Gli chiesi come l’avesse avuto e lui mi rispose che era di un amico (vds verbale del 13.02.2002);

Davide Vecchi: giornalista.

Si era recato a San Casciano dopo aver appreso da un’impiegata dell’ospedale, ove aveva esercitato la professione di medico il Narducci, che questi si era assentato proprio nei giorni in cui si erano consumati i duplici delitti attribuiti al Mostro di Firenze.

Dichiarava:

Sono arrivato dal barbiere di San Casciano…Io gli chiesi come avessero vissuto la vicenda del cosiddetto “Mostro di Firenze” e lui mi parlò di un pittore e di un geometra che aveva, quest’ultimo, dovuto lasciare San Casciano, perché accusato di essere coinvolto nella vicenda. Mi consigliò comunque di dirigermi verso la zona industriale si San Casciano perché gli sembrava che questo geometra si fosse colà trasferito. Non sono riuscito a trovare la zona industriale e sono arrivato al paese successivo, seguendo l’indicazione “Cerbaia”, dopo circa otto, nove km da dove ero partito… ho parlato con alcune persone, tra cui un signore che era nei campi vicino a degli ulivi con tre cani legati alla catena fuori di casa. Quest’ultimo mi ha detto che conosceva il geometra che viveva vicino ad una chiesa chiamata “San….” E non ricordo il resto; ha aggiunto che in questa casa, situata più avanti a sinistra, abitano ora degli extracomunitari in affitto…A mia specifica domanda, infine, mi ha detto che conosceva il Calamandrei e, mostratagli la foto del Narducci…lo ha immediatamente riconosciuto con certezza, sgranando anche gli occhi dalla sorpresa….in quanto la persona effigiata nella foto, a suo dire, frequentava quella zona. Di fronte alla mia incredulità per confermare la propria tesi, il signore , un uomo tra i 60/65 anni, alto circa 1,75 cm., con capelli radi e grigi e con una tuta da lavoro tipo officina, ha esclamato: “ME LO RICORDO…ECCOME!…. PERCHE’ NON MI CREDE?… MI RICORDO ANCHE LA MACCHINA CHE AVEVA….ERA UNA CITROEN PALLAS CHIARA…SUL VERDE…LA USAVA ANCHE IL CALAMANDREI PERCHE’ L’HO VISTO GUIDARLA!”. Tengo a precisare che, delle circostanza relative all’utilizzo dell’autovettura, da parte sia del Narducci che del Calamandrei, nonché della frequentazione della zona da parte del Narducci, mi ha parlato spontaneamente questo signore, quasi arrabbiato per la mia incredulità…Per quello che ho capito, quella macchina era di “casa” ed era sicuramente utilizzata anche da altre persone che non mi sono state indicate…Circa l’auto, ho chiesto conferma a Capuccelli Daniela, la quale mi ha detto che effettivamente Francesco Narducci, all’epoca, aveva una Citroen Pallas CX di colore celeste (vds verbale del 03.03.2004);

Francesca Spagnoli: confermava il possesso dell’auto Citroen da parte del marito (vds verbale del 8.2.2002).

La donna in altra occasione dichiarava:

“Ricordo che Francesco espresse la volontà di acquistare una pistola ma non mi spiegò il motivo, forse mi disse che gli serviva per difesa personale. Non riesco a datare, adeguatamente, questa sua volontà ed il successivo acquisto. Ricordo però perfettamente di aver detto a Francesco che non volevo che l’arma fosse detenuta in casa. Mi viene anche in mente che forse la pistola l’avesse acquistata assieme al fratello Pierluca che a sua volta fece altrettanto. Ricordo, così come detto alla Polizia, di aver visto Francesco che conservava una pistola nel vano portaoggetti della Citroen CX di colore verdolino – acqua metallizzato. Ho l’assoluto ricordo di una arma di colore nero, certamente non a tamburo, perché so differenziarla da una pistola semi-automatica in quanto ho il mio babbo che ha sempre avuto pistole e fucili che poi i soli fucili mi sono stati dati in detenzione da mio padre dopo la morte di Francesco e che, successivamente, quando sono andata a Milano, ho riconsegnato a mio padre. Inoltre, sono assolutamente sicura che sia il padre di Francesco, Ugo Narducci, che il fratello Pierluca, fossero a conoscenza del fatto che Francesco avesse acquistato e detenesse una pistola”.
(vds verbale del 17.5.2003).

Tornando alle testimonianze relative alle frequentazioni del Narducci si richiamano ancora le seguenti:

MALVETU Jacqueline il 19 aprile 2004 si presentava spontaneamente in questi uffici per riferire un episodio accadutole nel 1985, alla fine del mese di agosto, quando si trovava in vacanza in Italia, a Firenze. Raccontava che durante la permanenza a Firenze aveva piazzato la propria tenda, tipo igloo, nel campeggio sito nei pressi del piazzale Michelangelo rimanendovi solo pochi giorni poiché disturbata dalla musica ad alto volume di una discoteca che si trovava lì nei pressi. Quindi aveva deciso di lasciare il campeggio e di cercare un nuovo posto, tranquillo, individuato in un boschetto di cipressi che si trova dietro all’Abbazia di San Miniato a Monte, dove aveva installato la tenda. Erano gli ultimi giorni del mese di agosto del 1985. La prima o la seconda notte aveva conosciuto uno studente egiziano col quale aveva trascorso la notte in tenda, e mentre si trovava da sola e stava dormendo fuori dalla tenda a causa del forte caldo si era accorta della presenza di due uomini che si erano avvicinati e che le stavano sfilando i pantaloni che aveva sotto la testa a mo’ di cuscino. I due, però, vestiti con jeans e robusti, accortisi di essere stati notati, si erano allontanati di corsa. La notte successiva, intorno all’una, si trovava a dormire nel sacco a pelo sempre fuori dalla tenda e, svegliatasi all’improvviso, si era accorta della presenza di qualcuno che le aveva aperto la cerniera del sacco a pelo. Si era impaurita tanto che si era messa a gridare a squarciagola, mentre notava l’ombra di una persona che si stava allontanando camminando rasente la muro di cinta dell’Abbazia. Quindi, strisciando per terra aveva raggiunto la strada che costeggia il boschetto sperando che passasse qualche macchina per chiedere aiuto. Di lì a poco in effetti era transitata un’auto con due persone a bordo, che aveva fermato spiegando ai due uomini quello che le era accaduto. Gli sconosciuti le avevano detto di stare attenta perché c’erano dei criminali che uccidevano le coppiette, poi l’avevano ospitata per la notte nella casa di uno di loro fuori Firenze.
La mattina successiva , uscendo sul davanti della casa, aveva notato sopraggiungere un’altra persona, di 30/35 anni, molto distinta, ben vestita con un completo scuro, che le era stato presentato come uno dell’università e che, forse, le aveva lasciato il proprio recapito telefonico.
Nella stessa mattinata era stata riaccompagnata a Firenze da dove con l’autostop si era recata a Siena. Uno dei due uomini, prima di salutarla le aveva lasciato i propri recapiti telefonici e cioè 055.213437 e 055.216412 e lei molto tempo dopo aveva provato a chiamare quei due numeri di telefono, ma ad uno dei due le aveva risposto una donna che, scocciata, le aveva riferito che lì non abitava più nessuno. Poi non aveva più telefonato. Da accertamenti esperiti presso la società dei telefoni Telecom, i numeri forniti dalla Malvetu risultano intestati come segue: 055.213437 a Tosi Lionello, nato a Pescara il 20.06.1927, residente a Firenze, via Ghibellina nr. 109, presso cui è attestata l’utenza fin dal 19.09.1978; 055.216412 a Amministrazione Provinciale di Firenze, via Cavour nr. 1, Firenze dal mese di settembre 1996 ( la Telecom ha comunicato che non è stato possibile risalire all’intestatario nell’anno 1985, ma si è riservata di svolgere ulteriori approfondimenti ancora non comunicati).
Il giorno 23 novembre 2004 la Malvetu telefonava in questi uffici dichiarando che, durante la trasmissione televisiva “Chi l’ha visto?”, andata in onda la sera precedente, aveva visto un servizio sul “Mostro di Firenze” e sulla morte di “Narducci” e aveva riconosciuto nell’immagine del Narducci un uomo che aveva conosciuto a Firenze alla fine del mese di agosto del 1985. Successivamente in sede di individuazione fotografica, riconosceva il giovane nella foto del Narducci Francesco, mentre nella foto del Calamandrei Francesco le sembrava di riconoscere uno dei due soccorritori che poi le avevano presentato quel giovane.
Nella circostanza, consegnava alcune cartoline postali in originale del 1985. Una di queste del 01.09.1985 con timbro postale del 03.09.1985 – Siena ferrovia, aveva il seguente contenuto (tradotto dal francese):
lunedì 1° settembre 1985 – Gerard, dopo molte peripezie eccomi a Siena. Hanno provato per due notti consecutive a derubarmi o di aggredirmi. 1. 06,00 del mattino fuori della mia tenda nel mio zaino due uomini due giganti in lewis cercavano di prendere il mio pantalone che era sotto il mio guanciale; io mi sono svegliata e sono andati via. 2. Mezzanotte – i di notte nello stesso posto a Firenze dormivo bene mentre poco prima ero in dormiveglia per timore. Questi ha aperto lo zaino dove all’interno tenevo il mio denaro e il mio passaporto. Fortunatamente dall’altra parte dell’apertura (della tenda) ho urlato di paura fino a non avere più voce, poi 10 minuti dopo ero letteralmente terrorizzata ho fermato un’autovettura sulla strada per chiedere aiuto. Ho saputo che c’è e gira nella regione un criminale che aggredisce le coppie e uccide le donne. La gente della macchina mi ha fatto passare la notte da loro e mi ha dato da mangiare. La notte scorsa ho dormito presso un ingegnere il quale mi ha invitato al ristorante – a lato della sua casa si trova un posto formidabile per la mia tenda, a 20 km da Siena. Ti scrivo una lettera per i dettagli!! Baci Jacqueline.

Il contenuto della cartolina di cui sopra, scritta all’epoca, forniva un preciso riscontro al racconto della donna fatto nel 2004.
Il giorno 18 dicembre 2004, poi, la Malvetu inviava a quest’ufficio un fax con la foto del Procuratore di Firenze, dottor Ubaldo Nannucci, dalla stessa riconosciuto con certezza (“senza ombra di dubbio”), vedendo quella foto su un servizio pubblicato il 4 dicembre 2004 sul “Corriere della Sera”, per il poliziotto che nel 1985 aveva registrato le sue dichiarazioni sull’episodio che le era accaduto.

Da accertamenti agli atti della ex SAM nulla veniva trovato a nome della Malvetu;

● MARTELLINI Tamara : ex moglie di Gianni Beccatelli, amico di Francesco Calamandrei.
La donna confermava la presenza del Narducci all’interno della farmacia del Calamandrei, da lei visto proprio intento a parlare con il farmacista e con altre persone. La Martellini, anch’essa colpita dal Narducci, ricorda di averlo visto con gli stivali da equitazione e con indosso una maglietta “Lacoste” blue, appoggiato al bancone della farmacia, intento a parlare con il Calamandrei (vds verbale del 17.09.2003);
● GIUNTINI Francesco : dal 1978 al 1983 ha lavorato in qualità di ragazzo di bottega presso la Farmacia di Francesco Calamandrei.
Dichiarava:
La persona raffigurata nella foto nr. 1(Francesco Narducci) mi ricorda qualcuno, forse un medico che ho visto in farmacia, la faccia mi dice qualcosa ma non saprei essere più preciso ( vds verbale del 01.10.2003);
● GIOVANNONI Roberto : nell’agosto del 1977 era Carabiniere in servizio presso la Stazione di Firenze “Legnaia” ed alloggiava nella caserma di S. Casciano perché addetto al servizio di protezione e vigilanza della principessa Beatrice d’Olanda e della sua famiglia, che aveva una villa a San Casciano Val di Pesa.
Dichiarava:
PROCURA DELLA REPUBBLICA DI PERUGIA
Gruppo Investigativo Dr. Michele Giuttari
(ex G.I.De.S.)
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Notai quella mattina, proprio tra la farmacia e la caserma, un’Alfetta bianca, nuova fiammante, targata Perugia. Mi pare proprio che fosse un’Alfetta. Non so perché, ma quell’autoveicolo mi incuriosì e mi preoccupò, forse per un sesto senso che avevo. Quella macchina attirò la mia attenzione. Ero armato di tutto punto e in divisa e mi avvicinai circospetto a quell’autovettura che aveva sul parabrezza, sul lato destro, quello del passeggero, lo stemma dei medici. A quattro – cinque metri dalla macchina, dietro di me, c’era Mario Vanni, il postino….Sarà rimasto vicino a quella macchina per un quarto d’ora o venti minuti, da solo e non escludo che vi sia rimasto anche dopo che io mi allontanai dal posto. Era come se dovesse custodire quella macchina. Io chiesi a Vanni: “Ha visto deve è andato chi ha parcheggiato questa macchina?”. Lui mi ha risposto frettolosamente e come in imbarazzo: “E’ in farmacia”. Mi sono recato allora nella farmacia, dove vi erano un paio di clienti….Chiesi con voce perentoria di chi fosse la macchina parcheggiata nella piazza e, dal retrobottega della farmacia, che si trovava dietro al bancone e di fronte all’ingresso, si precipitarono fuori, quasi cadendo per terra dalla fretta, il farmacista Calamandrei e il medico Francesco Narducci, che riconobbi perfettamente….Come ho detto il Narducci ed il Calamandrei sono usciti trafelati dal retrobottega, quando hanno sentito che c’era un militare dell’Arma che, in tono perentorio, chiedeva di chi fosse quella macchina targata PG. Ricordo che il Narducci si piazzò di fronte a me, dietro il bancone, mentre il Calamandrei si mise alla destra del Narducci…Io chiesi al Narducci di chi fosse quella macchina targata PG e il Narducci mi rispose che era la sua. Gli chiesi poi chi fosse e da dove venisse e lui mi rispose di chiamarsi Narducci e che veniva da Foligno…Gli chiesi anche perché si trovasse a San Casciano e mi disse che era rappresentante di una ditta farmaceutica di Prato. Continuando la conversazione, io osservai che da Foligno a Firenze ce n’era di strada. A questa osservazione, il Narducci replicò, sempre affabilmente, dicendo che lui, comunque, aveva una casa all’uscita di Firenze Certosa.
La vedova di Francesco Narducci, Francesca Spagnoli, nelle sue dichiarazioni confermava il possesso di un’auto di colore bianco da parte del marito:
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“Quando io conobbi Francesco aveva una BMW bianca, che vendette poco prima del matrimonio per acquistare una Ritmo metallizzata. Un anno prima circa della morte Francesco vendette la Ritmo e si prese una CX verde metallizzata” (vds verbale del 05.03.2002);
La Spagnoli aveva conosciuto Francesco Narducci nell’anno 1977 in occasione della festa per il diciottesimo compleanno della sorella Beatrice, mentre il loro matrimonio si era celebrato il 20 giugno 1981.
Vittoria e Federica Spagnoli, figlie di Massimo, sentite a verbale rispettivamente in data 12.07.2006 ed in data 01.02.2006 affermavano che Francesco Narducci aveva posseduto effettivamente una BMW bianca acquistata nel periodo 76/77 e rivenduta negli anni 80/81.
Giuseppe Trovati, titolare della darsena di San Feliciano, dichiarava:
Mi pare che avesse un’autovettura del tipo BMW di colore bianco, con cui è venuto qualche volta alla darsena” (vds verbale del 24.10.2001);
Il carabiniere PELLEGRINI Paolo confermava che il Narducci possedeva una BMW bianca targata Perugia.
Infatti lo stesso, escusso a verbale, riferiva una precisa circostanza da lui vissuta durante il servizio allorché una BMW bianca non si era fermata all’alt:
L’episodio si è verificato in un arco di tempo compreso tra il 2 giugno 1980 ed il 21 giugno 1981…La BMW bianca proveniva da Ferro di Cavallo, a velocità, credo, sostenuta perché ci deve esser stato qualcosa che ci ha indotto ad intimare l’alt. A bordo dell’auto vi erano tre o quattro persone, perché, quando ci passò davanti, accennò a fermarsi, rallentando e poi ripartì a gran velocità dopo aver
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spento le luci. Appena l’auto ha forzato il blocco, il brigadiere Mariucci ha sparato un colpo in aria con il mitra M 12. L’auto però si è diretta a gran velocità in una strada che finisce in mezzo ai palazzi di Torcoli. Noi inseguimmo l’auto ma quest’ultima è riuscita a dileguarsi….Non so se abbia segnalato il fatto, ma è possibile che, per evitare al Mariucci di dare spiegazioni sull’uso dell’arma, Il Ciufoli non abbia segnalato alcunché. Il giorno dopo o il giorno ancora successivo mi trovavo ancora con Ciufoli in pattuglia ed eravamo fermi all’incrocio della strada che proviene dalla Piaggia Colombata e si immette credo in Via Fiorenzo di Lorenzo …Notammo subito una BMW che proveniva dalla direzione dell’allora sede della Questura ed era diretta verso la galleria Kennedy. Io non so perché ma la riconobbi subito per quella che aveva forzato il posto di blocco…La inseguimmo subito e la bloccammo sullo spazio a destra prima della galleria… chiesi i documenti al conducente che rimase seduto al posto di guida ed era solo…lo identificai in Narducci Francesco il quale, a mia richiesta, mi disse: “sono un medico e sto andando in ospedale”…La foto che vidi sul documento me la ricordo ancora e mi pare di averla vista si giornali negli articoli che hanno parlato a lungo di questo medico (vds verbale del 01.04.2006).
4.2)- INTERCETTAZIONI TELEFONICHE.
Una conversazione (R.I.T. 197/02 brano nr. 423 del 14.07.2002 ore 09,58) intercorsa tra Gianni Spagnoli ed il fratello Massimo conferma le “torbide frequentazioni” del Narducci:
Gianni: E ti dirò che una volta…siccome lui mi aveva detto una cosa…mi aveva detto che c’era un amico…che era anche amico di coso…di Francesco che ha detto “per forza Francesco frequentava della gente… io stavo…studiavo con lui…frequentava della gente che era impossibile…a bassissimo livello che pertanto io….non dico che c’ho rotto l’amicizia …ma ho preso le distanze”…l’ha detto Augusto a me!
Massimo: Eh…
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Gianni: Io gli ho detto “chi è?”…e lui me lo ha detto che adesso tra l’altro non me arcordo manco come se chiama…però…
Massimo: E’ quello…il vicequestore…no?
Gianni: No…no…era uno…un professore che adesso è un professore di ortopedia a Bologna…
Tra le persone frequentate da Narducci un approfondimento a parte meritano l’ex farmacista di San Casciano Francesco Calamandrei, la cui frequentazione da parte del Narducci è risultata un dato certo e l’avvocato Giuseppe Jommi.
4.3)- CALAMANDREI Francesco : La Procura di Firenze, dopo la chiusura delle indagini preliminari sul suo conto, in data 4.12.2006, chiedeva il suo rinvio a giudizio quale mandante degli ultimi quattro duplici omicidi.
Il 20 marzo 2007 il GUP del Tribunale di Firenze disponeva il rinvio a giudizio.
Nell’ambito dell’inchiesta fiorentina sui possibili mandanti il Calamandrei, in data 7 luglio 1998, in esecuzione d apposito decreto emesso il precedente giorno 3 dal P.M. di Firenze, veniva perquisito nella sua abitazione di San Casciano V. di P..
L’atto aveva trovato origine, in particolare, nelle informazioni assunte dal genitore di una delle vittime, il signor Renzo Rontini, che aveva riferito di essere stato contattato nel 1990, più volte, dalla moglie del Calamandrei, che gli aveva manifestato i suoi sospetti sul marito circa un suo coinvolgimento nei delitti in questione. Inoltre, si era ritenuto utile accertare l’esistenza di eventuali rapporti tra il Calamandrei e il condannato Vanni Mario, atteso che il primo era stato
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destinatario di una lettera, inviata dal carcere di Pisa dal detenuto e che lasciava supporre una relazione tra i due, che meritava un opportuno approfondimento.
Nella lettera il Vanni scriveva:
“1.9.1996
Carissimo Farmacia Calamandrei gli scrivo questa lettera per farli sapere che sto male in 9 mesi non mi è riuscito di telefonare alla moglie Luisa, che schifo cari farmacisti che vergogna è questa, non ne posso più di stare in galera, non ho fatto nulla, è una vergogna questa e chiedo la Nazione e non la portano da 10 giorni che sistema è questo…Mi ha detto il mio avvocato di Firenze che fino al processo non mi mandano a casa il signor giudice Vigna e Canessa insomma siamo a un bel punto ha detto l’avvocato Pepi Gianpiero che stia tranquillo e beato ci vuole pazienza insomma.
Quando tornerò a casa faremo un bel carteggio se lo permette il Maresciallo perché io sono innocente non ho fatto nulla di male e vi faccio tanti saluti a Francesco e signorina farmacista.
Arrivederci a presto tanti saluti
Vanni Mario”
L’operazione di P.G. portava al rinvenimento e al sequestro, tra l’altro, di una rivista di esoterismo dal contenuto molto particolare, intitolata:
“Diva Satanica”
(studio, ricerca e documentazione sull’esoterismo satanico),
scritta in triplice lingua (italiano, inglese e francese), edita da “Glittering Image – edizioni d’Essai, via Ardengo Soffici 11/13, Firenze, stampata nel mese di giugno del 1990.
Nella circostanza veniva rinvenuta anche documentazione cartacea (agende, appunti, riflessioni…), che sembrava attestare una forma di depressione acuta e di crisi di paura di cui il Calamandrei probabilmente doveva essere affetto.
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Dopo le citate attività, null’altro era stato raccolto nei confronti del perquisito fino a quando alla sua persona non facevano riferimento i numerosi testimoni di cui si è detto.
In particolare giova ritornare sulle dichiarazioni dell’Avvocato Pietro Fioravanti e, in particolare, su quelle rese il 5 dicembre 2002.
In quella circostanza, il professionista riferiva di ricordare bene che Pacciani gli aveva parlato del Calamandrei come persona interessata a discorsi di magia, chiaramente facendo riferimento ai delitti del Mostro di Firenze e, tra l’altro, alla morte del Narducci che, secondo il legale, Pacciani doveva avere conosciuto personalmente.
Giova ricordare anche il riferimento del Fioravanti a tale “Marisa di Massa Carrara”, che avrebbe fornito ragazze vergini ad un gruppo di persone interessate alle vicende dei delitti in questione, secondo quello che questa interlocutrice gli aveva riferito in alcune telefonate.
Di una certa Marisa si rinveniva traccia in un appunto sequestrato al giornalista Giovanni Spinoso, nel quale si leggeva:
Fonte xx – 20.5.96 – A Monsummano c’è un avvocato tale Modano che è nel giro delle messe nere e delle sette. Fu lui a mandarmi – dice xy – una donna, tale Marisa di Massa Carrara, che era quella x (una specie di maga o sensitiva) che procurava vergini (come faceva a sapere che erano vergini!) per i parti ed i riti sacrificali di Faltignano (o di San Casciano) – La domanda mia era con riferimento all’episodio di quella che ebbe in risarcimento un appartamento in Garfagnana, su richiesta del padre della ragazza che era rimasta incinta duranti uno di questi parti. Ma non è entrato in questo argomento).
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L’annotazione dello Spinoso ricalcava quasi fedelmente le notizie fornite dal Fioravanti, me nello stesso tempo era più ricca di particolari, come il riferimento all’avvocato di Monsummano.
L’avvocato Fioravanti, nella sua audizione del 22.01.2003, riferiva :
“ Il Pacciani sottolineava in particolare il ruolo del farmacista di San Casciano Dr. Calamandrei, sempre in relazione alla vicenda del “Mostro di Firenze”, definendolo ironicamente “bel soggetto”. A questo proposito, anche durante il processo di primo grado, di Pacciani, nel mese di maggio 1994, verso le 19,00 di sera, dopo che era venuta a trovarmi la moglie del Dr. Calamandrei, che era venuta da me su indicazioni di un giornalista, mi telefonò in studio proprio il marito, chiedendomi, preoccupato, se sua moglie fosse stata da me e, alla mia richiesta di poter parlare con lui, su quanto riferitomi dalla moglie, il Calamandrei mi invitò nella sua casa alle terme di Firenze, poco oltre la loc. Impruneta. La signora era venuta da me per riferirmi circostanze di estrema gravità riguardo al marito e connesse ai duplici omicidi di Firenze….Narducci, a quanto riferitomi dal Pacciani, era inserito in questo ambiente, e questo l’ho saputo anche per degli accertamenti che ho fatto di mia iniziativa sempre nell’ambito della difesa Pacciani. Oggi sono sicuro, rivedendo tutto in maniera retrospettiva, che le indagini sulla morte del Narducci furono bloccate dall’alto sia a Firenze che a Perugia e a Firenze, forse, anche per un intervento esterno. Sono successe cose troppo strane, molto strane, nelle indagini sui duplici omicidi attribuiti al così detto “Mostro di Firenze” che in realtà erano sicuramente “Mostri” al plurale, con una maestria particolare nei tagli delle parti anatomiche femminili. A questo proposito, preciso che la mammella sinistra di Nadine Mauriot, asportata nel delitto del 1985, aveva un disegno perfetto, “la O di Giotto”, e ho sempre pensato che a compiere tali delitti dovesse essere stato un medico”.
– PERQUISIZIONE DOMICILIARE.
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Con decreto del 17 gennaio 2004, il P.M. di Firenze disponeva una perquisizione nell’ambito del procedimento penale 1277/03, concernente le indagini sui possibili mandanti dei delitti.
L’operazione portava al rinvenimento e sequestro di vario materiale (agende, quaderni per appunti, libri, video cassette registrate), del quale si ritiene utile segnalare il seguente:
– una guida turistica a colori “Lago Trasimeno”;
– un libro a colori intitolato “L’Umbria”;
– il libro “Il Risorgimento esoterico” di Cecilia Gatto Trocchi;
– il libro “I demoni della notte” di Charles Nodier;
– numerose riviste pornografiche “Penthouse”, “Le Ore” degli anni 1966/99, “Playmen” dell’anno 1966 e 1998, “Playboy” dell’anno 1998…;
– un biglietto da visita della ditta “Arte e Decorazione” di Sordi Liliana con sede a Castiglione del Lago (PG) con annotati i numeri di telefono 075.951859 e 0336.599732;
– un’agenda dell’anno 1989 (si tratta della più vecchia agenda perché nulla è stato rinvenuto per quanto riguarda gli anni precedenti!);
– un’agenda del 1990 della Banca Toscana con varie annotazioni: Giovagnoli Angelina via Bellini 41 362432 (la prostituta di cui ha parlato la Pellecchia);
– un’agenda del 1991 con copertina grigia (i fogli cominciano dal 9 maggio):
Ingen. Galata Francesco 0187 627160 0187 625877 0187 629434 via Cisa Interna 33 Sarzana. Sono: collega di Alberto Aldemio del Ministero degli Interni ho la necessità di un telefono attivato per un’operazione che scatta venerdì;
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12.8.1991 magistrato Della Valle? Dossier presso la magistratura perché Della Valle non ha ritenuto opportuno di indagare su di me… Magistrato…inc.. Della Silvia.
Nella stessa pagina vi era poi un altro appunto scritto con penna rossa:
Marco, Silvia Badini, Vigna, Ceccatelli…inc… ore 12 incrocio con la via Cassia.
– un quaderno con la copertina disegnata con piume colorate contenente disegni e annotazioni manoscritte datate 1995/96, tra cui:
Il mitra = Prozac non so se ricominciare a prendere il prozac o impugnare il macete. Io personalmente credo che sia più dignitoso prendere il macete – che cosa vuol dire fase maniacale? – alcolismo un guaio non da poco che spesso si associa alla depressione –
In alcuni fogli ripercorreva tutta la sua vita a partire dal gennaio 1991:
5 novembre propositi di suicidio il 25 novembre mi interno a Villa Serena fino al 18 dicembre periodo molto duro la mia depressione è al culmine – Marisa Aureli 055453841 – mangia la mia merda – baciami il culo – la mia infelicità sarà la mia missione nella vita –
Un biglietto da visita di Villa Vrindavana centro Hare Krishna via Scopeti 108 con annotato: Kalakunja 0360 338480;
biglietto da visita della ditta “Arte e Decorazione” di Sordi Liliana Castiglion del Lago (PG) via Morini 13 loc. Vitellino 075 951859 0336599732 con annotato:
come ci si può liberare da una sofferenza se questa è l’unica cosa che ci riempie la vita?-
30 giungo 1995 Paesana mentre dormo sto molto male. Ho dolori fisici e sono incazzato. Ho sognato di un avvocato mi ha chiamato due giorni prima di una udienza e mi prendeva anche per il culo;
– un quaderno con la copertina marrone con annotazioni del 1996:
Testi delle piramidi testi dei sarcofagi libri dei morti libro per respirare libro per trascorrere l’eternità libro delle due vie…Appunti su principi essenziali della dottrina esoterica; Appunti su Teoria mia della lettura:… quindi il concepimento, cioè quando lo spermatozoo feconda l’ovulo è imperversato da
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una quantità di forze astrali magnetiche elettriche… Riflessioni su La Papessa Iside: tiene nella mano destra il libro dei segreti che nessuno potrebbe scalfire se non gli consegna le chiavi che tiene nella mano sinistra. I misteri sono l’esoterismo delle cose. La chiave d’oro è connessa al sole: verbo ragione, la chiave d’argento è connessa (apre) alla luna: immaginazione lucidità intuitiva…1 mago = volontà personale 2 la Papessa = conoscenze segrete saggezza occulta immaginazione dualismo.. 3 l’Imperatrice = intelligenza creatrice la falce di luna (è disegnato uno spicchio di luna) inc… è la saggezza, è la razionalizzazione della intuizione confusa…;
c’è incollato un articolo di giornale dal titolo “tutta la lurida poesia dei disperati di Welsh” – droga sesso teppismo: così è trainspotting; altro articolo di giornale incollato con la foto del mafioso Brusca all’atto dell’arresto;
– un quaderno con copertina bleu e disegni del sole e della mezza luna con annotazioni riferibili agli anni 2000/2001/2002/2003: vi erano riflessioni sulla vita e sullo stato di salute dell’indagato che manifestavano uno stato verosimilmente patologico. Si citano:
ore 16 mi manca qualcosa nel cervello. Grande confusione, solitudine paura e attrazione della morte. Ore 17.30 sto meglio ma mi manca ancora qualcosa, sento che nel cervello mi manca qualcosa;
– un quaderno con la copertina colorata con piume disegnate e margini marroni e con un’annotazione sul primo foglio “Fi 9.3.97”: c’erano riflessioni personali . Si citano: nelle prime pagine
“Giovedì mattina, ho paura…” – “martedì 24 marzo 1997: sono un uomo che ha una struttura fisica e psicologica per essere un tossicodipendente. Sono un malato di depressione..” Ancora “Sono un alcolista… ma questo è un presupposto essenziale per essere un artista – l’artista è un ammalato” – “E’
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difficile esprimere questa doppia mia veste: io sono un tossicodipendente e nello stesso tempo padre di un tossicodipendente…”
Più avanti : “Comunità Il Forteto parlare con Fiesoli – Vicchio” . [Fiesoli di Vicchio si identifica per Rodolfo Fiesoli, nato a Prato il 11.11.1941, residente a Dicomano, località “Il Forteto”, coniugato, direttore d’azienda, il cui nominativo figura al nr. 103 dell’elenco delle persone sospette, allegato alla nota del 14 luglio 1987 della SAM e che è lo stesso elenco dove al nr. 181 figura Narducci Francesco. Lo stesso Fiesoli con nota MI – 85 – SAM del 28.2.1986, relativa al delitto degli Scopeti veniva segnalato come persona, già perquisita, e meritevole di approfondite indagini (nella stessa nota figurava anche il nominativo di Pietro Pacciani). Nella scheda a suo nome, datata 18.12.1985, si rilevavano precedenti penali per oltraggio a P.U., atti osceni, usurpazione di titolo, atti di libidine violenta, corruzione di minorenni, maltrattamento, ecc. ed era indicato quale omosessuale. Esisteva anche un verbale di spontanee dichiarazioni rese il 30.9.1985 da Biscotti Giovanni, nato a Firenze il 5.3.1961, che riferiva i suoi sospetti sul Fiesoli dopo il duplice delitto. Sul conto del Fiesoli questo Responsabile riceveva una lettera, non firmata, inviata con posta prioritaria dalla Francia con timbro 1.10.2001 col seguente contenuto:
“Io vi scrivo questa lettera per informarvi di certi fatti. Dove per rimorso di coscienza vi do degli indizi che vi chiedo di cercare accuratamente in segreto io ho scoperto dove si praticano i riti di una setta di “sacrifici di sesso” che hanno a che fare con il Mostro di Firenze. Vi dico un nome Rodolfo Fiesoli condannato nell’85 per sodomia pedofilia plagio e violenza sessuale; inoltre un suo complice Goffredi Luigi, omosessuale riconosciuto e Sari Sauro dove sono arrivati a penetrare degli animali davanti a bambini e la cooperativa Il Forteto di Vicchio
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del Mugello. Sono coperti da medici chirurghi e magistrati, affidano bambini a questi malati sessuali, cercate lì e troverete le prove; vi prego, vi dico la verità, trovate un’avvocatessa Elena Zazzeri che copre questi criminali. Non troverete nulla sulla loro fedina perché hanno fatto sparire tutto ma ci sono, li condanni, sono al Mugello dal 1976 questi criminali provenienti tutti da Prato , con affetto fate giustizia e subito”.
Inoltre, nell’inchiesta perugina sulle minacce patite da Falso Dorotea, si accertava che da tabulati telefonici delle cabine usate per effettuare le telefonate minatorie, poco prima o subito dopo, erano state chiamate utenze telefoniche delle provincia di Firenze, tra cui quelle della cooperativa “Il Forteto” di Vicchio; c’erano poi appunti sull’arte, sull’artista, su riferimenti storici di autori, sull’arte egizia;
– una video cassetta con copertina di cartone con scritto Penthouse: contenuto hard con scene di nudo femminile;
– una video cassetta senza custodia con cartellino adesivo “macho” con registrazione di programmi televisivi da Tele +: film senza titolo – trama prostituzione donne di colore – + “Teuer petits poissons”: uno scienziato prova su se stesso un farmaco per diventare invisibile con il risultato di diventare un mostro;
– una video cassetta senza custodia con un film porno dal titolo “ Le peccatrici – senza trama”: contenuto prettamente pornografico con scene di sesso fra uomini e donne;
– una video cassetta senza custodia “Play girl – amber bedtime story – porno senza trama”: contenuto prettamente pornografico con scene di sesso fra uomini e donne;
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– una video cassetta senza custodia “ Le mupoka” in lingua francese: spettacolo di balli africani di uomini e donne;
– una video cassetta senza custodia “Ricordi d’infanzia 2”: contenuto prettamente pornografico con scene di sesso fra uomini e donne;
– una video cassetta senza custodia con scritto “amatoriale” sul vetro “vere vicende italiane nr. 4”: contenuto pornografico con scene di sesso fra uomini e donne a carattere amatoriale;
– una video cassetta senza custodia con scritta “Buchi avidi”: contenuto pornografico con scene di sesso fra uomini e donne;
– una video cassetta senza custodia dal titolo “Estasi Hotel”: contenuto pornografico con scene di sesso fra uomini e donne;
– una video cassetta senza custodia dal titolo “Il pub delle violenze erotiche”: contenuto pornografico con scene di sesso fra uomini e donne;
– una video cassetta senza custodia dal titolo “Selen – insegnami a godere”: contenuto pornografico con scene di sesso fra uomini e donne;
– una video cassetta senza custodia dal titolo “doppio airbag …di serie”: contenuto pornografico con scene di sesso fra uomini e donne;
– una video cassetta con custodia marca TDK TV 180 all’interno video con scritta “Fermo posta” di Tinto Brass: film erotico con scene di nudo femminile;
– una video cassetta con custodia marca Sony E 180 con film dal titolo drammatico “Julies e Jim”;
– una video cassetta con custodia marca Video Electrics E 240 con scritta “Penthouse”: contenuto erotico con scene di nudo femminile.
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Il materiale rinvenuto in casa del Calamandrei e sottoposta a sequestro consente di fare alcune considerazioni.
Innanzitutto va detto che non veniva rinvenuta alcuna agenda e annotazioni riferibili agli anni antecedenti al 1989, e neppure venivano rinvenute foto personali , di famiglia o di amici, comprese quelle del matrimonio. Sarà una coincidenza, ma l’anno 1989 coincide con l’archiviazione della “pista sarda” e con l’inizio dell’attività sul Pacciani.
Poi, a parte lo stato di depressione che emergeva dagli scritti e la predilezione per le riviste e le cassette video dal contenuto pornografico spinto, quello che si accertava in termini chiari ed inequivocabili era l’interesse del Calamandrei per la magia e l’esoterismo.
Tale interesse sembrava fornire attendibilità alle confidenze fatte dal Pacciani al suo legale circa la persona del farmacista in relazione ai duplici omicidi.
Il Pacciani, infatti, aveva parlato del Calamandrei come persona interessata a discorsi di magia, chiaramente facendo riferimento ai delitti del Mostro di Firenze.
Sull’argomento dell’esoterismo si tornerà nel proseguo anche perché, come si vedrà, lo stesso Narducci non sembra che fosse stato estraneo a quel mondo.
– INTERCETTAZIONI TELEFONICHE.
L’attività faceva registrare pochi contatti dell’indagato, ma alcuni di questi apparivano interessanti, perché sembravano dimostrare l’esistenza di un gruppo di personaggi, di cui l’indagato faceva parte che erano inclini a forme di
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voyeurismo e di perversione sessuale . E ciò sembrava essere una ulteriore conferma, peraltro attuale, ai racconti dei testimoni di cui si è detto.
Al riguardo si richiamano le seguenti conversazioni che facevano riferimento a “festini”.
– telefonata delle ore 14.03 del 31.7.2003: il Calamandrei discuteva di donne con un amico, di nome anche lui Francesco, facendo cenno a una giapponese e a una tale Marisa:
…che è al mare…poi sarebbe venuta in una vecchia ex… inc.. però per fortuna non si è ancora…inc… quindi ci si vede la prossima settimana… quindi spero non si accavallino…quella per un festino va bene…;
– telefonata delle ore 14.14.47 del 31.7.2003: l’indagato parlava con l’amico Franco facendo riferimento alla rumena, all’arrivo della giapponese:
“…che non fa che trombare…”;
– telefonata delle ore 16.13.21 del 10.12.2003: il Calamandrei discuteva con l’amico Valeriano Raspollini [sospettato a suo tempo nell’ambito delle indagini sul Mostro. Esisteva agli atti una segnalazione dell’8.11.1985 al procuratore di Firenze a firma della signora Anna Caselli e il suo nominativo era stato inserito in un elenco dei carabinieri – nota n. 167/26-1-1985 del 10.9.1986- quale persona da perquisire in caso di nuovi omicidi. Esisteva anche il suo nominativo in altro elenco dei carabinieri allegato alla nota del 23.6.1987 di soggetti da perquisire e controllare in caso di nuovi delitti. Esisteva ancora un’altra nota dei carabinieri – la n. 167/18-8-1985 del 20.5.1989 – nella quale veniva indicato quale pederasta]. Valeriano gli chiedeva:
“Chi tu c’hai costì? Tutte le vergini?…ma glielo fai fare un defilé nude? Nude?”
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Ricevendo risposta affermativa (Sì, son tutte nude!). E ancora Valeriano:
“Fanno le cosacce?”
Calamandrei risponde affermativamente, la conversazione ha un contenuto molto specifico in relazione a quello che si è appreso dalla Ghiribelli;
– telefonata delle ore 16.30.51 del 10.12.2003: l’indagato comunicava all’amico Valeriano che il “principe” (alias Franco Jatta) li aveva invitati a casa, ma Valeriano gli rispondeva che non poteva andare e che
“tutte le femmine giapponesi, rumene, bulgare e turche che …insomma ci stanno aspettando, dovrà essere rimandato”;
– telefonata delle ore 20.51.03 del 2.2.2004: Mario Spezi informava l’indagato di aver fatto in modo che su un articolo pubblicato dal settimanale “L’Espresso” Giuttari ne uscisse un po’ malino;
– telefonata delle ore 19.35.19 del 9.2.2004: l’indagato diceva all’amico Donga (Dongarrà) Raffaele che in mattinata era andato da lui un tizio di Roma che gli aveva riferito di voler rovinare Giuttari perché era l’ora di finirla;
– telefonata delle ore 15.44.13 del 10.2.2004: Mario Spezi informava l’indagato che:
“stiamo preparando una trasmissione RAI in cui si demolisce tutto…eh! Abbiamo trovato della bella roba…è meglio a voce…”;
– telefonata delle ore 22.18.37 del 26.5.2004: l’indagato avvisava l’amico Valeriano (Raspollini) che l’indomani mattina partirà e poi concludeva la conversazione con la speranza di non essere richiamato per un interrogatorio;
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– telefonata delle ore 19.38.37 del 27.7.2004: l’indagato informava Mario di essere stato querelato da Giuttari per un articolo di Mario Spezi che gli aveva messo in bocca delle cose non vere. Mario poi si offriva a testimoniare a suo favore facendo presente che Spezi:
“…me lo aveva raccontato prima …inc….di venir da te, io l’ho trovato per strada e mi fece…’sto ragionamento”;
– telefonata delle ore 9.48.54 del 16.8.2004: l’indagato avvisava Aidha che ieri aveva incontrato Giuttari al chiosco dei giornali e si era presentato parlando per due ore (la circostanza dell’incontro era vera e si richiama la nota n. 370/04/ Gides del 16.8.2004;
– telefonata delle ore 16.19.36 del 17.8.2004: l’indagato informava la figlia dell’incontro con Giuttari e diceva:
“Infatti gliel’ho detto …dottore m’è dispiaciuto della querela.. eh, ma dice, guardi che l’è una cosa grave quella che…lei.. cioè lei ha praticamente detto che io sarei appropriato…di un vei.. cioè di un mezzo pubblico.. cioè della mia professione.. per farmi pubblicità. Dico… guardi mi dispiace non perché io pensassi questo, ma perché me l’ha messo…io non lo sapevo nemmeno.. me l’ha messo in bocca il giornalista..”;
– telefonata delle ore 13.05.14 del 31.8.2004: lo zio dell’indagato, Ferdinando Zerini, lo informava di essere stato ascoltato dalla polizia e gli riassumeva le dichiarazioni facendo presente che aveva confermato le frequentazioni ed amicizie con coloro che lui aveva saputo che erano stati già sentiti senza fare quindi altri nomi;
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– telefonata delle ore 17.37.47 del 4.10.2004: Maddalena (utente 339.1171384) telefonava all’indagato con addebito e gli diceva che era andato da lei Franco, che le aveva offerto 200 Euro per andare a letto con lui. L’indagato le riferiva che l’avrebbe richiamata lui, ed infatti la ricontattava subito e dopo aver ricevuto la risposta che il suo amico si trovava ancora da lei, le diceva che doveva dirgli di no;
– telefonata delle ore 14.22.01 del 18.11.2004: l’indagato discuteva con la sorella Margherita che gli chiedeva cosa l’avvocato gli avesse detto. L’indagato riferiva che:
“…può darsi che facciano un’altra perquisizione!”
E la sorella :
“Leva quelle bambole… leva i cosi.. portali su da me!.. vie via guardiamo di levare che c’è!…io le leverei… tu le porti da me!”;
– telefonata delle ore 10.41 del 31.8.2005 Francesca Calamandrei parlava di Giuseppe Jommi con la zia Margherita, sorella di Francesco:
F: sì mi sembra sul giornale sia appunto ma uhm…VERAMENTE ERA UNO CHE NOI SI CREDEVA MORTO…PERO’ LUI NOME E COGNOME NON SI SA E ORA E’ NELLA LISTA DEGLI INDAGATI ANCHE LUI SICCHE’……come al solito che lui è amico del Narducci e fu denunciato da una moglie brasiliana.
– telefonata delle ore 20.26.47 del 10.1.2005: l’indagato discuteva della sua vicenda con Magni Ornella (utenza 055.8076298) e alla domanda della donna se fosse vera la notizia che quello di Perugia era stato ucciso rispondeva:
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“che vuoi che ne sappia io…sinceramente non lo so però io so una cosa per certo, io non lo conosco…non l’ho mai visto, e pure ci sono…gente che spergiura che mi hanno visto insieme a lui…persone amici miei”.
– telefonata delle ore 9.40 del 12.2005: Valeriano Raspollini contatta Ornella Magni, entrambi amici di Francesco Calamandrei.
O: E’ un caso strano guarda, è un caso strano perché io avrei…io metterei ancora oggi centocinquanta mani sul fuoco per lui…perché non avrei mai pensato…io sai non vivo nell’ambiente di San Casciano…però io insomma….io ho conosciuto Francesco…lo conosco da vent’anni…quindi…siamo stati assieme parecchie volte…tutto…che lui fosse un depresso…che fosse un po’ strano anche dal lato diciamo sessuale…almeno io sentivo dalle sue donne…perché poi le sue donne mi telefonavan tutte…mi scrivevano…mi…mi…mi…ero in rapporti anche con quella…te la ricordi quella israeliana che lui aveva avuto?…..
…..
O: Poi sai cos’è…diciamo….parliamoci chiaro….persone di cultura che possono gemellare con te non è che ce ne siano molte…ecco dico la verità…sai Francesco frequentava un determinato ambiente anche col fatto delle Giubbe Rosse…Ti ricordi che lui andava giù a Roma…ehm… a Firenze…
…..
V: E si lamentavano di una sessualità strana dici?
O: Ma sì…non…sì strana nel senso che anche la Ute diceva: “ma sai lui voleva delle prestazioni strane!”…però da lì ad essere quello che dicono insomma per me sono cose veramente…veramente strane poi sai…(inc.)…ad un certo punto verrà fuori che magari mia sorella ha fatto fuori la mogl….il marito ed i figli…capisci?….
….
O: Io sono andata a trovarlo in tutti gli ospedali quando lui era andato…ti ricordi quel periodo che era…forse tu ancora non lo conoscevi…quando era in quella clinica a Fiesole..
…..
O: …lui aveva una depressione tremenda…lui aveva bevuto…nel periodo in cui l’ho conosciuto…io venti…io l’ho conosciuto nell’ 86…quindi vent’anni
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fa…quando l’ho conosciuto io era reduce da un periodo che…sai lui è un debole di natura…è una persona che s’era attaccato molto a questa mamma…quando gli è morta prematuramente la mamma per lui è stato un gross…una grossa debacle…ti parlo quando lui era ancora giovane…
….
V: Ora lo accusano d’aver conosciuto..
O: Ma sì che….a me sì la sorella…che io sono molto amica anche della Margherita no?…Eh…sia la Margherita che lui m’hanno detto:”Ma noi non l’abbiamo nemmeno mai conosciuto!”…sai lui affitta a degli stra… a ei medici in quella casa sua so…sai che lui c’ha il piano sotto no…da dove sta lui no?….

O: Ecco e lì ci sono un sacco di studi medici…adesso sai che lui affittasse sotto questo qui non te lo so dire però io so che lui ha avuto occasione di conoscere un sacco di questi medici anche per quella faccenda lì…capisci….E lo accusano da prima di essere l’autore di questi mandanti…di questi qua…ma ti pare?…Ora una persona che tu frequenti per vent’anni…una persona del genere e non t’accorgi che questo è uno che va alle messe nere eh…ma no…
L’attività tecnica d’intercettazione telefonica si rivelava utile per capire meglio la personalità attuale dell’indagato, anche sotto l’aspetto sessuale.
Si registrava, poi, la falsità del Calamandrei sulla sua mancata conoscenza del Narducci, che ormai invece può considerarsi un dato certo.
Emergeva anche la preoccupazione per la perquisizione e l’indagine a suo carico, tanto che si adoperava per cercare di dilazionare l’interrogatorio, munendosi di un certificato medico, nel caso in cui fosse stato convocato. Le sue
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preoccupazioni inoltre sembravano rivolte sostanzialmente all’indagine perugina, nella quale all’epoca non era indagato.
Come pure manifestava preoccupazione – e con lui la sorella Margherita – per una nuova perquisizione, tanto che la sorella lo invitava a togliere le bambole per portarle da lei, che abita nello stesso stabile.
Inoltre, l’attività metteva in chiara evidenza ancora una volta il ruolo del giornalista, Mario Spezi, nella vicenda del “Mostro di Firenze”.
– TESTIMONIANZE.
Minoliti Arturo: già comandante della stazione Carabinieri di S. Casciano V.P. alla domanda se conoscesse il farmacista, dichiarava:
“Sì, posso dire che si tratta di un personaggio piuttosto strano che non riceve mai nessuno a casa, la cui moglie separata lo ha accusato più volte di aver partecipato ai duplici omicidi. Aveva delle amicizie influenti. Ricordo che ha speso dei soldi per il figlio che ebbe problemi di droga; so che ha venduto la farmacia. All’epoca dei fatti il farmacista era molto ricco”(vds verbale del 5.2.2003);
Mascia Rossana: compagna di Francesco Calamandrei dal 1988 al 1993 circa, dichiarava:
“Nel 1988 comprai una casa a San Casciano in via Pisignano n. 29, ma mi trasferii nel 1991. In quell’anno misi la ditta di argenteria in liquidazione. Nello stesso anno cominciai a frequentare Francesco Calamandrei, che era il farmacista di S. Casciano. Prima di instaurare una relazione sentimentale con il Calamandrei conoscevo la di lui moglie Mariella Ciulli….All’inizio della frequentazione con il Calamandrei, la mia amica Tamara Martellini di S. Casciano che conosceva bene la famiglia Calamandrei, mi mise in guardia sul soggetto dicendomi che era una persona pericolosa anche perché c’erano stati dei sospetti su di lui relativi alla vicenda del “Mostro di Firenze”, che faceva
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parte della Massoneria, che maltrattava la moglie e i figli, usava psicofarmaci e aveva dei comportamenti violenti. Io non diedi credito a queste che mi sembravano dicerie. Nel novembre 1991 fu ricoverato alla clinica di Fiesole per depressione. Nel febbraio del 1992 il Calamandrei si trasferì presso la mia abitazione in via Pisignano nr. 29. Sempre nello stesso mese mi aprì un conto corrente presso il Monte dei Paschi di Siena a San Casciano depositando circa 200 milioni, dicendomi che servivano per la mia sicurezza, nel senso che con quei soldi avrei potuto far fronte ai miei impegni di lavoro senza affrettarmi a vendere la casa….Convivendo con Francesco mi sono resa conto che le cose che mi aveva detto la mia amica Tamara erano vere. Ho anche potuto constatare che Francesco soffriva di crisi depressive. La depressione scaturiva dal rapporto avuto con la madre. Me lo diceva lui. Preciso meglio, lui mi diceva che sua madre tradiva il padre e lui avrebbe voluto che il padre avesse avuto il coraggio di cacciarla. Questa esperienza l’aveva portato ad avere una “contorsione” nei rapporti con le donne…I miei rapporti con il Calamandrei sul primo momento erano normali. Successivamente, anche a seguito dei farmaci e dall’assunzione di alcool, i rapporti erano praticamente inesistenti. A volte era preso da scatti di rabbia e violenza nei miei confronti, tanto che una volta mi minacciò di impiccarmi alla trave di casa. In un’altra occasione arrivò a schiaffeggiarmi. Di quest’ultimo episodio ho fatto querela ai Carabinieri di S. Casciano e mi sono fatta refertare all’Ospedale di Torre Galli nel giugno 1993. Per quanto riguarda i rapporti sessuali, viste le sue condizioni,anche questi erano praticamente inesistenti. Questa situazione gli scaturiva delle “condizioni mentali” che sfociavano in maltrattamenti nei miei confronti. Era impotente…Voglio raccontare un episodio successivo dopo la pasqua de 1992. Ricordo che Francesco ricevette una telefonata in farmacia dal sig. Rontini che lui conosceva come il padre di una delle vittime del “Mostro di Firenze”. Lo stesso chiedeva di incontrarlo per un colloquio. Francesco chiamò l’avvocato Corsi, suo cugino, al quale chiese consiglio se presentarsi o meno al colloquio. L’avv. Corsi gli consigliò di non presentarsi al colloquio con il Rontini ma Francesco, disattendendo il consiglio dell’avvocato, decise di andarci. Nell’occasione mi chiese di accompagnarlo al colloquio per apparire il più normale possibile, cosa che io feci. Ci recammo quindi a Vicchio a casa del Rontini. …Il Rontini disse che aveva investigato sul suo conto per anni duranti i quali aveva avuto contatti
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continui con la moglie, Mariella Ciulli, l quale gli aveva riferito tutti i suoi spostamenti. In particolare la Ciulli riferiva delle assenze da casa di Francesco nelle sere in cui sono avvenuti i delitti del cosiddetto “Mostro di Firenze” fornendo dei riscontri su quanto affermato. Per esempio diceva di andare alle riunioni dei Farmacisti, ma di fatto non vi partecipava. Durante il colloquio ho avuto l’impressione che il Rontini lo avesse convocato per avere un confronto e una verifica sulla reazione di Francesco….Francesco si mostrò alla fine quasi sollevato dagli esiti del colloquio, come se in pratica “avesse scansato un pericolo”…Devo precisare che in quell’occasione Francesco mi portò con sé al solo scopo di dare a Rontini l’immagine di una vita del tutto regolare che conduceva…Ricordo un’altra circostanza che voglio raccontare. Francesco mi raccontò che verso la metà degli anni ’80, prese la pistola di suo padre che custodiva nella casa di San Casciano sita sopra la farmacia, e si portò a Punta Ala dove prese la sua barca e in compagnia dell’architetto Gianni Ceccatelli, marito della mia amica Tamara Martellini, si recò al largo e buttò detta pistola in mare…Lui mi disse che buttò la pistola per non avere noie burocratiche…Francesco dipingeva dei quadri che rappresentavano scene di sangue, siringhe infilate in masse di sangue….nei momenti di sincerità, Francesco diceva di avere “il diavolo addosso”, di essere “dominato” e di avere bisogno di assumere farmaci e cocaina per combattere la sua depressione. Francesco aveva delle manifestazioni schizofreniche, sembrava dominato da qualcosa più forte di lui, in questi frangenti diventava violento tanto da spaventarmi. Ricordo che circa nel 1993-1994, Francesco frequentava un mago, di cui non so il nome, ma che dall’accento mi sembrava pugliese. La loro frequentazione, in quel periodo, era continua, addirittura Francesco lo ospitava a casa, questo mago sembrava alle dipendenze di Francesco…Francesco comunque era molto interessato alla magia…Ricordo che Francesco prestava dei soldi alla gente che si trovava in difficoltà finanziarie speculando sui loro bisogni economici, aveva un particolare atteggiamento di piacere nel rovinare la gente…Circa il potere di Francesco, mi risulta che lo stesso fosse legato alla massoneria fiorentina…Ricordo che nel settembre del 1993 mi fu incendiata la casa di via Pisignano…il fatto avvenne di notte mentre io, mia figlia ed una ragazza tedesca eravamo in casa. Le indagini svolte dai carabinieri diretti dal maresciallo Minoliti, condussero alla persona del Calamandrei. Ricordo che a
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seguito di perquisizione in casa del Calamandrei fu trovata, come corpo di reato, la chiave del vano caldaie della mia abitazione, da dove era partito l’incendio. Intervennero i vigili del fuoco e accertarono che l’incendio era di natura dolosa. Al termine delle indagini ci fu un processo celebrato a Firenze. In primo grado il Calamandrei fu condannato…Nel processo d’appello Francesco fu assolto” (vds verbale del 19.8.2003);
Vivoli Alessandra: compagna di Francesco Calamandrei, per un breve periodo, nel 1997, dichiarava:
“nel mese di maggio o giugno conobbi Francesco Calamandrei…nacque così, nonostante la differenza di età e le raccomandazioni di mio padre che lo conosceva come un tipo pieno di donne e poco raccomandabile, una relazione sentimentale che durò fino alla fine di ottobre o i primi di novembre. Alla fine di luglio del 1997iniziò la nostra convivenza nell’abitazione del Calamandrei sita in S. Casciano V.P. in via VI Novembre…dapprima il nostro rapporto era piacevole…successivamente lui iniziò a sentirsi male ed avere problemi di salute. Cadde in depressione, una depressione violentissima che non gli permetteva di alzarsi dal letto. Faceva un uso smisurato di farmaci antidepressivi uniti a numerosi caffé….Francesco mi raccontò che sua moglie lo aveva denunciato accusandolo di essere implicato nella vicenda del cosiddetto “Mostro di Firenze” e alle mie richieste di spiegazioni lui disse che sua moglie era pazza…dopo esserci lasciati, mentre mi trovavo nel mio negozio di musica di via Senese, Francesco si presentò nel mio negozio sbandierando un articolo della La Nazione dove si parlava di lui implicato nella vicenda del “Mostro di Firenze”. Ricordo che ne parlava quasi ridendo. Nell’occasione, visto che stavo chiudendo il mio negozio, mi offrì da bere nel bar accanto. Ricordo che parlava con enfasi di questo fatto all’interno del bar, tanto che io avevo paura che la gente capisse cosa stava dicendo e che ricollegassero il mio rapporto con lui….i nostri rapporti sessuali erano inesistenti. Lui non riusciva ad avere erezioni e faceva uso di punture che si faceva sul pene, ma, nonostante questo, non riusciva comunque ad avere erezioni. Ricordo che una volta, dopo l’ennesimo fallimento, mi disse che se volevo potevo fare l’amore con un’altra persona. Rimasi colpita da questo fatto perché dentro di me pensai che lui non avesse moralità” (vds verbale del 26.9.2003);
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4.4)- JOMMI GIUSEPPE.
Come è stato accennato in premessa, la figura dell’avvocato Jommi emergeva a seguito delle rivelazioni della cittadina straniera Alves Jorge Emilia Maria fin dall’anno 1990.
Infatti, il 4 luglio 1990, l’Alves si era presentata spontaneamente alla Squadra Mobile di Firenze ed aveva dichiarato che in data 8 settembre 1985, verso le ore 19,15 aveva incontrato l’amante in Piazza Davanzati, a Firenze, stranamente vestito in maniera sportiva e quest’ultimo l’aveva informata di essere stato in campagna, di non avere un alibi e che era stata uccisa una coppia e questo nonostante la notizia dell’omicidio degli Scopeti non fosse stata ancora resa pubblica.
All’epoca erano stati svolti accertamenti, che avevano dato esito negativo ad eccezione della conferma della circostanza che effettivamente la moglie dello Jommi era stata la proprietaria dell’appartamento dove aveva abitato la famiglia di Susanna Cambi, uccisa dal “Mostro” nel mese di ottobre 1981.
La Alves Jorge, poi, come già spiegato, nel 2001 si presentava spontaneamente negli uffici della Squadra Mobile per riproporre le proprie dichiarazioni sull’ex amante e per approfondire i rapporti tra questi e l’amico di Foligno, identificato per il Narducci.
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Nei confronti dello Jommi veniva svolta un’attività d’intercettazione telefonica che portava all’acquisizione di notizie interessanti.
– INTERCETTAZIONI TELEFONICHE.
In una conversazione tra lo Jommi e l’amante Giovanna Lucenti, l’uomo le confidava che tra le accuse a lui rivolte dalla Alves c’erano le seguenti:
“E’ che io ero un intimo di questo tale….sono stato visto diverse volte sotto casa sua (della Alves)… addirittura …..con la macchina di questo..”.
(vds brano n. 347 del 31/8/2005).
In altra conversazione tra Giovanna Lucenti e la sorella Maria Grazia, nel corso della quale la prima riferendosi alla Alves dice:
“Ma fino all’86 – 85 che questa qua riusciva…usciva tutte le se…sere…tutti i giovedì…perché se no lei lo minacciava!…Ma dico:“di cosa ti minacciava?”… “Mi ricattava!”…”ma su cosa?” dico…NON ANDARE A DIRE CHE TI RICATTAVA SE NO DIRANNO CHE TU SAPE…CHE LEI SAPEVA DELLE COSE…DELICATE DEL MOSTRO CHE ADESSO… E CHE TI MINACCIAVA E TU L’ASSECONDAVI PERCHE’ NON LE TIRASSE FUORI!!….DICO NON STARE A DIRE QUESTO!”.
La Lucenti proseguiva confidando alla sua interlocutrice quel che l’amante le aveva confessato:
“Mi aspetto…mi aspetto che mi incrimineranno…come il mostro o come il complice del mostro!!…ma non è possibile….ma se hanno…hanno incriminato il Procuratore di…di Firenze….perché non…perché nel ’91 aveva archiviato la pratica che mi riguardava…di questa Jorge!”
(vds brano n. 1766 del 16.11.2005).
Una conversazione tra lo Jommi e la Lucenti, nel corso della quale l’uomo riferiva che la sera precedente aveva visto una trasmissione televisiva, condotta
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da Irene Pivetti, dedicata alla vicenda del Mostro di Firenze ed alla morte di Francesco Narducci. I due disquisivano sulla vicenda:
J: Ma finalmente….ho anche capito la storia della Citroen!
L: Cioè?
J: Cioè….sembra…(inc.)…che sia stata vista…in uno…di quei bar…in un posto accanto….ad un posto dove si è verificato un delitto..
……
J: Sì…ieri sera…non lo sapevo nemmeno…mi ha telefonato la Duccia…e mi ha detto: guarda guarda c’è un tuo programma…per cui….un sacco di cose…ho imparato….mi son spiegato?
…..
J: Fra l’altro io pensavo che questo tale fosse morto non so…cinque…sei anni fa invece…
L: …(inc.)…nell’ottantacinque…
J: Vent’anni fa…ma è incredibile…
L: Nell’ottantacinque…quando son finiti…ottantadue…ottantatre le faccende…
J: No…l’ottantacinque credo….credo…credo….boh…
L: No…no…no…nell’ottantatre…ma sai io c’ho…(inc.)..eh..
J: D’accordo…d’accordo…
L E il Bambolo…e il Bambolo…
J: Non lo so…
L: ….che non era affatto l’ottantacinque…non eravamo andati a dormire al Bambolo?…che l’indomani mattina..
J: Che era l’ultimo?
L: Era l’ultimo sì….è stato l’ultimo…
J: Ah…ho capito!
L: Che era settembre…
J: Sì!….no!…Ah sì è vero!…ieri sera ho sentito anche la data…
L: Hai visto?
J: Si discute se è domenica…sabato…lunedì…
L: Eh…eh…è più facile che fosse sabato…
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J: Va bene…
L. Visto che eravamo insieme…
(vds brano n. 750 del 24.8.2005 ore 15.30).
Jommi contattava nuovamente la Lucenti e dopo brevi convenevoli le chiedeva di ricordare quello che lui aveva fatto l’otto settembre 1985, perché l’Alves l’aveva accusato di essere, proprio quel giorno, in compagnia del Narducci. La donna riferiva che erano stati insieme al Bambolo (albergo sito in Maremma). Lo Jommi rammentava alla sua interlocutrice che il Vigna (Dr. Pier Luigi Vigna) qualche giorno dopo l’ultimo omicidio incontrandolo gli aveva chiesto: “Tu dov’eri?”. Tra l’altro emergeva il fatto che l’uomo aveva stretto amicizie presso l’ufficio anagrafico fiorentino al fine di ottenere il certificato di residenza della Alves.
(vds brano n. 803 del 26.8.2005 ore 14.51).
In un’altra telefonata tra la Lucenti ed il suo amico Piergiorgio Segatel, quest’ultimo riferiva che su internet aveva trovato la data effettiva dell’ultimo omicidio, e cioè l’otto settembre 1985. La donna diceva di aver trascorso quel giorno insieme al suo amante al Bambolo in Maremma.
L: Io mi ricordo che al mattino abbiam preso il giornale e c’era questo fatto ed io gli avevo detto: “ah allora”…-sai ridendo- “allora non sei proprio te perché…eri con me”…poi in più torna a Firenze …questo se lo ricorda lui…incontra il Vigna ed il Vigna: “ah allora dov’eri?”…”Ero fuori”…”Allora non sei tu il mostro!”…
S: Chi incontra scusa…chi incontra?
L: Il Vigna…combinazione!
S: Ah…il Vigna. .sì…
L: E gli fa la stessa domanda e lui ri…eh..
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S: (inc.)..
L: Le solite battute…no e però io me lo ricordo perfettamente questo!Quindi è strano a dirsi ma se a lui hanno chiesto dove era…a lui gli hanno chiesto dove era l’otto settembre del…
(vds tel. n. 119 del 27.8.2005 ore 11.59 Giovanna casa).
La Lucenti in altra occasione contattava lo Jommi riferendo che su internet c’erano parecchie pagine dedicate al Mostro e che nel corso della trasmissione televisiva dedicata alla vicenda, trasmessa poche sere prima, affermavano che prima dell’ultimo duplice omicidio era stata notata una Citroen con due persone a bordo, ferma nel piazzale.
(vds brano del 28.8.2005 ore 16.53).
In una conversazione tra la Lucenti e la sorella Maria Grazia emergono i timori della donna:
L: E…uhm…e sono andata a vedere i giornali….dell’epoca per altro La Nazione non ce l’hanno allora ho cercato il Corriere della Sera….ho detto…sarà quello con più notizie no?…allora il Corriere della Sera del 2005 (’85)….riporta il fatto…il martedì 10 uhm…però dice che sarebbe successo nella notte del sabato….uhm…ma ce n’è stato un altro nelle stesse date…esattamente nelle stesse date…nel 2003(’83)…
M: Ah sì? Nelle stesse date?…
L: Stesse date esatte…per cui io dovrei essere più che certa…devo essere…devo testimoniare…che sia quella del 2005(’85)…
M: Ma il 2005 è di quest’anno…Vanna!….
L: No scusa dell’85…e no dell’83!..
M: Ma nell’85 mi sembrava che fosse a Marina (di Massa) quando eravamo davanti alla televisione in sala tutti quanti…che tu fossi…addirittura che ti sei girata…perché…o può darsi che sia quella del 2003(’83)…
L: Allora adesso dovremmo cercare di avere (inc.)..che hai una memoria mostruosa…davvero di ricostruire un po’ quegli anni lì…
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M: Perché mi ricordo…
L: (inc.)…momento in cui…io poi devo fare l’affermazione precisa…
M: Io mi ricordo che all’ultimo…che poi non ha più colpito è l’anno che tu eri in cucina…siamo tornati dal mare…abbiamo acceso la televisione e abbiamo sentito che il mostro aveva colpito…mi ricordo che Luca aveva detto: eh…mamma ha colpito di nuovo!!
L: Va be’ ma…
M: Però è una notizia in…del momento..
L: Sì…ma no…come fai ad essere così sicura che fosse…
M: Eh… perché è un flash che c’ho in testa!..
L: No… perché ne sono due…no capisci che poteva essere anche quello del 2003(inc.)…eh…è lo stesso la stessa data…
M: Io mi ricordo che era l’ultimo perché poi è l’anno che poi siamo andati a sentire quel tizio alla….non è lo stesso…non è l’anno dopo…siamo andati nell’86 che siamo andati a settembre a sentire quello là che diceva che sapeva la pistola dov’era…quello che ci ha da…che ci ha stretto la mano e diceva che dalla mano lui sentiva la morte… che c’era la morte…. se non c’era la morte…
L: Sì quello certo…era quello…
M: Era ’86…no….era l’87 voglio dire…
L: No era quello del…della…del…
M: Della Capannina..
L: Alla Capannina sì…e va be’…e cosa c’entra?..
M: Che mi ricordo che lui aveva detto che non avrebbe più colpito…questo mi è rimasto impresso eh! Che il mostro non avrebbe più colpito!…
L: Eh…va be’….ma eravamo…ormai tardi…
……
L: Dovremmo cercare di ricordare…se già nel 2003(1983) mi posso essere allontanata per due giorni…almeno per due giorni…mentre è più facile che mi sia allontanata nel 2005(1985)…e cercare di mettere in collegamento alcuni episodi….per ritrovarmi ad esser certa che è il 2005(1985) e non è il 2003(1983)…perché nel 2003(1983)…era…erano…quelli…l’uomo e la donna…cioè i due uomini…in quella data lì…..e poi l’ultima volta i francesi…
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La Lucenti riferiva che sul giornale la data era di martedì sul Corriere della Sera, che i corpi erano stati rinvenuti il lunedì ed il perito aveva fatto risalire la morte a sabato notte, cioè la notte tra il sette e l’otto settembre 1985. La stessa commentava:
“Allora io quand’è che ero con lui?”
La sorella chiedeva all’interlocutrice se poteva essere tra la domenica ed il lunedì.
La Lucenti confidava di non ricordare e che era inutile lei testimoniasse che la notte trascorsa insieme allo Jommi era quella tra l’otto e il nove, se l’omicidio si era consumato il sette settembre.
La Lucenti rivelava che sulle agende di quegli anni, quando si allontanava con lui, metteva un “segnetto” , ma che pensava di averle gettate.
La donna rappresentava la sua inquietudine ed i suoi dubbi riguardo quelle date ed affermava:
“Non ci siamo perché avevo quel maledetto vestito di Luca!”
Le due donne continuavano ad analizzare gli eventi di quel periodo:
L: Tu non ce l’hai un…un’agendina?..
M: Dell’ottantacinque?…può darsi anche che ce l’abbia!..
L: O dell’ottantatre?..
M: Dell’ottantacinque che la…ce l’abbia ancora…dell’ottantatre forse …è un po’ tanto indietro per avercela…e mi ricordo che avevamo detto…e…il mostro (inc.)…ne ha fatti altri due… che hai gridato…”ehi Grazia …ne ha fatti altri due!”..(inc.)…siamo entrati tutti dentro…tutti gasati…davanti al televisore…perché all’epoca erano proprio cose che tiravano…morbosamente!…
La Lucenti ribadiva che l’otto settembre si trovava in maremma con l’amante e che avevano visto la notizia del duplice omicidio attribuito al “Mostro” e che in questa circostanza lei aveva detto:
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“Vedi non sei il mostro…perché siamo insieme….però…adesso…proprio adesso….guardando….leggendo il giornale…il giornale riporta che due anni prima ….nella stessa data…aveva ammazzato..”.
La donna ribadiva le sue perplessità riguardo la data in cui si era recata in Maremma con l’uomo e chiedeva alla sua interlocutrice di cercare le agende di quel periodo. Maria Grazia riferiva che avrebbe cercato in cantina, dentro una scatola, e consigliava alla sorella di riflettere prima di testimoniare senza avere dei riscontri oggettivi.
(vds tel. n. 266 del 1.9.2005 ore 14.14 utenza Giovanna casa).
Nel corso di una conversazione tra lo Jommi e la Lucenti, il primo confidava che, da notizie apprese ultimamente, il Narducci risultava proprietario di un appartamento all’Isola d’Elba proprio nel complesso residenziale dove ne aveva uno lui ed esclamava:
“Per cui…per cui io potrei averlo conosciuto lì!”.
(vds brano n. 271 del 2.9.2005 ore 05.52).
Nel corso di un’altra conversazione tra lo Jommi e la Lucenti, parlando del libro scritto da Diego Cugia in collaborazione con Francesca Spagnoli “Un amore all’inferno”, che racconta la storia di Francesco Narducci vista dagli occhi della vedova, l’uomo affermava:
“Mia sorella mi ha portato tre libri….uno è scritto in una maniera di merda…si parla della vedova di questo tale di Perugia…non so come si chiama…non me lo ricordo nemmeno…e poi niente così ad un certo punto si parla di me senza…senza fare il nome però…sono l’avvocato dell’Isola d’Elba!!!”.
……
“Poi ho preso in affitto una casa a San Cassiano poi…e allora confondono San Cassia…San Casciano Val di Pesa con San Cassiano probabilmente capito?
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(vds brano n. 1520 del 2.11.2005 ore 8.07).
In altra conversazione tra lo Jommi e la moglie Ada Pinori, l’uomo affermava:
“HO INCONTRATO IL PROCURATORE DELLA REPUBBLICA”
“….E SI E’ MESSO A RIDERE IL NANNUCCI!!”
“SULLE NOSTRE VICENDE!!”.
Nel contesto della telefonata, l’uomo, forte delle sue conoscenze ai vertici della Magistratura, riferiva che il Procuratore Capo di Firenze Ubaldo Nannucci aveva una stima enorme nei confronto del suo legale ed amico, l’avvocato Ferruccio Fortini.
(vds. brano n. 6475 del 21.2.2006 ore 15.09).
In altra conversazione, tra lo Jommi e la sua amante, l’uomo, probabilmente ubriaco, affermava:
“VORREI REALMENTE UCCIDERTI…CIOE’ FARTI A PEZZI…”
“Sì A PICCOLI PEZZI….MANGIARTI!”
….
“CON UN COLTELLO AFFILATO….IO BISOGNA…CHE UN SENO TE LO STRAPPI…ME LO PORTI VIA!”
La Lucenti esclamava:
“Allora sai che ti dico?…Che ha ragione il Giuttari!…Ha ragione il Giuttari…ed infatti non eravamo insieme in quelle date lì!”.
Lo Jommi farfugliava:
“Ah…sì…posso essere io!”.
La Lucenti replicava:
“No…non…non eravamo insieme….eri con i tuoi amici!”
…….
Jommi ripeteva:
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“VORREI…VORREI…NON UCCIDERE…SPEZZETTARTI!”
……
“No leggermente…con un piccolo coltello affilato…ti rendi conto? tagliarti in un punto che so io…roba da matti!”
(vds brano n. 6609 del 24.2.2006).
– RIFERIMENTI DALL’ATTIVITA’ DI PASQUINI.
L’investigatore privato fiorentino Valerio Pasquini il 5 febbraio 1993, di sua iniziativa, cominciava ad acquisire elementi sul caso della morte di Francesco Narducci, andando personalmente a Perugia.
L’uomo contattava preliminarmente la responsabile dell’ufficio anagrafico del Comune di Perugia, tale Emilia Cataluffi, e registrava il contenuto della telefonata. Dal racconto della donna spuntava il nome di Jommi:
“Però ‘sto avvocato si qualifica per Joni e anche…anche…adesso glielo dico anche qui c’è quel signore che è mio amico e dice che si chiama Jommi…io non lo so non posso dire…
….
“Io non posso dire a questa persona che comunque è di Firenze…”
La Cataluffi, escussa a verbale presso codesta Procura, riferiva:
“Da persone che ora non ricordo, ho saputo che loro conoscenti hanno sentito dire, nell’albergo di proprietà della signora Stoppini, sorella dell’Ing. Stoppini, a Firenze, nei pressi della stazione, che il Narducci aveva un amico avvocato a Firenze da cui si recava spesso. Ho anche sentito dire che questo avvocato, una notte, è tornato a casa tutto sporco e questo era sembrato strano a queste persone. Ciò era accaduto, secondo quello che mi hanno detto, la notte dell’ultimo delitto…………Ricordo anche che (Narducci Francesco) fu visto passeggiare a Perugia con l’avvocato di Firenze che ora rammento essere l’avvocato Jommi, che, a quanto mi risultava, era intimo conoscente della signora Stoppini, sorella dell’Ing. Stoppini di Perugia, che, come ho detto, aveva un albergo di fronte alla stazione di Firenze e che rilevò anche una parte dell’albergo Brufani di Perugia. La cognata di questo Stoppini è la signora Bona Teixeira, che era la prima moglie dell’Ing. Stoppini, la cui sorella era, come ho
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detto, amica dell’avv. Jommi. A quanto ho saputo quest’ultimo, come ho detto, fu visto rientrare una volta tardi e vestito male, subito dopo l’ultimo delitto del “Mostro di Firenze”e questo insospettì anche per la sua amicizia e frequentazione col Narducci che si diceva fosse coinvolto in quelle vicende”.
(vds verbale del 12.1.2006).
Lo Jommi, assunto ad informazioni presso questi uffici, dichiarava:
“Circa l’appartamento affittato alla madre di una delle vittime del Mostro, sia dalle verifiche fatte con mia moglie, sia dagli atti della conservatoria che mi mostrate, devo dire che esso era di proprietà di mia moglie e del fratello di lei Alessandro Pinori, che oggi vive a Genova. Ricordo in proposito che l’inquilina si chiamava Nencini Rina, vedova Cambi, e che dopo il delitto seppi da mia moglie che la vittima era la figlia di questa signora. L’affitto iniziò non nell’ottobre 1971, come da me comunicato al dottor Canessa, ma il 15.12.1963, come ho potuto rilevare da appunti trovati negli ultimi giorni, dopo aver ricevuto la convocazione odierna, e terminò nel 1979 quando, verosimilmente a seguito di una transazione chiudemmo la vertenza economica. L’inquilina però subì uno sfratto per morosità, a seguito del quale l’appartamento fu liberato con l’intervento della forza pubblica. Di questa questione io mi interessai solo per l’opposizione ad una sospensiva dello sfratto e per il recupero delle somme dovute dall’inquilina”.
Lo Jommi negava di aver conosciuto Francesco Narducci e di aver mai posseduto o utilizzato una autovettura Citroen, precisando:
“….anche se non posso escludere che qualche volta possa essere salito su un’auto di questo tipo perché son passati tanti anni….ma era di quelle Citroen che si sollevavano?…Sono portato ad escluderlo, ma non posso essere certo, anzi certissimo proprio perché sono trascorsi tantissimi anni dall’epoca che mi viene indicata e, cioè, come mi è stato fatto presente, i primi anni ottanta”.
(vds verbale del 28.1.2004)
Lo Jommi, escusso nuovamente a verbale da S.V., confermava la relazione con la cittadina straniera Alves Jorge. Precisava che detto rapporto era iniziato prima del suo matrimonio, avvenuto nel 1964, e cessato nel 1986.
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Lo stesso inoltre riferiva:
“….un giorno fui convocato da un giudice a Firenze per una denuncia che la Alves aveva presentato nei miei confronti, con l’accusa di fatti gravissimi come ad esempio complotti con il Presidente di Mediobanca in relazione ad una pratica per la quale avevo avuto contatti con il Dott. Cuccia, con il signor Bernheim,suocero di Orsini Domenico Napoleone,che era socio della società che rappresentavo. Il giudice di cui non ricordo il nome, mi disse che era stato costretto ad interrogarmi, perché la signora minacciava denunce nei suoi confronti per omissione di atti d’ufficio. Poiché me lo chiede le dico che ritengo che fosse passato un sensibile lasso di tempo tra la presentazione della denuncia ed il mio interrogatorio e che la signora avesse più volte insistito con il giudice perché mi sentisse. Il giudice sentì anche Orsini ed altri. A quel tempo erano in funzione le Procure Circondariali distinte dalle Procure presso i Tribunali, questo particolare me lo ricordo in quanto il giudice mi disse che avrebbe stralciato alcuni reati per mandarli all’altra Procura per competenza. Dopo un po’ di tempo incontrando per strada il Procuratore Circondariale Dott. Ubaldo Nannucci, che io conosco da tempo e dicendogli che avrei dovuto essere interrogato dalla sua Procura, lui mi rispose facendomi capire che non sarei mai stato interrogato”.
Alla domanda “Le dice nulla il nome Falciani?”, l’uomo rispondeva:
“So che è una località da cui credo si diparta una scorciatoia che attraverso la località di Albergaccio vicino a Villa Machiavelli raggiunge San Casciano. Ricordo che andando verso Siena vi è una deviazione sulla destra che porta credo rapidamente a San Casciano”.
Lo Jommi rispondeva di non ricordare dove e con chi fosse stato l’otto settembre 1985, continuando a negare di aver conosciuto Francesco Narducci e di aver messo piedi su un’autovettura Citroen.
(vds verbale del 25.8.2005).
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5. UN’EVIDENTE ATTIVITA’ DI DEPISTAGGIO
Proprio quando l’indagine fiorentina sui mandanti si concentrava sulla persona di Francesco Calamandrei e contestualmente l’inchiesta perugina sulla morte di Narducci stava facendo segnare notevoli progressi, impensabili fino a poco tempo prima, veniva messa in atto un’evidente attività di depistaggio su più fronti da parte del noto giornalista Mario Spezi, di cui giova adesso parlare.
Anche in un passato recente c’erano stati situazioni quantomeno di ostacolo allo sviluppo fisiologico delle inchieste e, a tal riguardo, giova richiamare anche la nota n. 481/05 del 21.9.2005, redatta dietro esplicita richiesta di codesta Procura avanzata con delega del 27.5.2005. L’attività di Spezi, però, è stata una vera e propria attività criminale, volta a screditare gli inquirenti e a trarre un qualche vantaggio personale, sia sotto il profilo giudiziario (la sua situazione di indagato nel procedimento penale perugino), sia sotto quello di giornalista – scrittore di romanzi gialli.
SPEZI MARIO.
Quando il giornalista Spezi Mario incominciava ad interessarsi del “Caso Narducci”, per finalità che non potevano giustificarsi con il ruolo di giornalista, l’inchiesta faceva registrare episodi, per un verso configurabili estremi di reato e per altro verso a dir poco inquietanti.
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Lo Spezi, ancora estraneo ai procedimenti perugini sulla morte del Narducci, correva in soccorso dell’amico Francesco Calamandrei, indagato in quel momento solo a Firenze, imbastendo una grave attività di depistaggio massmediatico e giudiziario volta a presentare l’indagine perugina sul Narducci come “viziata” fin dall’origine dall’erronea attribuzione dell’identità del Narducci al medico morto al Lago Trasimeno, mentre si sarebbe trattato di certo Puletti, dentista perugino, morto suicida con un colpo di pistola, nei pressi delle rive del Lago Trasimeno.
L’operazione, però, veniva smascherata.
Si richiama l’intercettazione nr. 465 del 10.2.2004, nel procedimento nr. 17869/2001 R.G. Mod. 44, in cui lo Spezi chiamava il Calamandrei (indagato solo a Firenze) e diceva:
“Stiamo preparando una trasmissione RAI in cui si demolisce tutto”, ed aggiungendo soddisfatto: “ Abbiamo preparato della bella roba!”.
Dopo tale infruttuosa iniziativa, lo Spezi continuava a darsi da fare con l’ausilio dell’amico, l’ex ispettore di Polizia Nando Zaccaria, al quale diceva al telefono, dopo le solite, “rituali” espressioni offensive verso gli inquirenti (perugini e G.I.De.S.), contro i quali non riusciva a nascondere un odio profondo,:
“l’unica cosa che bisogna fare… lo sai che cosa?.. muoversi su quell’altra cosa che ti ho detto…quella risolverebbe tutto… e di molto bene!”
(tel. nr. 15780 del 21.12.2005).
Da quel momento si intensificavano i contatti tra i due e tra costoro ed un terzo personaggio: il pregiudicato campano Ruocco Luigi, gravato da un’impressionante serie di precedenti penali.
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Lo Spezi imbastiva così un’operazione segreta e criminale avvalendosi dell’apporto dei citati Ruocco e Zaccaria; un’operazione volta ad accusare il solito sardo, questa volta Antonio Vinci, nipote di Francesco, già implicato e poi ritenuto estraneo ai duplici omicidi. E, che avrebbe detenuto scatolette con oggetti riconducibili ai fatti del “Mostro di Firenze”me addirittura la famosa pistola ca. 22.
Ecco, quindi che ideava l’operazione “Villa Bibbiani” che lo avrebbe liberato dai suoi guai perugini, dove era indagato. Numerosi erano i contatti telefonici fra i citati personaggi, dai quali emergeva che:
1) veniva individuata la villa dove il Ruocco, utilizzando una macchinetta fotografica fornitagli dallo Spezi ( che a sua volta l’aveva ricevuta dal fotografo fiorentino Massimo Sestini) si sarebbe recato più volte – e di notte – per scattare alcune fotografie, poi consegnate allo Spezi;
2) veniva indicata l’ubicazione di tale villa da parte di Ruocco agli altri due, che però non riuscivano a localizzarla da soli con precisione;
3) venivano accompagnati Spezi e Zaccaria sul posto da parte del Ruocco;
4) veniva eseguito un successivo sopralluogo, di giorno, da parte di Spezi e di Zaccaria che, in questa circostanza, venivano seguiti da personale dipendente che così individuava il posto in questione nella villa “Bibbiani” di proprietà della famiglia Del Gratta, sita nel Comune di Limite e Capraia;
5) veniva eseguito un nuovo sopralluogo da parte dei due e di una terza persona, che si apprendeva trattarsi del giornalista scrittore americano Douglas Preston;
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6) veniva redatto un appunto con le indicazioni della villa da consegnare al dottor Bernabei della Questura di Firenze, allo scopo di indurre il dirigente di polizia a fare una “passeggiata” in quel luogo e poter trovare indizi riconducibili alla vicenda del Mostro di Firenze, tra cui “sei scatolette”;
7) veniva fatta visita in Questura al Bernabei da parte dello Zaccaria, che veniva atteso fuori dallo stabile dallo Spezi;
8) lo Spezi, discutendo con lo Zaccaria diceva che, prima di incontrare di nuovo quella persona dove era stato l’altro giorno (Bernabei), dovevano parlarne perché Zaccaria doveva spiegare bene
quelle sei scatolette:
Spezi: Nel senso che lui non sa nulla…di me…di coso…
Zaccaria: Va be’ a qual è il problema?
Spezi: Bisogna spiegargli bene quelle sei scatolette…hai capito? Perché lui magari dice che c’è lì dentro delle cazzate! Hai capito?
Zaccaria: Va be’ ma lui l’ascolta eh…io gliel’ho spiegato io…eh… se vanno lì devono guardare per benino…tutto quello che…eh…
Spezi: Quello che volevo dì…se lui trova… una forcina a lui non gli dice niente!
Zaccaria: Ah… ma quello è normale… perciò gli ho detto…no ma infatti…perciò gli ho detto poi insomma andando…(inc.)… quando è… quando dovete anda’… tanto lui ha detto che me lo dice…
Spezi: Ecco appunto… questo insomma…
Zaccaria: Lui… no… no me lo dice perché lui non è che…lui non sa una sega di queste storie… non si è mai interessato..
…………
Spezi: Insomma l’importante che tu lo istruisci bene.. capito?
Zaccaria: Sì… ma.. (inc.)…non c’è proprio la mentalità del poliziotto..
(vds brano 17095 del 19.2.2006);
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9) si registrava l’euforia dei due (Spezi e Zaccaria) e a quel punto anche del Preston, che ormai era stato tutto fatto e che a breve i poliziotti avrebbero fatto la “passeggiata” facendo così un colpo “mondiale” e risolvendo tutto.
Nel corso dell’attività tecnica svolta nell’occasione si registrava una conversazione ambientale, avvenuta all’interno dell’autovettura dello Spezi, che però, data la scarsa qualità di registrazione, non consentiva di poter comprendere bene il contenuto.
Tale registrazione però veniva da codesta Procura affidata per una consulenza tecnica al R.I.S. Carabinieri di Roma, che riusciva a rilevare alcune parole e frasi, il più delle volte incomplete, dei discorsi fatti all’interno dell’autovettura da Spezi, Zaccaria e Preston.
Un passaggio però appariva più comprensibile di tutti gli altri e precisamente quello tra i secondi 6’25 e 6’51 che qui si riporta e che fa riferimento a “droga”:
6’25 ??: Va be’..
6’27 ??: Dove?
6’28 italiano: La droga…
6’30 straniero: Dodici…la droga giunge il ….dodici..
6’45 italiano: Giuro che ho fatto (p.i.)
6’47 straniero: Non fa lei…molto forti…
6’49 ??: Per fa’ che?
6’51 straniero: Fare il conto (p.i.)…il portante che…che i file.. scoperchiano a…. (p.i.)
Alla luce delle suddette emergenze , il PM, dr. Mignini, il 20.2.2006 assumeva a sommarie informazioni il Ruocco, che alla fine finiva per essere indagato in ordine al reato di favoreggiamento personale.
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Infatti, il Ruocco, dopo aver spiegato di aver conosciuto lo Spezi circa un mese prima a casa dell’ex moglie perché il giornalista si era interessato della vicenda giudiziaria della propria figlia, riferiva che il giornalista, dopo una decina di giorni, gli aveva telefonato e, incontratisi, gli aveva chiesto se avesse potuto aiutarlo
“perché lui era indagato per un delitto del Mostro di Firenze”
e avrebbe voluto trovare prove a suo favore. Aggiungeva che Spezi gli aveva detto che il vero “Mostro” era Antonio Vinci e lui gli aveva raccontato di averlo conosciuto 20 anni prima in un circolo di Settimello, nei pressi di Cadenzano, ma che non aveva conosciuto lo zio Francesco Vinci. A quel punto – continuava a spiegare – lo Spezi gli aveva chiesto se conoscesse i luoghi frequentati da Antonio Vinci dove questi all’epoca avesse incontrato persone e si fosse allenato a sparare. A quel punto – raccontava ancora – gli aveva indicato la villa del quale non conosceva chi fosse il proprietario.
Spiegava poi che lo Spezi gli aveva chiesto di fare delle foto di sera per vedere se fosse riuscito a fotografare qualcuno nella villa e che il giornalista aveva insistito per avere il nome del sardo che abitava in quel posto, tanto che lui alla fine gli aveva fatto quello di un certo Fenu dicendo che si chiamava Francesco o Ferdinando.
Precisava infine di essersi inventato tutto per spillare un po’ di soldi allo Spezi che aveva creduto al nome Fenu che lui gli aveva fornito.
Il Ruocco, quindi, confermava, pur nella sua reticenza su alcuni punti, l’attività posta in essere dallo Spezi e dall’amico Zaccaria.
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Il 21.2.2006, veniva sentito da quest’ufficio su delega della S.V. Vinci Antonio che, tra l’altro, affermava categoricamente di non conoscere la villa “Bibbiani”, di non averla quindi mai frequentata, di non conoscere alcuna persona di origine sarda che avesse lavorato in quel posto, di non avergliene mai parlato, lo zio Francesco, di quella villa.
Lo stesso giorno 21 venivano assunte informazioni anche dal Prof. Luigi Donato, marito di Giovanna Paola Del Gratta, comproprietaria con la sorella Donatella della villa, che anche dopo aver interpellato il custode e gli operai affermava che l’unico sardo che vi aveva lavorato era tale Senes Carmine al quale nel 1997 era stato dato in comodato un casolare, pertinenza della villa, e questo fino al 2004. Precisava poi con una nota inviata ai carabinieri di Capraia e Limite che negli anni 87-90 vi aveva lavorato un boscaiolo, Raffaello Pontenani, sposato con una donna sarda, Nicoletta Carau, operaia agricola avventizia.
Il Prof. Donato Luigi, in qualità di “persona offesa o danneggiata”, in data 28.04.2006, trasmetteva a codesta Procura un esposto/querela nei confronti di Spezi e dei suoi complici.
Il 23.2.2006, il PM, dr. Mignini, assumeva a sommarie informazioni Preston Douglas, che alla conclusione dell’atto veniva indagato per il reato di false dichiarazioni al P.M..
Lo scrittore americano, amico di Spezi e che dall’attività tecnica in coso risultava perfettamente a conoscenza dell’attività dell’indagato, tra l’altro, riferiva di essersi recato, insieme a Spezi e a Zaccaria, in una villa con un grande giardino
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su una collina, dove – secondo lo Spezi – i sardi “erano collegati”. Poi, dopo avergli fatto ascoltare alcune conversazioni registrate e in atti, spiegava:
“Io so che qualcuno ha contattato il Dott. Bernabei perché voleva che intervenisse nei pressi della villa per rinvenire le tracce dei delitti che avrebbero potuto risolvere tutti i suoi problemi confermando l’ipotesi dello Spezi sulla pista sarda”.
Il 24 febbraio veniva assunto a informazioni dal PM, dr. Mignini, il Dott. Gianfranco Bernabei come persona indagata in un procedimento connesso alla presenza del difensore d’ufficio.
Il funzionario, responsabile della DIGOS della Questura di Firenze, confermava di essere stato contattato qualche giorno prima da una sua fonte confidenziale che gli aveva riferito la possibilità di rinvenire in un casolare, forse abbandonato, posto all’interno di una grande azienda di Capraia e Limite la famosa pistola utilizzata per le uccisioni delle coppiette fiorentine, nonché altri oggetti – come barattoli – riconducibili a quei delitti. Precisava poi che, esulando la notizia delle competenze del proprio ufficio aveva informato il collega, Dott. Filippo Ferri, Dirigente della Squadra Mobile al quale aveva indirizzato la fonte e che aveva poi notiziato la Procura di Firenze.
Poi, circa il nome che la fonte gli aveva fatto come implicato nella vicenda del “Mostro”, spiegava che gli era stato fatto quello di Antonio Vinci, che avrebbe lavorato nell’azienda di Capraia come pastore o contadino.
Il funzionario, infine, dichiarava di essersi insospettito della notizia confidenziale tanto che aveva avvertito una strana sensazione.
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Lo stesso giorno il PM, dr. Mignini, emetteva un decreto di perquisizione locale e personale a carico di Spezi Mario, Ferdinando Zaccaria e dei locali della Villa “Bibbiani”; perquisizione che veniva eseguita in contemporanea il giorno 25 successivo.
L’atto di P.G. portava al rinvenimento e sequestro delle inconfutabili prove dei reati commessi dai personaggi coinvolti nei fatti esposti.
Nell’abitazione di Spezi Mario venivano rinvenuti:
– un foglio dattiloscritto indirizzato al Dott. Bernabei privo di data e firma, l’appunto aveva il seguente contenuto:
“Appunto per Dott. Bernabei
Notizia confidenziale, attendibile, in quanto complice in passato di alcuni furti di bestiame, riferiva che in località Limite sull’Arno , appena dopo passato Montelupo, all’interno della proprietà di Villa Bibbiani via di Pullicciano (400 ettari) in una casa distaccata dalla villa, quella che si trova sul retro della villa in una discesa, sulla sinistra. Il locale interessato è quello di fronte al vecchio forno del pane sotto l’arco d’ingresso. In passato in questa casa veniva data ospitalità a latitanti sardi tra i quali il famigerato Mario Sale e altri implicati in sequestri di persona. La casa era nella disponibilità di un certo Fenu (Francesco o Fernando).
Detta casa era anche frequentata dai noti Vinci Francesco e Salvatore e Vinci Antonio figlio di Salvatore e fedelissimo dello zio Francesco con il quale era solito consumare furti.
Antonio Vinci ha attualmente disponibilità di detto locale in cui regolarmente si reca.
Detta villa è di proprietà di un Prof. dell’Università di Pisa, che raramente vi si reca per brevi periodi.
Vinci Antonio dovrebbe abitare a Prato via Verga n. 16 tel. 0574 634405 intestato alla sua convivente Martinetti Delia.
Il Vinci Antonio dovrebbe lavorare in qualità di autotrasportatore per una ditta di mattonelle.
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Per informazioni parlare con il giardiniere Salvatore che ivi abita in altro locale della villa, distante dalla precedente”;
– una carta topografica a colori raffigurante la zona di Empoli, Pantame, Limite, S.Ansano ed altre località con evidenziati punti rossi collegati con linee aeree;
– dal cellulare del perquisito, con il suo consenso, venivano estrapolate n. 3 fotografie raffiguranti la facciata e l’arcata laterale di Villa Bibbiani, scattate, a dire dell’indagato, da lui stesso (vds verbale di perquisizione e sequestro della Sezione di P.G. Carabinieri di Perugia).
Il contenuto del citato appunto forniva piena prova della condotta criminale del gruppo e nello stesso tempo pieno riscontro alle dichiarazioni rese dal Dott. Bernabei.
Nell’abitazione e autovettura di Zaccaria Ferdinando venivano rinvenuti:
– cartucce per pistole di diverso calibro, sul cui legittimo possesso, del quel non figurava traccia nella copia della denuncia di armi esibita, quest’ufficio avviava gli accertamenti del caso presso gli uffici di polizia competenti. A proposito delle cartucce, va evidenziato che, in denuncia, figuravano n. 50 cartucce cal. 22 L.R. che però non venivano trovate nel corso della perquisizione. Per le munizioni illegalmente detenute veniva deferito alla competente Autorità Giudiziaria;
– una cartina geografica dei dintorni di Empoli in cui erano state tracciate alcune località (vds verbale di sequestro redatto da personale del Gides e dei Carabinieri di Perugia).
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Nella villa Bibbiani la perquisizione, alla quale presenziava anche il PM, dr. Mignini, dava esito negativo non solo circa il materiale che si sarebbe dovuto trovare (arma e oggetti riconducibili ai delitti fiorentini) ma anche in ordine alla disponibilità di una casa a tale Fenu ed altri personaggi in qualche modo riconducibili all’ambiente dei Vinci e dei sardi in generale.
L’unico riscontro positivo risultava la precisa localizzazione dell’abitazione segnalata nello scritto e dove ci sarebbero dovuti essere gli oggetti di cui sopra.
La casa in effetti si trovava sul retro della villa in una discesa sulla sinistra ed effettivamente di fronte al locale interessato c’era un vecchio forno proprio sotto l’arco d’ingresso.
Lo stesso Zaccaria, raggiunto il posto dopo la perquisizione a suo carico, indicava al personale proprio quel locale, al cui interno però non c’erano gli oggetti segnalati.
Ferdinando Zaccaria, nella suddetta circostanza, confermava l’attività posta in essere dallo Spezi, da Ruocco e da lui stesso a seguito della quale avevano individuato la casa del “Mostro di Firenze”, indicato dallo Spezi per Vinci Antonio, spiegando che tale risultato avrebbe avuto uno “scoop mondiale” al seguito del quale si sarebbero fatti “un sacco di soldi”.
Spiegava poi che Spezi confidenzialmente gli aveva riferito che:
“qualora la pista dei sardi sarebbe stata sviluppata e trovato riscontro per lui sarebbe stata una grossa soddisfazione, sarebbe stato smerdato Giuttari ed io, avendo collaborato alle indagini ed essendo prossima una mia candidatura in politica sarei stato eletto Ministro degli Interni”.
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Nei giorni successivi alle perquisizioni, lo Spezi si adoperava a dare notizia di quanto accaduto a tutti gli organi di stampa locali, rappresentando la vicenda come un’azione di discredito degli inquirenti nei confronti suoi e dell’amico americano per la controinchiesta da loro svolta e racchiusa in un libro di prossima uscita. Affermava poi che:
“sono sempre i soliti”
e che credeva che:
“l’incarico fosse concluso per Firenze ma non a Perugia”.
Dopo poco tempo lo Spezi veniva contattato dal giornalista del Corriere della Sera Mario Porqueddu. La loro conversazione era imperniata sulle vicende giudiziarie che coinvolgevano lo Spezi e lo scrittore americano Douglas Preston. Il Porqueddu, faceva una breve premessa, sostenendo che, dopo aver ricevuto tutta la documentazione inviata dal suo interlocutore, avrebbe voluto scrivere un articolo “sull’autore americano che è caduto nelle grinfie dei P.M. e degli investigatori”:
P: Invece scusami tutto questo sopralluogo che avete fatto alla villa di cui racconta anche Douglas…
S: Infatti ne parlo…te lo racconto in questo articolo… nel senso…
P: Ah…ecco perché quello è interessante!
S: E’ interessante nel senso che il nostro libro abbiamo ripercorso un po’ tutta la storia eccetera… e via dicendo ed arriviamo a conclusioni… completamente diverse insomma… senza arrivare al mostro per carità… insomma…forse vicino…non lo so comunque..
P: Ma lui dice anche per la verità che eh… avete… un sospetto..
S: Va be’ avevo un sospetto… siamo arrivati…
P: (inc.)… nella periferia fiorentina..
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S: Siamo…siamo arrivati…lo abbiamo anche intervistato….lo abbiamo eh… e con quella intervista che è piuttosto sorprendente finiamo il libro!!
P: Che in teoria lui avrebbe dovuto pubblicare sul New Yorkers a suo tempo…
S: Io e lui assieme…
P: Se non fosse che…(inc.)..
S: Eh.. te la racconto tutta la storia … esatto…esatto.. te la acconto tutta la storia in questo pezzo che ti mando! Eh.. niente poi recentemente a libro finito…ora…alla fine di gennaio.. no.. casualmente ero su un altro pezzo…conosco uno.. un pregiudicato eccetera…toscano comunque…e si chiacchiera con altra gente… figurati c’era anche un ex poliziotto…insomma una cosa così… e questo qui mi dice “eh…ma lo sai che io sapevo che questa gente negli anni ottanta usava un…casolare vicino a quella villa…”
P: Per nasconderci della roba..
S: Sì…ci nascondevano le armi….ci tenevano i latitanti……sai si parla……allora c’erano i sequestri di persona questa roba qui……
ah…dico…interessante!……..sì…sì…dicevano…quelli…sai….anche conoscevano quelli legati al delitto del….primo delitto quello del ’68…ah…si dice ancora che uno di loro che lit… che ce l’ha insomma questa cosa…ah… dico…te informa….adesso si informa e mi dice (inc.) che dice….non più di un mese fa c’hanno visto un paio di armi dentro tra cui una Beretta 22…cacchio!!…allora a quel punto ti dico anche da bischeri la tentazione di andare noi con il fotografo…no sai di queste cose però ha detto calma…qui già siamo nella…scusa il termine….nella merda…
P: Eh…be’…
S: Facciamo una cosa… andiamo uhm alla Questura e raccontiamo tutto poi… poi può essere che non ci sia nulla …può essere che ci sia una Beretta 22 qualsiasi oppure non si sa mai no?… ecco tutto questo essendo io iper-intercettato da tutte le parti l’hanno…son venuto a sapere e invece di andare a vedere lì sono venuti a cercare le armi da me come se io… Douglas Preston…l’ex poliziotto eccetera avessimo montato questa storia insomma…
P: Accusandovi di volere voi far trovare qualche cosa in quel terreno…infatti…lo dice…la cosa allucinante che noi siamo convinti che lì forse
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se (inc.)… che lui va a cercare qualche cosa di interessante non si trova…loro sono convinti che noi volevamo nascondere qualcosa…per stornare i sospetti…
S: Quello che io dico…dico…sospettami pure per carità voglio dire ma intanto vai a vedere…io infatti in quest’articolo per Left che ti mando …c’ho scritto…magari non c’era mai stato niente…
P: Però un controllo forse …si potrebbe fare..
S: Però se c’era adesso non c’è più di sicuro!!
P: Va be’ col casino che è successo!
….
S: Senti c’è una cosa così…ma te la dico… come si dice…border line…cioè fuori…off lines…eh…la nostra sensazione….diciamo…mia e di Douglas….chiamiamola sensazione anche se è forse una convinzione…è che a questi gli da fastidio se crolla tutta la loro indagine…capito?
P: Eh beh…
S: Questa è un’indagine che va avanti da otto…dieci anni con dispendio di soldi…di energie eccetera…ancora non è arrivata a nulla eh!!…Ha bruciato tante di quelle persone perché sputtanate sui giornali da far paura eh…quindi se uno arrivasse a dire…ma veramente la storia è un’altra…o per lo meno…
…….
P: Ma senti ….ma invece quello che voi siete andati a pizzicare…questo…questo…questa persona alla quale siete finalmente arrivati e siete riusciti a intervistare dice delle cose rivelanti?Tu dici chiude in maniera un po’ sorprendente di..(inc.)…tanto per…per…cioè quello che si può dire…
S: Sì…provoca..
……
S: …Te sei stato molto vicino…troppo vicino a quella pistola usata nel…’68…uhm…uhm…uhm…e ce lo dice …capito?
…..
S: Eh…ma non ti sto mica dicendo che è lui per carità!
P: No…ma ascoltami… io mi domandavo quando tu dicevi che chiude in maniera sorprendente….
S: Ci lasciò…ci lasciò…ci lasciò…sconcertati…buttandoci lì “Spezi ti faccio fare uno scoop”…tu non lo sai questo…ma eh…mi dice una cosa…ah…due poi anzi…poi me ne dice un’altra che….eh…ti lascio…
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P: Mi sa che tu sei riuscito a verificare….
S: Sì…sì…sì… ma che gli andrebbero contro di lui…diciamo come circostanze…hai capito?….Non che siano sufficienti per una …per carità…
P: Però che lo mettano in una luce…
S: Io…io…gli facemmo un’intervista guarda…io sono molto…non coraggioso…ma incosciente…nel lavoro per cui gli si fece…io gli chiesi se era lui ecco….eh… lui mi risponde “mi dispiace questo scoop non te lo posso far fare…però ti faccio fare uno scoop” e mi da queste cose qui…hai capito?…eh… son cose relative alle armi…
P: Senti….
S: Poi se si è divertito…può essere per carità…io ti dico così…io ragiono un po’…un po’ eh…da anglosassone io non lo so…nel senso che non ho le prove …poi se tu mi chiedi le sensazioni…ma quelle sai sono…
(vds tel. nr. 17586 del 9.3.2006 ore 18.42).
Col coinvolgimento dello Spezi nei fatti perugini si verificava un’insanabile frattura tra codesta Procura e quella di Firenze.
Si registravano infatti alcuni episodi che generavano stupore ed inquietudine.
Si fa riferimento qui in particolare al rapporto emerso tra il Procuratore Capo Dr. Nannucci e l’indagato Spezi Mario quando quest’ultimo risultava già oggetto d’indagini.
A tal riguardo si richiama la conversazione telefonica avvenuta in data 26.11.2004 alle ore 09.38.25 – progressivo nr. 5585 – nella quale il segretario del Dr. Nannucci, tale Agostino, attraverso l’utenza telefonica 055.2604331, intestata alla Procura della Repubblica di Firenze ed in uso al personale della segreteria del Procuratore Capo, contattava l’utenza telefonica 055.642038,
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intestato ed in uso a Spezi Mario, chiedendo a quest’ultimo se poteva passargli il Procuratore Nannucci.
La conversazione, quindi, in tono molto confidenziale, si snodava come segue:
Nannucci: Pronto?
Spezi: Ubaldo buongiorno!
Nannucci: Sì… (breve attesa)
Spezi: Sono Mario!
Nannucci: Oh, ciao!
Spezi: Ciao come stai?
Nannucci: … bene… bene grazie!
Spezi: Eh…niente ti avevo cercato per un’incontro da cittadino.. eh… non…
Nannucci: Ma senti, no…io volevo dirti questo… che… se tu lo vuoi far sapere.. che io chiesto… a Perugia di chiarire le ragioni ella loro competenza!.. Tu.. hai.. qualche osservazione da fare a questo riguardo?
Spezi: Uhm… in che senso, scusami?
Nannucci: Cioè… (inc.).. il reato che loro ti attribuiscono.. e non so qual è..
Spezi: E’ favoreggiamento…
Nannucci: Il favoreggiamento… questo me l’hanno già detto!
Spezi: Però in base… in relazione ai reati che vanno dalla lettera A alla lettera R!
Nannucci: Uhm…favoreggiamento io gli ho chiesto di… precisarmi … in… a che titolo sono competenti loro! Hai capito?
Spezi: Ah… ah…!
Nannucci: Perché io non so nulla di questo fatto…
Spezi: Ah… ah..
Nannucci: E quindi.. però ancora la risposta non l’ho avuta!
Spezi: Perché io ti dico… Ubaldo… io.. non..
Nannucci: Perché tu potresti anche… non so cosa ne pensi.. il tuo avvocato.. ritiene che sia competenza di Perugia?
Spezi: Noi non sappiamo niente.. relativo ai reati di questi famosi reati che cominciano dalla lettera A e cominciano… e finiscono alla lettera R!
Nannucci: Uhm…
Spezi: Non sappiamo.. né io né il mio avvocato… quali sono!
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Nannucci: Ah!
Spezi: Eh… lui ha fatto un ricorso al Tribunale del Riesame…
Nannucci: Sì!
Spezi: Che viene presentato non so se oggi o domani… questo…
Nannucci: Ricorso.. .perché?…(colpi di tosse)..
Spezi: Per cercare di… per capire.. anche per cercare soprattutto di capire qualche cosa di più di che cos’è… insomma! Perché non sappiamo nulla!
Nannucci: Uhm… ho capito!
Spezi: Avere… (ride)… più che altro quasi per avere… delle informazioni… tieni presente che il mio telefono non credo sia molto pulito… in questo momento!
Nannucci: No… no io ho chiesto a… coso… a….al Procuratore di Perugia perché mi interessa sapere se è competente Perugia o è competente … o è competente … Firenze!
Spezi: Io credo… io credo ma non te lo so dire assolutamente che alcuni di quei reati sono reati fiorentini…credo!
Nannucci: Va bene…
Spezi: Però non lo so!…Non lo so!
Nannucci: Il tuo avvocato se ha dei problemi sotto il profilo della competenza…può fare…
Spezi: Ho capito!
Nannucci: Ovviamente delle iniziative… pendere e sollevare anche lui una… questione!
Spezi: Ho capito!
Nannucci: Io aspetto che… il collega mi risponda!
Spezi: D’accordo!
Nannucci: Va bene!
Spezi: Allora okay ti ringrazio…
Nannucci: Ciao!
Spezi: Arrivederci!
Lo Spezi, dopo la sua scarcerazione disposta dal Tribunale del Riesame, si adoperava in tutti i modi per screditare gli inquirenti ponendosi come una vittima
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della Giustizia e, in particolare, del Dr. Mignini e del Dr. Giuttari e cercando di aizzare la stampa sostenendo che era stata colpita la libertà di stampa.
Nulla di più falso!
Poi si rivolgeva ai vertici romani della Polizia di Stato così come risulta dal contenuto di due telefonate intercettate.
Infatti, in data 9.8.2006, contattava la segreteria del Prefetto Manganelli, Vice Capo della Polizia Vicario, e chiedeva di spostare l’appuntamento, fissato la sera precedente (evidentemente da un’utenza non monitorata), dal giorno 17 agosto ad un giorno successivo al 20 agosto. La segretaria prendeva l’agenda e fissava un incontro per il giorno 21 agosto 2006 per le ore 12.00 (vds tel. n. 18 del 9.8.2006 ore 11.08).
Il 18.8,2006 la Dott.ssa Magliuolo della segreteria del Prefetto Manganelli lo contattava e gli comunicava che il Prefetto era a Londra e che sarebbe tornato verso la fine di agosto, per cui l’appuntamento sarebbe slittato ad altra data. Spezi informava la sua interlocutrice che l’avrebbe ricontattata nei primi giorni di settembre per fissare nuovamente l’incontro.
Successivamente, l’attività di intercettazione non veniva più prorogata, nonostante la richiesta di proroga avanzata da quest’ufficio, per cui non era più possibile registrare i successivi contatti.
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PARTE SECONDA
1. ULTIMO DELITTO DEL MOSTRO
2. GUANTI DA CHIRURGO E FAZZOLETTINO CON SANGUE UMANO DI GRUPPO B
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3. FATTI VERIFICATISI NEI GIORNI IMMEDIATAMENTE SUCCESSIVI ALL’ULTIMO DELITTO
– Lettera indirizzata alla dottoressa Silvia Della Monica
– Proiettile all’ospedale di Ponte A Niccheri
– Lettera da Perugia a Dr. Vigna
– Lettere ai PP.MM Vigna, Fleury e Canessa
Dopo aver esposto quelli che rappresentano i punti fermi dell’inchiesta, si ritiene utile esporre fatti e circostanze che, pur non rappresentando – almeno allo stato – delle certezze, pur tuttavia richiedono una doverosa segnalazione a codesta Procura della Repubblica per il loro interesse che potrebbero rivestire nella vicenda del caso “Narducci” e così poter pervenire ad una verità che sia la più completa possibile nonostante il lungo tempo trascorso.
ULTIMO DELITTO DEL “MOSTRO”.
La morte di Francesco Narducci avveniva a un mese esatto di distanza dall’esecuzione dell’ultimo delitto del “Mostro”, per cui, soprattutto alla luce
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delle nuove emergenze investigative acquisite da codesta Procura, appare utile richiamare questo duplice omicidio del settembre 1985 e i fatti verificatisi immediatamente dopo, e fino alla data dell’8.10.1985.
Il delitto del settembre 1985 è stato l’ultimo della serie omicidiaria fiorentina ed esso presenta alcuni aspetti, che lo distinguono dagli altri, sia per quanto concerne la sua fase esecutiva, sia in particolar modo per le attività post delictum poste in essere dagli assassini e che mai in precedenza erano state registrate.
Il 9 settembre 1985 in località S. Casciano, in una zona boscosa situata nelle immediate adiacenze di via degli Scopeti, venivano scoperti i cadaveri di due turisti francesi, Nadine Mauriot e Jean Michel Kravechvili, uccisi la notte precedente. Il cadavere dell’uomo presentava numerose ferite da arma bianca e da fuoco in varie parti del corpo, quello della donna oltre alle ferite da arma da fuoco presentava due vistose escissioni del pube e del seno sinistro. L’uomo aveva cercato una via di salvezza fuggendo a piedi verso il bosco ma, raggiunto, era stato ucciso in un contesto sicuramente molto movimentato in cui la vittima avrà cercato in tutti i modi di difendersi, così come testimoniato dalle ferite tipiche da difesa, in particolare alle braccia e alle mani, che il suo cadavere presentava.
A tal proposito appare importante richiamare la perizia medico-legale, redatta dal Prof. Maurri – Dr. Bonelli – Dr. Cafaro, nella quale si legge:
“l’osservazione delle mani e in specie del solco ungueale del giovane francese, nell’ambito di una cute imbrattata da terriccio rossastro e sangue essiccato, ha permesso di rilevare quanto segue: unghie delle dita ubiquitariamente molto corte, con solco quasi inesistente, per la maggior parte occupato da terriccio
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polveroso rossastro. Nell’ambito della mano sinistra a livello del solco si sono repertate cinque formazioni filiformi mentre a destra due sole; le suddette formazioni da ora in avanti saranno indicate con lettera dell’alfabeto e rispettivamente A B C D E (sinistra), F e G (destra).
OSSERVAZIONE MACROSCOPICA
Reperto A: formazione della lunghezza di 3,5 cm. di colorito chiaro lievemente ondulata con due estremità non molto assottigliate, di spessore medio piccolo.
Reperto B: formazione ispida, di colorito scuro, irregolare, di discreto spessore.
Reperto C: formazione di colorito scuro della lunghezza di cm. 1,8 per un piccolo tratto lievemente sinuosa per l’altro rettilinea, di grosso calibro.
Reperto D: mostra le medesime caratteristiche del reperto B.
Reperto E: formazione della lunghezza di cm. 2,8 con estremo assottigliato e l’altro con piccolissima protuberanza di spessore piccolo medio, di colorito chiaro, discretamente liscio.
Reperto F: formazione della lunghezza di 5mm. di colorito chiaro di medio spessore.
Reperto G: formazione di circa 5-6 mm. di un colorito scuro.
OSSERVAZIONE MICROSCOPICA
Reperto A: trattasi di formazione che mostra un imbrattamento sulla sua superficie, la quale risulta punteggiata quasi cribrata, con un estremo arrotondato avvolto a manicotto da materiale rossastro e estremo opposto sfilacciato.
Reperto B: formazione non animale, francamente vegetale con piccoli aghi che si dipartono a tegola dalla superficie.
Reperto C: formazione non animale scura con superficie esterna irregolare e centralmente venature scure che nel suo contesto decorrono quasi parallele tra loro.
Reperto D: formazione con caratteristiche simili al reperto B.
Reperto E: trattasi di formazione pilifera, caratterizzata da una scarsa rappresentazione del canale midollare, con rapporto tra diametro del midollo e quello globale della formazione inferiore a 030; mostra scarsa disposizione del pigmento melaninico bulbo chiuso, corticale nel complesso liscia in alcune zone
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con piccole intaccature, con talora adeso materiale ed imbrattamento. L’estremo distale appare di piccolo spessore ed arrotondato.
Reperto F: formazione priva di caratteristiche morfologiche riferibili ad una formazione pilifera.
Reperto G: fibra sintetica azzurra.
Per fini comparativi si sono anche esaminati i capelli ed i pubes della donna e dell’uomo. Per quanto concerne i capelli entrambi i soggetti hanno formazioni castano chiare, di discreto calibro, con disposizione melaninica uniforme o talora a zolle.
Riguardo ai pubes in tutti e due i soggetti si rilevano formazioni chiare, quelle maschili più ricciute, le femminili lievemente più lunghe e ondulate, di grosso medio calibro.
CONSIDERAZIONI TRICOLOGICHE
L’osservazione macro e microscopica delle formazioni rinvenute nei pressi del solco ungueale delle mani del giovane francese, permette fin d’ora di affermare che tre reperti rilevati a sinistra il B C D, e i due della mano destra F G, non sono sicuramente formazioni pilifere. Più precisamente B C D sono formazioni vegetali, quali piccoli aghi di pino o piccoli frammenti legnosi, mentre F e G sono piccoli frammenti di fibra vegetale la F e sintetica la G.
In merito al reperto B, quest’ultimo è sicuramente un pelo appartenente al genere umano, pelo non strappato, poiché il bulbo è chiuso, non reciso recentemente in quanto l’estremo distale si assottiglia uniformemente.
Questa formazione per le sue caratteristiche morfologiche non permette una sicura attribuzione né alla regione pubica né al cuoio capelluto, verosimilmente trattandosi di un generico pelo che riveste il corpo umano.
Il reperto A non presenta chiari caratteri morfologici essendo tra l’altro imbrattato, e pur identificabile in una formazione pilifera verosimilmente umana, non è possibile una più precisa diagnosi in mancanza di altri elementi.
Infine si ritiene di poter affermare che queste due ultime formazioni non presentano precise, chiare ed inequivocabili caratteristiche, tali da permettere una identificazione, con sicurezza con i capelli o i pubes dei due giovani francesi.” (vds perizia del 16.12.1985)
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Venivano riscontrate quindi tipiche ferite da difesa e rinvenute formazioni pilifere di tipo umano che non era stato possibile ricondurre con sicurezza alle vittime e che, pertanto, non poteva escludersi che appartenessero a terze persone.
Quest’ultima possibilità appare verosimile anche in considerazione del fatto che, da altro materiale biologico rinvenuto sul posto – e proprio a brevissima distanza dal cadavere del giovane francese – si rilevava la presenza di sangue umano e di peli sicuramente non appartenenti alle vittime, ma a persona, rimasta ignota (vds oltre a proposito del Gruppo B).
Peraltro, che sul luogo del delitto quella notte ci fossero state altre persone, oltre ai noti Pacciani, Vanni, Lotti e Pucci, era emerso con assoluta certezza dalle indagini e dal successivo processo a carico di Vanni Mario + 3.
Infatti, Giancarlo Lotti dichiarava:
Io non vidi quando esattamente arrivò quella macchina in quanto deve essere arrivata, per quel che ho capito, quando ero su nella piazzola…Non so dire se mentre io ero su nella piazzola il conducente la vettura sia sceso anche lui a vedere o meno quello che accadeva…Il Vanni mi aveva detto, qualche giorno prima, che la sera dell’omicidio sarebbe venuta anche un’altra persona….Io posso dire che mi sembrò una macchina grossa, ma non notai che tipo di auto fosse, né ho ricordo precisi sul colore. L’auto aveva una persona a bordo ma io non ebbi modo di vederne le sembianze (vds verbale del 12.06.1996).
All’udienza dibattimentale del 28/11/97 (fasc. nr. 55) poi dichiarava:
…mi sono allontanato verso la macchina e poi ho visto questa macchina ferma… Mentre riparto con la macchina, accendi i fari e cosare, vedo allontanarsi questa macchi…sicché non ho fatto a tempo… Macchina grossa, però non mi ricordo che macchina era. Gl’era troppo distante per pigliare il numero di targa….(l’avv. Bertini domandava: “La vide partire?”)…Mentre accendo i fari
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io vedo che si allontana. A metà discesa, forse anche più. Sicché non ho fatto a tempo a prendere… Poi sai, in quei momenti lì non guardo mica la macchina.
Fernando Pucci, non solo sostanzialmente confermava quanto dichiarato dall’amico Lotti, ma si rivelava ancor più preciso sul numero delle persone presenti sull’auto:
Presidente: Poi un’altra cosa…quando siete andati via, successi gli spari, il Lotti è tornato, eccetera, c’era un’altra macchina lì vicino, davanti a voi, un po’ più avanti?Se c’era un’altra macchina.
Teste Pucci F.: Sì, credo di sì.
Presidente: E che macchina era?
Teste Pucci F.: Chiara. Una macchina chiara l’era. Ma io che macchina l’era non..
……
Presidente: Mi interessa sapere se, dove eravate fermati voi con la macchina del Lotti lì, sulla strada…
Teste Pucci F.: Noi ci si fermò proprio su, sul margine, vicino alla piazzola, lì.
Presidente: Ecco, bravo. Sul margine. Lì vicino.
Teste Pucci F.: Poco distante dalla viottolina.
Presidente: Eh, lì vicino, quando siete tornati voi dalla piazzola e siete tornati giù, verso la macchina, si era fermata nel frattempo una macchina, o è venuta dopo un’altra macchina? Sì o no?
Teste Pucci F.: Sì.
Presidente: E che macchina era?
Teste Pucci F.: Mah, che macchina l’era ‘un me lo ricordo, sa!
Presidente: E quando.. ha visto chi c’era a bordo di questa macchina? C’era una, due persone, tre persone…
Teste Pucci F.: Due persone c’era.
Presidente: Quanto?
Teste Pucci F.: Due.
Presidente: Due persone?
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Teste Pucci F.: Sì!
Presidente: E si fermò davanti a voi, dietro di voi? Dove si fermò questa macchina?
Teste Pucci F.: No, loro si fermonno più avanti.
Presidente: Più avanti?
Teste Pucci F.: Sì!
(vds udienza dibattimentale del 06.10.1997).
Weber Petra, sentita nei giorni 12 e 14 settembre 1985 in relazione all’omicidio, dichiarava che:
in quei giorni era ospite del proprio fidanzato, Grundmann Reiner in una abitazione sita in via di Faltignano n. 18 e che mentre si trovava in giardino la domenica notte verso le 24, aveva sentito il rumore simile a quello prodotto dallo stappo di una bottiglia proveniente dal luogo in cui era avvenuto il delitto e che il rumore era stato avvertito anche dai suoi genitori, soprattutto dalla madre alla quale era apparso come uno scoppio provocato da arma da fuoco ed addirittura avrebbe avvertito un sibilo di un proiettile che era passato proprio vicino a lei. La testimone aveva poi riferito che la propria madre la mattina del 12 settembre sera ritornata in Germania. Si apprendeva anche che l’indomani mattina in un lavandino, forse un specie di abbeveratoio, esistente nel giardino, sarebbero state trovate tracce di sangue, tanto che la testimone aveva pensato che doveva trattarsi di qualcuno che conoscesse bene i posti.
Ecco allora che riveste importanza l’avvenuto rinvenimento degli oggetti nei pressi del cadavere del giovane, sui quali vale la pena di soffermarsi.
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– GUANTI DA CHIRURGO E FAZZOLETTINO.
Dopo alcuni giorni dall’episodio criminoso, venivano rinvenuti un paio di guanti del tipo chirurgico che sembravano usati, perché alcune dita erano rimaste rigirate, e un fazzolettino di carta che presentava macchie di colore rosso ed uno o due capelli ad esso adesi.
Dei particolari, relativi a tale rinvenimento, e degli esami peritali svolti, questo Gruppo veniva a conoscenza solo nel mese di marzo 2004.
Infatti, in un’attività di rilettura del contenuto di tutti i faldoni, qui trasmessi per la loro custodia dal P.M. di Firenze, l’Ass. Silvio De Iorio rinveniva nel faldone contraddistinto dal nr. 37 un verbale di affidamento di perizia dell’11.10.1985 con il quale il P.M. aveva affidato al Prof. Cagliesi Cingolati Riccardo dell’Istituto di Medicina Legale di Firenze il seguente incarico:
“Premesso che in data 5 (poi corretta in 4) ottobre 1985 i carabinieri del Gruppo di Firenze riferivano che il giorno precedente tale Dubex Walter aveva rinvenuto sul luogo dell’omicidio di Scopeti, tra l’altro, un fazzolettino di carta intriso di sangue con un capello e che tale reperto era già stato consegnato direttamente al perito prof. Cagliesi dell’Istituto di Medicina Legale di Firenze; rilevato che appare necessario, allo stato, compiere sul reperto ogni accertamento utile tendente a rilevare:
– la natura ematica o no del reperto, in caso positivo la sua appartenenza alla specie umana, in caso positivo il gruppo sanguigno di appartenenza;
– ove possibile l’appartenenza alla specie umana del frammento pilifero contenuto nel reperto;
assegna al prof. Cagliesi l’incarico di rispondere ai quesiti suddetti”.
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Nel faldone in questione, oltre al citato verbale, vi era l’ordinativo di liquidazione del lavoro svolto, nonché il verbale di deposito della perizia di nr. 13 fogli da parte del tecnico dell’Istituto di Medicina Legale, Paolo Venturi, ed una busta di colore bianco, chiusa, con la scritta:
“contiene reperto oggetto della perizia di cui al verbale 11.10.1985”.
Non veniva invece trovata la perizia e neppure il verbale di consegna da parte del Dubex Walter che, stando al contenuto del verbale di conferimento dell’incarico, materialmente aveva consegnato gli oggetti in questione. Anche la ricerca in tutti gli altri faldoni presenti in questi Uffici, sia processuali che del P.M. e dell’ex SAM, dava esito negativo.
Sull’indice del citato faldone 37, alla voce “perizia ematologia eseguita dal prof. Cagliesi Cingolati (p.v. conferimento incarico 11.10.1985)” vi era apposto a penna un punto interrogativo (vds annotazione del 4.3.2004 dell’Ass. De Iorio Silvio).
Su tali oggetti si procedeva ad effettuare anche una ricerca stampa, che consentiva di rinvenire un articolo del quotidiano “La Città” dell’11.10.1985 dal titolo
“Mostro: il sangue sul fazzoletto non è delle vittime”.
Quest’ufficio, in data 15.04.2004, acquisiva allora presso l’Istituto di Medicina Legale dell’Università di Firenze la copia della “relazione di perizia ematologia su un fazzoletto”, datata 7.11.1985 a firma del Prof. Riccardo Cagliesi Cingolati.
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Dalla lettura di tale atto si rilevava che oggetto della consulenza era stato “un fazzolettino di carta intriso di sangue con un capello”
pervenuto all’Istituto di Medicina Legale di Firenze il 5.10.1985 e consegnato al consulente il successivo 7 ottobre.
Il materiale di colore scuro rinvenuto sul fazzolettino di carta era risultato “di natura ematica, di provenienza umana ed appartenente al gruppo sanguigno B. Trattasi cioè di sangue umano di gruppo B”.
Il frammento pilifero adeso al fazzolettino:
di colore castano chiaro, liscio, provvisto di cuticola a scaglie sottili e regolari,
apparteneva alla
“specie umana, potendosi non inverosimilmente trattare di un frammento di capello”.
Tali risultati escludevano con assoluta certezza che quel sangue sul fazzolettino appartenesse alle vittime poiché risultava agli atti che Nadine Mauriot era soggetto appartenente al gruppo sanguigno “A”, mentre Jean Michel Kraveichvili al gruppo “O”.
Appariva quindi verosimile che quel sangue ed il frammento di capello appartenesse a uno degli autori del duplice omicidio che, nella circostanza, era rimasto ferito e che, dopo essersi tamponato la ferita con il fazzolettino, l’abbia nascosto insieme ai guanti chirurgici nel momento di abbandonare il posto. E che qualcuno degli assassini in realtà fosse rimasto ferito lo si rileva anche dalle notizie riportate sulla stampa nei giorni successivi al delitto; in particolare, si richiama l’articolo della “La Nazione” del 16.09.1985 dal titolo:
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“Caccia al mostro – La pista: ha camminato quaranta minuti nel bosco, ha raggiunto il lavatoio dove ha fatto scomparire le macchie di sangue e si è dileguato in macchina…… Lo sgocciolamento sul bordo della pietra confermerebbe che l’assassino è ferito”.
Una conferma alla notizia di cui sopra la si rileva dal verbale di informazioni rese il 2.05.1991 agli Ufficiali di P.G. dell’ex SAM da Di Leo Pasquale, proprietario del terreno sul quale si trovava il citato lavatoio. Il Di Leo infatti affermava tra l’altro:
“Nel 1985, dopo l’omicidio di via Scopeti, i Carabinieri vennero a fare dei controlli nella zona ed io stesso indicai loro dove era posto il lavatoio utilizzato in questione”.
Al fine di acquisire precisi elementi di riscontro, si procedeva ad identificare Dubex Walter apprendendo che anche la di lui sorella ed il cognato erano stati presenti nella circostanza.
Si sintetizzano qui di seguito le dichiarazioni dei predetti.
Dubex Walter e la sorella Catia raccontavano di essersi recati sul posto ove, pochi giorni prima, si era consumato il duplice delitto, assieme al marito della donna, tale Saputo Benedetto (all’epoca fidanzato) ed al loro cagnolino. Gli stessi avevano notato che c’erano ancora i segni dell’intervento della Polizia, e cioè il nastro rosso e bianco che ancora delimitava l’area di interesse e che ancora era ben disteso e fissato tra un albero e l’altro. Sul posto avevano trovato un uomo sui 50 anni in tenuta ginnica in compagnia di una donna bionda e giovane ed un’altra persona intenta a fare riprese con una videocamera ( un riscontro alla
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persona con la videocamera lo si rileva dal verbale di interrogatorio reso al P.M. in data 4.10.1985 da Spezi Mario che riferiva:
“Mi viene chiesto come abbiamo appreso la notizia del ritrovamento sul luogo dell’omicidio di guanti di gomma e di un fazzoletto intriso di sangue con capelli.
Ieri sera il collega Riccardo Berti mi ha detto verso le 20,30 di aver ricevuto una telefonata da un collega del TG2 e di aver appreso che i componenti di una troupe televisiva che si trovava casualmente sul posto avevano assistito al ritrovamento degli oggetti di cui sopra ad opera di due giovani di Prato”).
I tre si erano messi a parlare con l’uomo in tuta commentando il delitto avvenuto in quel luogo e in quel frangente il cane si era infilato dentro un cespuglio che si trovava accanto al punto in cui si erano fermati e che divideva la piazzola dal bosco. La Dubex Catia si era avvicinata al cespuglio e si era piegata sulle gambe per cercare di tirare fuori il cane. Durante questa operazione si era accorta che in mezzo al cespuglio c’era un involucro di carta che sembrava appallottolato; al quel punto aveva richiamato l’attenzione degli altri, compreso l’uomo in tuta, che avvicinatosi aveva prelevato l’involucro. Lo aveva poi allargato e tutti quanti avevano visto che all’interno c’erano un paio di guanti del tipo chirurgico che sembravano usati. Subito dopo, spinti dalla curiosità, tutti si erano piegati per guardare meglio dentro a quel cespuglio. Durante questa operazione avevano rinvenuto un fazzolettino di carta che presentava macchie di colore rosso che a loro giudizio sembravano macchie di sangue, relativamente fresche, ed anche uno o due capelli. Il fazzolettino era stato materialmente prelevato dal Saputo Benedetto con molta cautela probabilmente con due dita o con un bastoncino.
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A quel punto tutti avevano discusso fra di loro su cosa fare e sulla necessità di andare dai Carabinieri. L’uomo in tuta non dava la propria disponibilità dicendo che non voleva avere niente a che fare con quei fatti.
I tre testimoni si recavano invece alla Stazione dei Carabinieri di S. Casciano, dove avevano parlato con un carabiniere di mezza età, al quale avevano raccontato tutto, consegnando quanto era stato rinvenuto e lasciato solo le loro generalità ed i loro recapiti senza firmare alcun atto.
Dopo quella volta i carabinieri non si erano fatti più sentire.
Dal verbale di conferimento d’incarico della Procura della Repubblica di Firenze si evince che gli oggetti in questione sono stati consegnati il 3 ottobre 1985, mentre in realtà si sa direttamente da chi li ha materialmente rinvenuti che furono consegnati dopo tre, quattro giorni dal delitto.
I guanti risultavano essere guanti da chirurgo, misura 7 (mano piuttosto piccola), modello “Triflex”, prodotti dalla ditta statunitense “Travenol”, non commercializzati in Italia. Da accertamenti effettuati presso l’azienda Baxter Italia che si occupa della produzione a livello nazionale di prodotti medici, risultava che:
La ditta Travenol, negli anni novanta, si era trasformata in Baxter.
I prodotti di natura professionale sono in prevalenza ad uso esclusivo di ospedali e cliniche.
La legislazione italiana prevede la possibilità di commercio solo di prodotti che contengono descrizione degli stessi anche in lingua italiana, mentre l’involucro dei guanti repertati possedeva spiegazioni in lingue diverse tranne quella italiana.
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In data 8.4.2004 ulteriori accertamenti appuravano che i guanti in questione potrebbero essere stati distribuiti in Italia nel periodo 1984-1989, ma che non era possibile rintracciare gli eventuali acquirenti dal momento che le loro procedure prevedono l’archiviazione del dati per 10 anni. Il Ministero della Salute, interessato, ha comunicato che l’autorizzazione citata sul frontespizio della confezione ( Aut. 395. D. 311. F 18) non è di quelle rilasciate dall’Autorità italiana, che invece riportano la dicitura “Aut. Min. San.” e poi il numero.
Appare verosimile pertanto che quei guanti provenissero dall’estero.
Su richiesta di questo Gruppo, in data 6.07.2004 (con provvedimento del 26.06.2004) la Procura della Repubblica di Firenze nominava Consulente Tecnico il Dr. Ugo Ricci dell’Unità Operativa di Genetica Umana presso l’Ospedale Meyer. L’incarico era indirizzato alla ricerca del DNA dalle tracce di sangue presenti sul fazzoletto repertato.
Da una rivisitazione dei fascicoli di Pietro Pacciani e, in particolare, dei suoi memoriali, si accertava che sul foglio contraddistinto dal numero 31 l’imputato aveva accennato alla sua volontà di sottoporsi all’analisi del DNA per essere raffrontato con il sangue sul fazzolettino rinvenuto agli Scopeti:
“…Chiesi alla magistratura il D.N.A., non mi è stato fatto col medico mio e avv. oltre al loro perito. Perché?…..questo anonimo dice di avere un fazzoletto intriso del sangue del mostro che è conservato gelosamente. Perché non mi fanno questa prova che ho chiesto?”.
Anche l’avvocato Pietro Fioravanti faceva riferimento alla volontà del suo cliente affermando:
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“Pacciani, come ho già detto, ricredendomi in parte, doveva aver avuto a che vedere con qualcuno dei duplici omicidi, ma non gli andava di pagare lui per tutti di fronte alla giustizia. Questa mia supposizione viene confermata sia dal modo con cui Pacciani si difendeva, come ad esempio con l’insistente richiesta di essere sottoposto alla prova del DNA in relazione ai fazzolettini sporchi di sangue trovati sul luogo dell’omicidio di Scopeti. Lui era convinto che quel sangue e qui fazzolettini fossero riconducibili al delitto e che non si trattava del suo sangue. La richiesta però non fu mai accolta a quanto ritengo. Di questi fazzolettini e del sangue non abbiamo però saputo mai nulla. Ricordo che anche dopo la condanna di primo grado, Pacciani insisteva con i difensori perché si effettuasse il DNA sul sangue di quei fazzolettini. Più volte lo abbiamo fatto presente ai magistrati, ma la nostra richiesta non è stata mai accolta, forse perché non avanzata in forma ufficiale, ma verbalmente. Penso però che nel processo non ci fosse alcuna traccia dell’esame del DNA e ritengo quindi che non sia stato mai effettuato” (vds verbale del 22.11.2004).
E’ chiaro che, una volta conosciuto l’esito del gruppo sanguigno B del sangue in questione, il raffronto col DNA di Pacciani sarebbe tornato a favore di quest’ultimo, che apparteneva a soggetto con sangue di gruppo “0”. Questo perché, in quel momento storico dell’inchiesta e del processo, si stava seguendo la filosofia investigativa del serial killer solitario, individuato per l’appunto nel Pacciani, e la presenta di un assassino sul posto con altro Gruppo sanguigno l’avrebbe potuto scagionare.
Nella nuova ottica investigativa e processuale, invece, essendo ormai un dato scontato che i delitti in questione furono commessi da più persone (un vero e proprio gruppo criminale i cui componenti rivestivano un preciso ruolo), l’identificazione della persona che ha lasciato sul posto quelle tracce biologiche,
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ben precise, rappresenta un passaggio doveroso oltre che necessario dell’inchiesta.
Questo Gruppo, pur coi suoi limiti non potendo agire, come peraltro è giusto, d’iniziativa, ha riconsiderato alcuni elementi emersi durante le precedenti indagini e che attribuiscono all’esito di cui sopra, un valore ancor più rilevante. In particolare, ha riconsiderato il fatto che:
– in relazione al duplice omicidio ai danni di BALDI STEFANO E CAMBI SUSANNA (ottobre 1981) il Procuratore della Repubblica di Prato, Dr. Elio Pasquariello, comunicava, con la nota n. 1691/81 R.G., al Procuratore Generale della Corte d’Appello di Firenze che nella mattinata del 24 ottobre erano stati rinvenuti i cadaveri dei due giovani, la cui scomparsa da casa era stata denunciata e che:
la Cambi stringeva in una mano un ciuffo di capelli.
Dall’esame autoptico sul cadavere del Baldi, si rilevava che venivano asportati due capelli di colore castano lunghi al di sotto dell’unghia (ferita) del primo dito della mano destra, che potevano far pensare a tentativi di difesa, anche perché sull’unghia, così come avevano rilevato i periti, c’era una lesione. Di tali reperti, però, agli atti non si rinveniva alcunché, né tanto meno l’esito dell’eventuale approfondimento peritale;
– in relazione all’omicidio ai danni di CUSCITO CLELIA (Firenze – 14.12.1983 – ad opera di ignoti) venivano rinvenute formazioni pilifere che, oggi, possono rivestire un preciso significato.
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La Cuscito esercitava la prostituzione ricevendo i clienti nella propria abitazione e veniva uccisa con numerose coltellate dopo inutili tentativi di difesa, testimoniati da ferite localizzate al palmo della mano ed alla superficie flessoria del pollice delle dita lunghe (vds pag. 34 della perizia).
Ma quello che appare di maggiore rilevanza è l’esito peritale sulle formazioni pilifere rinvenute sulla scena del delitto e, ancora più specificatamente, di quelle trovate nel pugno della mano della vittima.
Infatti venivano trovate formazioni pilifere, risultate appartenenti, alcune, al gruppo sanguigno “A” (come quello della vittima), altre al gruppo sanguigno “O” (capelli di colorito bruno, robusti, caduti e non strappati), e altre ancora:
al gruppo “B”
quelli del ciuffo nel pugno della vittima di colore castano scuro, recentemente tagliati, un po’ ondulati, con stelo robusto e bulbi indicativi di un brusco strappamento dal cuoio capelluto (vds relazione di perizia Prof. Marini del 17.02.1984).
Giova ricordare che Vanni Mario, così come ormai accertato, era un assiduo cliente della Cuscito ( e proprio in quegli anni), da lui definita “gentile” e che tale delitto nel tempo è stato più volte accostato, non solo dai media, ma anche dagli inquirenti, a quelli del “Mostro”.
Un raffronto dei due reperti, entrambi risultati appartenenti a persone con gruppo sanguigno “B”, potrebbero concretamente avvalorare tale accostamento e portare alla certezza che chi era stato coinvolto nell’uccisione della Cuscito si era trovato anche sulla scena dell’ultimo delitto del “Mostro”;
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– in relazione alle acquisizioni informative su possibili persone, oggetto d’indagini, che presentavano ferite dopo l’ultimo delitto, c’erano stati Narducci Francesco, Calamandrei Francesco e Zucconi Giulio Cesare.
Infatti:
Per Narducci :
“Preciso che una volta, non ricordo esattamente il giorno, ma comunque era nel periodo settembre-ottobre 1985, il Prof. Narducci giunge al lavoro con un occhio bendato che ha portato per circa due o tre giorni. Ricordo che l’occhio bendato, non ricordo esattamente se il destro o il sinistro, era seminascosto da occhiali scuri da sole e durante il periodo della bendatura, portava sempre gli occhiali sempre in corsia. L’ultima volta che l’ho visto, ovvero il 7.10.85, non mi sembra che avesse la benda all’occhio che invece aveva portato prima. Nella corsia correva voce che forse aveva problemi….” (vds verbale di S.I.T. rese da Ceceri Emirena del 17.9.2002);
“Ricordo che mi capitò di andare in gastroenterologia e vidi Francesco che aveva degli occhiali neri, tanto che non si vedevano gli occhi. La cosa mi colpì non poco, tanto che chiesi a Francesco perché si fosse messo degli occhiali così scuri e lui mi rispose che si trattava di una congiuntivite o comunque di un problema agli occhi, ma non me li fece vedere” (vds verbale di S.I.T. rese da Coppini Paolo in data 8.5.2002);
Adriana: Lui prendeva ‘ste medicine…ma dice che adesso è ritornato che anche Cerulli…ha detto…che è vero…non si è voluto ingessà…ma c’aveva una frattura…però lu testone non s’è voluto ingessà…allora prendeva ‘sti cosi per….il dolore…poi boh…”
(vds conversazione – tra Adriana, suocera di Pierluca Narducci, e sua cognata Rita – nr. 289 del 20.10.2002 ore 16.41);
“Ricordo che il professore aveva questo cerotto sopra il sopracciglio sinistro e son certa che tutti se ne sono accorti, malati, colleghi medici ed infermieri. Ricordo bene il professore con questo cerotto ed un paio di occhiali neri. Aggiungo che avevo sentito dire che aveva messo qualche punto di sutura. Ma preciso che personalmente io non li ho visti. Ricordo anche che si diceva che il professor Narducci aveva battuto contro la porta del reparto. Lo ricordo bene
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perché qualcuno scherzò sopra sul fatto che anche il professor Rambotti, poco prima, si era procurato un taglio del genere battendo contro una porta chiusa. Ho memoria di una frase tipo “anche il professor Narducci ha fatto come il professor Rambotti”. Perché me lo chiedete, vi dico che non ho personalmente visto il professor Narducci procurarsi quella ferita in clinica, né sono a conoscenza di qualcuno che lo abbia visto, il fatto che se l’era procurato in clinica era un “voce di corridoio” (vds verbale di S.I.T. rese da Lilli Mariella in data 29.4.2005);
“Mi pare proprio che il professor Narducci avesse un occhio rosso e soprattutto dei punti sull’arcata sopracciliare sinistra. Notai questo particolare qualche giorno prima dell’otto ottobre 1985, ma non lo notai quel giorno. Era difficile notare particolari in lui perché si muoveva con estrema rapidità ed agilità. Non chiesi al professore dove si fosse procurato quella ferita. Comunque mi sembra che avesse proprio due punti sull’arcata sopracciliare. Credo che quella ferita se la fosse procurata, forse, quindici, venti o trenta giorni prima” (vds verbale di S.I.T. rese da Lilli Mariella in data 30.9.2002);
“Io ricordo che effettivamente il professor Narducci, poco prima della scomparsa, forse un mese prima, ma non ricordo con precisione quando, si presentò in ospedale con una fasciatura al braccio. Ricordo che non poteva utilizzare quel braccio tanto che si trovava in difficoltà nel lavoro. Il professor Narducci non poteva quindi svolgere gli esami di manometria, e quando qualcuno gli chiedeva cosa avesse fatto, rispondeva che era caduto. Non so dire se quella fasciatura fosse da ferita o da frattura, fatto è che il braccio lo teneva immobile” (vds verbale di S.I.T. rese da Lilli Gianlaura del 27.2.2004);
“Posso solo dire che il Narducci non muoveva il braccio e che diceva di essere caduto” (vds verbale di S.I.T. rese da Lilli Gianlaura del 3.3.2004);
Per Calamandrei:
“Ricordo aver visto mio marito Francesco(Calamandrei) con un graffio sulla guancia sinistra e con una ferita al braccio sinistro la mattina dopo il delitto degli Scopeti, tanto che gli dissi: “Sarai te il Mostro!”, lui mi disse che si era graffiato facendosi la barba e mi picchiò” (vds verbale di S.I.T. rese da Ciulli Mariella in data 4.10.2005);
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In altra occasione la Ciulli dichiarava:
“la mattina dopo (il delitto degli Scopeti)mi alzo e mentre esce dal bagno gli vedo dei graffi in faccia. Dice che si è tagliato con la lametta. Mentre s’infila la camicia, ne vedo altri sul braccio. Rido e gli chiedo se voleva per caso depilarselo”;
La Ciulli riferiva anche che il marito avrebbe avuto a che vedere con l’omicidio di una prostituta, verificatosi in via del Moro nel 1984 essendo stato chiamato da una persona con la quale aveva fissato di lì a poco un appuntamento in via del Moro a Firenze, dove dopo qualche giorno aveva appreso che proprio quella sera era stata uccisa a coltellate una prostituta.
Il 13.10.1984 veniva uccisa nella sua casa Meoni Luisa, residente in Firenze, via della Chiesa 42, per il quale delitto era stato sospettato Vinci Salvatore, mentre il delitto di via del Moro in realtà è quello ai danni di Giuliana Monciatti, anche lei prostituta, uccisa nel suo appartamento il 12.2.1982 con violente coltellate.
Probabilmente la Ciulli deve aver indicato erroneamente l’anno.
L’omicidio della Monciatti è rimasto ad opera di ignoti e in un servizio del giornalista Mario Spezi pubblicato su “La Nazione” il giorno 11.12.1988 dal titolo “Mostro identico coltello usato su due prostitute, esso veniva collegato alla vicenda del Mostro di Firenze. Lo Spezi a proposito dell’omicidio della Monciatti riferiva che in questa occasione l’assassino aveva preso la borsetta della vittima, ammazzata quattro mesi dopo un delitto del Mostro, ma non per rapina perché la borsetta non conteneva alcunché di valore o gioielli o denaro che furono trovati nell’appartamento. La borsetta scomparsa – spiegava il giornalista – rimanda direttamente e in maniera inquietante ai delitti del Mostro. In quasi tutti,
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infatti, anche se inspiegabilmente, è stato riscontrato che l’assassino aveva preso le borsette delle sue vittime in qualche caso ritrovate aperte a qualche centinaio di metri di distanza dal luogo dell’omicidio, più spesso mai rinvenute. Come Clelia Cuscito – altra prostituta uccisa a coltellate nella sua abitazione in via Orsini il 14 dicembre 1983, tre mesi dopo altro delitto del Mostro – rileva il giornalista – anche Giuliana Monciatti era stata assassinata per sadismo come rilevò l’esame ancora una volta fatto dal Prof. Maurri sulle 17 ferite riscontrate sul suo cadavere. Ancora oltre il giornalista scriveva: Ancora una considerazione accosta gli omicidi delle due prostitute a quelli del Mostro: furono tutti premeditati….perché se ne andrebbe a trovare una donna con un lungo coltello in tasca se non avesse già deciso di ucciderla? E quale altro movente può aver spinto l’assassino visto che non fu quello della rapina o quello occasionale scatenato da un litigio?.
Dalla nota della squadra mobile del 13.2.1982 relativa alla prima segnalazione dell’omicidio si rilevava tra l’altro che:
sul luogo del delitto ed indosso al cadavere nulla sembrerebbe mancante all’infuori di una borsa o di un grosso borsellino che la Monciatti sembrava essere solita portare con sé, normalmente contenente le chiavi degli appartamenti, dell’auto e i soldi che guadagnava, peraltro modeste somme. Nel cestino dei rifiuti del locale in uso alla nominata in oggetto sono stati rinvenuti nr. 3 profilattici apparentemente usati nella serata che, come richiesto dal Dr. Nannucci, sono stati consegnati all’Istituto di Medicina Legale.
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Per Zucconi:
GUIDOTTI Simone dichiarava:
“Preliminarmente voglio farvi presente che da tanto anni mi reco a Mercatale, paese d’origine di mio padre, e nelle varie occasioni ho raccolto da più parti discorsi che facevano riferimento esplicitamente al dottor Zucconi. Voglio altresì far presente che i discorsi sullo Zucconi di cui adesso vi parlerò circolavano pere tutta la gente del paese sin dagli inizi degli anni ’80 e, dopo il delitto dei due francesi, i discorsi da un piano di semplice sospetto passarono a qualcosa di più grave e circostanziato. Mi spiego adesso meglio. La gente del paese, nel commentare gli omicidi che venivano attribuiti al Mostro di Firenze, in un primo tempo indicavano lo Zucconi quale persona sospettabile che potesse avere a che fare con quegli omicidi. Dopo il delitto del 1985, ossia quello ai danni dei due francesi, lo Zucconi venne notato in paese con una grossa ecchimosi in volto, da lui giustificata come una caduta da cavallo del quale sport era appassionato. Il fatto che il francese ucciso fosse stato cintura nera di arti marziali fece immediatamente collegare una colluttazione tra i “mostri”di cui probabilmente lo Zucconi avrebbe fatto il capo banda e l’ecchimosi presentata dallo Zucconi nei giorni immediatamente successivi al duplice delitto. Il particolare fu da tutti interpretato come la prova regina del definitivo ed integrale coinvolgimento dello Zucconi nella vicenda del Mostro di Firenze. Ad ulteriore conferma dei precedenti sospetti si aggiunge il fatto da tutti conosciuto di ben due perquisizioni dell’abitazione subite dallo Zucconi. Se non ricordo male le perquisizioni sarebbero state effettuate una prima e l’altra dopo il delitto dei due francesi ed avrebbero avuto esito negativo…
Ricordo anche che, a proposito dell’interesse degli inquirenti sullo Zucconi, i paesani raccontavano che il fratello dello stesso avrebbe ricoperto importantissime cariche diplomatiche presso il Vaticano e con le sue conoscenze si sarebbe adoperato per tutelare il nome del fratello facendo in modo che i sospetti della giustizia non ricadessero sul dottor Zucconi.
Il dottor Zucconi Giulio era un ginecologo molto apprezzato ed affermato. Dalle informazioni raccolte in paese esercitava la libera professione sia a Firenze che saltuariamente nei dintorni di S. Casciano….
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Da come ho potuto capire le perquisizioni sarebbero state eseguite con tutta probabilità in una abitazione che lo Zucconi aveva nei pressi della strada di principale accesso alla piazza del paese di Mercatale.
A proposito sempre dello Zucconi voglio riferire la voce del paese secondo la quale il Pacciani fosse stato un commesso all’abitazione e servizi vari del dottor Zucconi. I paesani in ogni caso raccontavano che il Pacciani comunque conosceva ed aveva rapporti con lo Zucconi. Al riguardo ricordo che raccontavano che lo Zucconi fosse un amante di armi, soprattutto da sparo e che Pacciani provvedeva alla loro manutenzione”
(vds verbale di S.I.T. in data 29.11.1997).
Sullo Zucconi, è utile riferire anche altre dichiarazioni di testi che hanno fatto riferimento chi al suo rapporto – guarda caso – col Pacciani, sia al fatto che negli anni ’80 era stato sospettato dei delitti ed anche sottoposto a perquisizione domiciliare. Di quest’ultima circostanza si trovava un riscontro che, anche se indiretto, appariva particolarmente significativo.
SESTINI Franco affermava:
“Premetto che sono sempre stato appassionato di cavalli e parlando con lo Zucconi, lo stesso mi propose di accompagnarmi in Maremma ad acquistare un cavallo, in quanto lui stesso conosceva molto bene un mediatore del settore….Effettivamente poco dopo averlo conosciuto andammo insieme in Maremma dove acquistai una cavalla maremmana che per le prime due o tre settimane tenni nella villa dello Zucconi….Ricordo che parlando con lo Zucconi riguardo chi dovesse governare il cavallo quando fosse stato portato alla stalla di Montefiridolfi, lo stesso mi disse di non preoccuparmi assolutamente in quanto lui aveva una persona di sua fiducia che sicuramente avrebbe accettato di governare il cavallo durante la settimana, anzi fece il nome di tale “Pacciano”, che stava nella zona di Montefiridolfi. Infatti poco prima di condurre il cavallo nella stalla di mio cognato, io e lo Zucconi ci recammo insieme in una casa a Sant’Anna, ove lui scese dalla macchina e si recò
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all’interno dell’abitazione. Solo successivamente ho saputo che lì abitava Pacciani Pietro. Lo Zucconi rimase in casa per circa un quarto d’ora mentre io attesi in macchina. Al suo ritorno mi disse che il Pacciani, o meglio “Pacciano”, così lo chiamava, non era disponibile a governare il mio cavallo per cui andammo via….Posso dirvi che lo Zucconi era un tipo che definirei sbruffone- sopra le righe; si vantava di essere un grande conoscitore dei boschi della zona di Impruneta, Montefiridolfi e Mercatale, tanto che raccontava di uscire a cavallo per i boschi per due o tre giorni senza fare ritorno a casa. Si vantava inoltre di essere un grande cacciatore e proprio a tal proposito ho avuto modo di vedere nella sua casa numerosi fucili. Altro motivo di vanto dello Zucconi erano le sue performance con le donne, tanto che si definiva un donnaiolo, amante della bella vita. Aggiungo che non mi è sembrato un instancabile lavoratore, lavorava lo stretto necessario, ma poteva permetterselo anche perché era di ottima famiglia con un notevole patrimonio familiare.
Qualche anno più tardi, negli anni ’80, anche io, come un po’ tutto il paese, ho sentito delle voci sullo Zucconi che indicavano come possibile Mostro di Firenze, anche perché si faceva riferimento ad un chirurgo che sapesse usare il bisturi. Mi venne detto, anche perché all’epoca non frequentavo più lo Zucconi, che lo stesso avesse preso a ridere queste dicerie, tanto che alle sue clienti faceva la battuta “ti fai vedere la passera dal Mostro?”. Per quanto ne sappia, inoltre, la Polizia si interessò a lui anche con delle perquisizioni, e le voci che circolavano in paese riferivano che dopo ogni delitto attribuito al Mostro, le forze di Polizia si recassero da lui per rivoltargli casa” (vds verbale di S.I.T. rese in data 16.7.1998, dichiarazioni confermate anche in data 4.12.2000);
BINI Gino dichiarava:
“Sul dottor Giulio Zucconi si diceva in paese che questi era stato fermato o indagato per i fatti del Mostro, proprio poco dopo il delitto degli Scopeti. Anzi si diceva in paese che lo Zucconi proprio il giorno del delitto o il giorno dopo era passato a cavallo dagli Scopeti….Fisicamente era molto alto, di stazza robusta: posso inoltre dirvi che tutti dicevano che era impotente….Posso inoltre dirvi che Zucconi era amico del Pacciani già da molti anni. Dico questo in quanto sono a conoscenza che lo Zucconi aveva accompagnato un suo
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conoscente, Sestino Franco, dal Pacciani, affinché quest’ultimo gli governasse il cavallo. …Fu proprio il Sestini che mi disse di essere stato accompagnato dallo Zucconi a casa del Pacciani. L’impressione che ha avuto il Sestini è che lo Zucconi si conoscesse molto bene con il Pacciani” (vds verbale di S.I.T. rese in data 22.1.1998);
“Circa il fatto che dopo l’omicidio di Scopeti si diceva in paese che lo Zucconi era stato perquisito, non sono in grado di dire esattamente chi me lo riferì ma era una voce comune sicuramente vera, mi sembra che si dicesse che era stato fermato per qualche ora. Non ricordo se si parlava di perquisizione fatte dalla Polizia o dai Carabinieri. Posso solo dire, perché lei me lo chiede espressamente, che erano voci che riportavano fatti veri e non voci fatte tanto per sparlare” (vds verbale di S.I.T. rese da Bini Gino in data 11.12.2000);
TORRINI Orazio affermava:
“Nel corso degli anni ho avuto modo di conoscere il dottor Zucconi, morto da qualche anno, già da moltissimo tempo in quanto abitava proprio vicino al distributore, per cui lo stesso era solito venire da me per il rifornimento delle proprie auto….Ricordo che parecchi anni fa ho avuto modo di notare alcuni carabinieri che per circa 8/10 giorni hanno piantonato la villa dello Zucconi. Preciso che per due volte, per provare un’autovettura passai davanti alla villa ed in entrambe le occasioni vidi dei carabinieri che erano lì nei pressi del cancello. Voglio aggiungere, ma non ne sono sicuro, che in una di queste circostanze, notai che vi era il maresciallo comandante della stazione Carabinieri di Impruneta….Vorrei inoltre aggiungere che in quel periodo in paese si diceva che il dottor Zucconi era implicato nei delitti del Mostro e che utilizzava le parti del corpo femminili asportate alle vittime, per fare degli esperimenti…Penso che dall’episodio del piantonamento della villa da parte dei carabinieri alla morte del dottor Zucconi sono passati circa due anni”(vds verbale di S.I.T. rese in data 4.12.1997);
TORRINI Tiziano affermava:
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“intendo riferire quanto a mia conoscenza relativamente al Dott. Zucconi Giulio Cesare da me conosciuto in quanto cliente del distributore di mio padre e della sua officina meccanica….all’epoca dei delitti del cosiddetto “Mostro di Firenze” la gente in paese chiacchierava del fatto che lui c’entrasse qualche cosa infatti la gente diceva, in paese o al distributore, dove si raccolgono molte di queste chiacchiere, che lo Zucconi era sotto indagine o comunque controllato dalle forze dell’ordine, anche perché ricordo che all’epoca si parlava di un medico o meglio di un ginecologo…Mi ricordo che una sera di alcuni anni fa, presumo fossero gli anni che vanno dal 1984 al 1986, mentre tornavo a casa di ritorno da Prato, ove allora stava la mia attuale moglie, transitando sulla via Impruneta, nei pressi della villa del Dott. Zucconi, ho notato più volte autovetture ferme ed in particolare una sera d’inverno notai una Fiat Uno scura che quando passai mi sembra si mise a seguirmi. Ricordo che nella circostanza, erano forse l’una di notte, intimorito anziché fermarmi a casa ed aprire il cancello di accesso, proseguii sino alla piazza di Impruneta e poi visto che nessuno mi seguiva feci rientro a casa. Riferisco questo fatto perché pensai che si trattasse di una macchina in borghese o della polizia o dei carabinieri che stese tenendo d’occhio la casa del dottore e che pensavo mi volesse controllare e essendo la strada buia dissi a me stesso “se mi devo fermare almeno mi fermo in piazza”. Non sono a conoscenza del fatto che vi sia stata una grande perquisizione a casa dello Zucconi, ma so per sentito dire che fu controllato anche a casa” (vds verbale di S.I.T. rese in data 6.12.1997);
Agostini Ganucci Cancellieri Amadore affermava:
“Sentii parlare di più proiettili trovati nel parcheggio dell’Ospedale (Ponte a Niccheri) e di una serie di documenti acquisiti, rinvenuti all’interno di uno stipetto abbandonato dell’ospedale. Lo stipetto in sostanza era privo di indicazione come se non fosse in uso a nessuno in particolare. Ho sentito dire con certezza, nell’ambiente investigativo, probabilmente dai carabinieri, che vi erano diversi documenti con nomi di medici, tra cui il ginecologo Zucconi. Mi colpì questo nome perché in S. Casciano già si parlava dello Zucconi, quantomeno come un personaggio strano che qualcuno aveva sospettato dei
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delitti. Ricordo, in proposito, che nel 2000 o 2001 giunse agli investigatori, probabilmente ai carabinieri, un anonimo in cui si diceva che la pistola dei delitti del Mostro o parti di essa si trovavano all’interno della bara dove era stato sepolto lo Zucconi. Io attesi invano che venissero fatti accertamenti in proposito, ma non è mai successo nulla. Aggiungo che, a quanto ne so, nell’Istituto di Medicina Legale dell’Ospedale Careggi di Firenze, vi è ancora molto materiale acquisito in ordine alle indagini sul Mostro di Firenze e addirittura materiale che non sarebbe stato neppure consegnato, come parti di perizie del Prof. Maurri. Persone che frequentano l’Istituto mi hanno confidato che vi è molto materiale non esaminato” (vds verbale di S.I.T. rese in data 4.3.2006).
Zucconi Gaetano affermava:
“Premetto che per ovvi motivi le due vite, quella mia e di mio fratello Giulio, per questioni professionali si erano allontanate e non vi erano rapporti di frequentazione. Per il mio lavoro vivevo a Roma o all’estero essendo impegnato in carriera diplomatica. E quando tornavo a casa a trovare i miei genitori fermandomi di norma per il fine settimana, chiaramente con mio fratello ci vedevamo però non avevamo amicizie e frequentazioni in comune. So però da mia cognata che mio fratello aveva un ambulatorio mensile presso la farmacia del Dott. Calamandrei dove quindi si recava una volta al mese per ricevere i suoi pazienti. Io il Dott. Calamandrei non l’ho mai conosciuto…..Posso escludere categoricamente di aver conosciuto personalmente il Pacciani e la stessa cosa posso dire per quanto riguarda mio fratello sulla base di quello che mi ha detto mia cognata…Seguendo le notizie di stampa che riguardavano il Pacciani ho cercato di ricostruire i fatti della permanenza della mia famiglia a Mercatale e ho constatato che il Pacciani è andato ad abitare in quel centro dopo almeno sei anni che ci siamo trasferiti all’impruneta. Osservando una foto che ritraeva una casa del Pacciani mi è parso di capire che lui abitasse in quei vani che all’epoca del soggiornino della mia famiglia erano adibiti a pollaio. La casa di Mercatale era stata presa in affitto da papà che l’ha restituita al proprietario al momento della partenza. Credo che il proprietario o l’amministratore di quella casa fosse tale Sederini” (vds verbale di S.I.T. rese in data 10.11.2005).
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Sempre sul conto dello Zucconi si evidenzia:
♦ nel corso di un’attività di intercettazione telefonica, svolta su delega del P.M. fiorentino Dott. Canessa, sull’utenza 055-8303133, intestata al giornalista Giovanni Spinoso (P.P. n. 5047/95 e n. 3212/96), il 28 novembre 1997 veniva registrata una conversazione tra Marzia Rontini (moglie dello Spinoso e sorella di Pia Rontini, vittima del Mostro), durante la quale l’amica Foggi Gina riferiva:
“Sarà quello dell’Impruneta…gli è morto”
aggiungendo:
“questo tizio gli ha un fratello all’ambasciata…son gente che….pagan bene su i serio!”;
♦ il “fratello all’ambasciata” era Zucconi Gaetano, nato a S. Casciano V.P. il 9.2.1933, già ambasciatore italiano all’estero ed oggi in pensione.
♦ Lo Zucconi Giulio Cesare aveva svolto la propria attività di ginecologo anche nell’ambulatorio di Piazza Pierozzi di S. Casciano di proprietà di Francesco Calamandrei, così come confermato anche da una dipendente di quest’ultimo (vds verbale di Bagni Paola del 1.10.2003);
♦ La famiglia Zucconi, prima di trasferirsi ad Impruneta aveva vissuto in Mercatale in Via Sonnino 58, in una casa che confinava con il giardino di quella che poi diventerà l’abitazione del Pacciani;
♦ Agli atti della stazione CC di San Casciano vi era una nota datata 20.9.85, in cui lo Zucconi risultava in possesso di nr. 2 fucili, la cui detenzione era invitato a regolarizzare. Agli atti della stazione CC di Impruneta, invece, vi era una denuncia, a nome dello stesso Zucconi, datata 4.10.85, di possesso di nr. 3 fucili, nr. 1 revolver e nr. 1 carabina. Appare singolare che tale regolarizzazione si sia
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verificata pochi giorni dopo il duplice omicidio di Scopeti (8.9.85) pur essendo Zucconi residente ad Impruneta dall’anno 1958. Evidentemente in quel periodo (settembre 1985) lo Zucconi era stato sottoposto quantomeno ad un controllo di natura amministrativa sulle armi in suo possesso. (Ciò rappresenterebbe quel riscontro indiretto sulla perquisizione e/o comunque sul controllo delle armi di cui si è fatto cenno.)
♦ Agli atti della Squadra Mobile di Firenze risulta che Zucconi Giulio Cesare veniva esonerato dal servizio di leva ai sensi dell’art. 87 dell’elenco delle imperfezioni e delle infermità che erano causa di non idoneità al servizio militare PER GRAVI MALFORMAZIONI AL PENE, PERDITA TOTALE O PARZIALE DELLO STESSO. MALATTIE CHE COMPROMETTONO LE SUE FUNZIONI.
Delle persone sopracitate, Calamandrei appartiene al gruppo sanguigno “A”, come pure allo stesso gruppo apparteneva il Narducci, mentre si ignora il gruppo sanguigno a cui apparteneva lo Zucconi Giulio Cesare.
Degli altri soggetti, implicati nei delitti di cui trattasi, Vanni appartiene al gruppo “A”, Lotti apparteneva al gruppo “0” come pure il Pacciani.
FATTI VERIFICATISI NEI GIORNI IMMEDIATAMENTE SUCCESSIVI ALL’ULTIMO DELITTO.
– LETTERA INDIRIZZATA ALLA DOTT.SSA DELLA MONICA.
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Per la prima volta gli assassini davano un preciso segno di loro inviando un macabro messaggio alla Dott.ssa Silvia Della Monica, all’epoca, Pubblico Ministero della Procura di Firenze.
Era il 10 settembre 1985.
Al suddetto magistrato perveniva infatti una missiva, costituita da una busta bianca da lettere con timbro:
“San Piero a Sieve”
datata 09.09.1985 (il giorno dopo il duplice omicidio) con indirizzo:
“Dott. Della Monica Silvia Procura della Repubblica 50100 Firenze”
redatto con ritagli di stampa. Al suo interno c’era un foglio di carta piegato a mo’ di busta di colore bianco contenente a sua volta un frammento di busta di cellophane, nel quale era custodito un frammento di tessuto adiposo di origine umana.
La busta da lettera, di uso comune, recava al suo interno le scritte “Supermill” e “ICCI TOLMEZZO”, indicative della fabbrica e faceva parte di una linea di prodotti molto comune, che era distribuita su scala nazionale attraverso una rete di grossisti. L’indirizzo sulla busta era stato compilato con lettere ritagliate da un giornale periodico per il quale era stata impiegata carta di qualità non elevata.
Per la chiusura della busta e per l’applicazione del francobollo era stata utilizzata colla in aggiunta a quella originale apposta in fase di fabbricazione. Per la chiusura della busta e per l’incollaggio lungo i margini del foglio rinvenuto nella busta stessa era stata impiegata colla con composizione chimica analoga a quella
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della colla in tubetto marca “UHU extra”. Per l’applicazione del francobollo e delle lettere di giornale era stata utilizzata colla a base di destrina. Il frammento di sacchetto in materiale plastico trasparente aveva una composizione chimica analoga a quella di gran parte dei sacchetti o buste in materiale plastico reperibili in commercio.
La Polizia Scientifica riusciva a mettere in evidenza nove frammenti d’impronte sulle superfici cartacee e nessuna traccia di saliva.
Per quanto riguarda il materiale organico contenuto nel frammento di busta di cellophane esso risultava essere:
“tessuto adiposo di origine umana con quadro corrispondente a quello di ghiandola mammaria in stato di riposo, del tutto analogo ai tessuti corrispondenti alla mammella sinistra di Nadine Mauriot”.
L’invio della missiva col macabro reperto sembrava un segnale di sfida degli assassini agli inquirenti.
– PROIETTILE ALL’OSPEDALE DI PONTE A NICCHERI.
La notte tra il 9 ed il 10 settembre 1985 veniva rinvenuto a terra nel parcheggio, sito nei pressi dell’ingresso del Pronto Soccorso, dell’Ospedale SS. Annunziata di Ponte a Niccheri, un proiettile calibro 22 con impressa sul fondello la lettera “H”. A rinvenirlo era tale BECATTINI Mario, dipendente dell’ospedale.
Quest’ultimo dopo aver consegnato il reperto al Sov. di P.S. PIERI Giotto, suo conoscente, in data 17.09.1985 si recava in Procura spiegando di averlo
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rinvenuto nel piazzale riservato al parcheggio delle auto degli infermieri e degli handicappati.
La Polizia Scientifica, Sez. Balistica, comunicava che gli accertamenti tecnici avevano consentito di acclarare che il proiettile in questione faceva parte della medesima partita di quelli utilizzati dall’autore del delitti del c.d. “Mostro di Firenze”.
Le indagini in merito a tale rinvenimento, sviluppate anche con la perquisizione ,disposta dalla Procura di Firenze in data 26 settembre 1985 ed eseguita il 27 settembre 1985, dei locali di medici ed infermieri del citato nosocomio, si concludevano con esito negativo.
Su tale operazione, giova richiamare un articolo a firma di Mario Spezi pubblicato su La Nazione il 1.10.1985 dal titolo:
“Mostro: scoperta inquietante negli armadietti di Ponte a Niccheri”,
nel quale si legge:
La pista dell’Ospedale dell’Annunziata a Ponte a Niccheri è confermata, ma nella maniera più strana e interlocutoria che gli investigatori potessero aspettarsi. Durante la perquisizione di giovedì notte in un armadietto è stata trovata una strana lista di nomi: sono quelli delle persone sospettate in occasione dei precedenti delitti del Mostro ma che non finirono sui giornali. Nomi di medici, di professionisti, di uomini al di fuori della professione medica con annotato accanto indirizzo e numero di telefono. Chi ha compilato questa lista che poteva essere nota solo agli investigatori e perché? Come ha fatto l’autore a conoscere quei nomi?
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Giova richiamare altresì quanto dichiarato sul punto da Amadore Agostini e di cui già si è riferito (rinvenimento di un elenco di nominativi di sospettati, tra i quali figurava quello di Zucconi).
Agli atti dell’ex SAM relativi a quell’operazione di P.G., non veniva trovato riscontro positivo a quanto sopra esposto.
– LETTERA DA PERUGIA AL DOTTOR VIGNA.
In data 01.10.1985 perveniva da Perugia una missiva, con timbro postale 28.09.1985, indirizzata al Dr. Vigna presso la Procura della Repubblica di Firenze col seguente contenuto:
Ill.mo Signor Magistrato,
l’annuncio di cui mi sono permesso di inviarLe un copia appare ormai con irritante periodicità da almeno sei sette mesi sul giornale di annunci gratuiti Cerco e trovo di Perugia.
Io per carattere sono una persona molto tollerante e che se ne frega altamente di ciò che fanno gli altri, ma quando la gente eccede troppo allora non sopporto più. E’ ben ora che questa signora che sarà pure bellissima, la smetta di rompere i c…. ai lettori di Perugia!
A ben vedere poi questa non è altro che una puttana che sfrutta i “generosi intenditori” che altro non sono se non i ricchi scemi…
Io per guadagnare (onestamente) un milione e poco più devo lavorare sodo per un mese; questa per far vedere il c…. a degli imbecilli psicopatici fa i soldi a palate in poche ore e la storia va avanti da mesi. Non crede signor Magistrato che sarebbe ora di farla smettere ??? Io credo di sì. Ora decida Lei se intervenire o no!
Distinti ossequi da un intenditore non… generoso!
In fondo alla lettera vi erano le copie di due annunci:
“AUTORITARIA e bellissima amante calze nere e giarrettiere si esibisce privatamente per generosi intenditori. Scrivere indicando indirizzo e
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affrancando con L. 700 Fermo posta Firenze centrale Passaporto n. F623965” e “SIGNORA bellissima amante calze nere e giarrettiere si esibisce privatamente per generosi intenditori. Scrivi ti invierò una foto. Affranca con L. 700. Fermo posta Firenze centrale Passaporto n. F623965”.
La missiva recava una firma a forma di sigla manoscritta.
Il Dott. Farroni Ferruccio in data 19.06.2003 escusso a verbale, al momento in cui gli veniva mostrata la lettera anonima, dichiarava:
Riconosco con assoluta certezza l’inizio. E’ proprio l’inizio della firma di Francesco Narducci. In questo foglio la firma è a mo’ di sigla mentre normalmente lui firmava per esteso. L’inizio, che è proprio caratteristico, ripeto è proprio quello di Francesco. In particolare, mi riferisco alla lettera “F”che, prima ancora di vedere il foglio che mi avete mostrato, ho riportato sul foglio che vi mostro e che come potete constatare è proprio simile. Devo precisare però che lui normalmente firmava per esteso.
Su questa missiva non risultano effettuati accertamenti tecnici, anche di natura biologica, per rilevare eventuali tracce di saliva sulla busta.
– LETTERE RECAPITATE AI DOTTORI VIGNA, FLEURY E CANESSA.
Quest’invio verosimilmente ha rappresentato l’ultimo segnale degli assassini agli inquirenti.
Venivano recapitate due missive indirizzate rispettivamente al Dr. Fleury Francesco ed al Dr. Canessa Paolo, con timbro d’entrata della Procura della Repubblica di Firenze 01.10.1985, mentre una terza missiva era destinata al Dr.
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Pier Luigi Vigna e recava il timbro postale 05.10.1985 – Firenze. Le buste erano tutte prive di francobollo. Le loro dimensioni erano analoghe a quelle della busta indirizzata alla Dott.ssa Della Monica. Sulle tre buste il nome e l’indirizzo dell’intestatario venivano riportati mediante dattiloscrittura. All’interno delle buste vi erano:
♦ un ritaglio fotocopiato del quotidiano “La Nazione” del 29/09/1985, raffigurante i volti dei magistrati Dr. Vigna, Dr. Fleury e Dr. Canessa;
♦ un ritaglio fotocopiato dello stesso giornale, riproducente la scritta “ALTRO ERRORE DEL MOSTRO. La notte del delitto tutte le strade erano controllate e la sua auto potrebbe essere stata segnalata da un casellante…”
♦ un proiettile calibro 22 L.R. Winchester tipo “H” racchiuso in un dito asportato da un guanto di gomma, a sua volta custodito in un foglietto di carta bianca, piegato in due e fissato con graffette metalliche.
Le tre buste erano tra loro identiche ed erano state chiuse impiegando esclusivamente la colla apposta dal fabbricante. Al loro interno c’era il marchio di fabbrica che includeva la parola “ICCI”.
Si accertava che dette buste erano dello stesso tipo commerciale di quella indirizzata alla Dott.ssa Della Monica e che provenivano dalla industria cartaria, mentre si differenziavano dalla prima busta per la morfologia del marchio di fabbrica e facevano parte di una linea di prodotti riservata ai magazzini Upim, in confezioni da 10 o 20 buste e fogli.
I tre foglietti rinvenuti nelle buste indirizzate ai Magistrati Dr. Fleury, Dr. Canessa e Dr. Vigna erano simili tra loro per composizione e caratteristiche
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esteriori della carta. Quest’ultima si differenziava dalla carta del foglio rinvenuto nella busta indirizzata alla Dott. ssa Della Monica per le caratteristiche esteriori.
Le fotocopie tratte dal quotidiano “La Nazione” erano state ottenute con una macchina che impiegava carta comune, toner in polvere ed era dotata di fissaggio per presso – fusione. La carta dei foglietti rinvenuti nelle buste con tutta probabilità era carta per fotocopie analoga a quella impiegata per le fotocopie tratte dal quotidiano “La Nazione”.
Le tre dita di guanto erano tra loro simili per caratteristiche morfologiche e per la composizione chimica del materiale costituente. Detto materiale si differenziava da quello costituente i due guanti interi per le caratteristiche morfologiche, mentre era simile ad esso per la composizione chimica.
Le tre dita di guanto provenivano da uno o più guanti di misura più grande di quella che caratterizzava i due guanti interi (quelli rinvenuti sul luogo dell’ultimo duplice omicidio insieme al fazzolettino intriso di sangue).
Sui lembi delle buste indirizzate ai tre Procuratori della Repubblica erano state evidenziate tracce di saliva che, analizzate in laboratorio dalla Polizia Scientifica,
erano risultate appartenere al gruppo “A”,
il gruppo sanguigno – giova ripeterlo – uguale a quello di Vanni, di Calamandrei e di Narducci.
Sulle tracce di saliva all’epoca, oltre ad aver rilevato l’appartenenza a soggetto con gruppo sanguigno “A”, non era stato eseguito alcun altro tipo di analisi perché probabilmente in quel momento non era ancora possibile risalire al DNA;
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cosa, questa, invece realizzabile nella seconda metà degli anni ottanta in altri Paesi europei e, in particolare, in Inghilterra.
Dopo questo episodio del “Mostro di Firenze” non si ha più nessun segnale e non colpirà più in futuro, pur non essendo stati gli assassini individuati, essendosi acquisiti elementi utili per la loro identificazione solo a distanza di anni: nel 1989 con Pacciani e nel 1996 con i suoi complici.
Dopo l’ultimo segnale però si verificava la scomparsa, proprio a distanza di qualche giorno dal recapito dei proiettili di cui si è detto, di Francesco Narducci secondo circostanze e modalità che per tanti anni sono rimaste avvolte dal più rigoroso mistero e che solo recentemente è stato possibile dipanare.
PARTE TERZA
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1. ALTRI OMICIDI
– Duplice omicidio ai danni di Vinci Francesco e Vargiu Angelo
– Duplice omicidio ai danni di Malatesta Milva e del figlio Mirko
– Omicidio ai danni di Mattei Milvia
– Morte di Pietro Pacciani
2. IPOTESI ESOTERICA
ALTRI OMICIDI INTERESSANTI
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Nel corso degli anni si registravano omicidi ai danni di persone comunque riconducibili alla vicenda del “Mostro di Firenze” che sono rimasti ad opera di ignoti.
In tutti questi casi, nella fase della loro esecuzione, si riscontravano tentativi di una vera e propria messinscena al fine presumibile di fuorviare le indagini. Detti omicidi, peraltro, si verificavano in momenti topici dell’inchiesta e, più specificatamente, durante le indagini e il processo di primo grado nei confronti di Pietro Pacciani.
Si tratta dei seguenti casi:
– DUPLICE OMICIDIO AI DANNI DI VINCI FRANCESCO E DI VARGIU ANGELO.
I due cadaveri, quasi interamente carbonizzati, venivano rinvenuti il 07.08.1993, all’interno del bagagliaio di un’autovettura Volvo 240/D targata FI K03380 intestata al Vinci, in località Castagnolo del Comune di Chianni (PI).
Dal verbale di sopralluogo dei carabinieri, si rilevava:
“…questo sottufficiale, unitamente ai militari sopra indicati, si portava in località Cerrone di Chianni, dove un’autovettura era in fiamme….Si appurava trattasi di autovettura di grossa cilindrata, di colore imprecisato, situata in una scarpata distante dalla strada sovrastante circa 20 metri, sul lato destro della medesima, ed ancora parzialmente in fiamme, avente la parte anteriore schiantata contro un albero di grosso fusto e con inclinazione di circa 80°. …Sul manto stradale della predetta via asfaltata, già prima dell’inizio della via sterrata, venivano rinvenute chiare tracce di sangue, già essiccate, continue e a distanza irregolare tra di loro per circa 300 mt. sull’asfalto; le stesse
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proseguivano sullo sterrato fino al punto ave la vettura è poi precipitata nella scarpata; quivi veniva rilevata la presenza di una macchia di sangue più ampia rispetto alle altre. Alcune di dette tracce ematiche rinvenute su dei sassi della strada, aventi dimensioni varie, sono state opportunamente repertate…L’ispezione del veicolo, praticamente del tutto divorato dal fuoco, consentiva di accertare che: le portiere erano regolarmente chiuse; il portellone della bauliera posteriore si presentava aperto con all’interno due corpi umani completamente carbonizzati ed irriconoscibili, posti in posizione orizzontale e parallela guardando dal retro della vettura;entrambi i cadaveri avevano la testa dal lato sinistro rispetto all’osservatore in posizione supina; il corpo più vicino all’osservatore aveva la mano dx sporgente dal bordo della bauliera; uno dei cadaveri apparteneva certamente a persona di sesso maschile a seguito del rinvenimento, sul fondo del vano, dei genitali;…i residui di cui al punto 3) si trovavano all’interno della bauliera e sono stati verosimilmente adoperati per immobilizzare una delle vittime, precisamente quella più vicina all’osservatore considerato che per il loro prelievo si è reso necessario strapparli dal cadavere;….in ordine alla posizione del cadavere sito nella metà superiore della bauliera, si specifica che lo sesso giaceva posto sul suo fianco sinistro, rivolto verso i sedili posteriori; le braccia, prive delle mani, erano entrambi irrigidite verso la schiena per cui si presume che la vittima sia stata legata con qualcosa andato distrutto nell’incendio; nell’ispezione dei luoghi circostanti il veicolo non sono stati rinvenuti contenitori recanti tracce di sostanze infiammabili. Negativo è stato anche l’esito della ricerca di tracce ed elementi utili alle indagini eseguite dopo la rimozione dell’autovettura”.
Vinci Francesco era stato inquisito per il duplice omicidio ai danni di Locci Barbara e di Lo Bianco Antonio, avvenuto in località Castelletti di Signa nella notte tra il 21 ed il 22 agosto 1968. Poi era stato inquisito, insieme al fratello Salvatore, anche nell’ambito delle indagini sul duplice omicidio del 19.6.1982 ai danni di Mainardi Paolo e Migliorini Antonella avvenuto in località Baccaiano di Montespertoli. Si trovava detenuto quando venivano uccisi i due giovani
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tedeschi (settembre 1983) e tale delitto lo scagionava. A lui, nel processo Vanni + 3, faceva riferimento Lotti Giancarlo allorché, a proposito del delitto del 1983, spiegava che era stato compiuto per far uscire una persona dal carcere, così scagionandola, indicata per l’appunto in Vinci Francesco.
Giova ricordare ancora le dichiarazioni di Sgangarella Giuseppe e quelle di Calamosca Giovanni.
Sgangarella, che aveva trascorso un periodo di codetenzione con il Vinci, dichiarava:
“Iniziò a dirmi che lui stava pagando per gli amici, che lo avevano abbandonato e, a tal proposito, mi fece il nome di Pacciani ed iniziò a parlarmi di questi, che io all’epoca non conoscevo ancora. Mi disse che se lui avesse parlato un giorno sarebbe finita male…Vinci piangeva spesso, diceva che lo avevano abbandonato e temeva di essere ucciso dai suoi amici…”( vds verbale del 10.06.1996);
Calamosca Giovanni, amico, frequentatore di Francesco Vinci, di cui aveva favorito la latitanza, raccontava:
“Alcuni giorni prima che il Vinci fosse arrestato a casa mia (avvenuto il 15.8.1997), Vinci venne a casa mia a chiedermi d’interessarmi perché, tramite mie conoscenze a Milano, gli procurassi un passaporto per andare all’estero. In quell’occasione, con tono molto preoccupato, mi disse che doveva andare all’estero perché non voleva mettere una famiglia nella merda. Nel dirmi ciò, anche se non me lo spiegò chiaramente, mi fece capire che la sua preoccupazione riguardava quei delitti del Mostro. Preoccupazione, sempre da come ebbi modo di capire, che era determinata dal fatto che Vinci evidentemente ricattava la persona a cui aveva dato la pistola utilizzata in quei delitti e da questo ricatto aveva avuto dei problemi….L’unica spiegazione che riesco a darmi, soprattutto per aver visto le serie preoccupazioni del Vinci per le vicende del Mostro e per
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aver saputo del fatto del ricatto, è che il Vinci sia stato ucciso proprio per evitare sia che continuasse a ricattare chiedendo soldi sia che, essendo diventato un ubriacone, potesse raccontare i suoi segreti” (vds verbale del 13.3.1997).
– DUPLICE OMICIDIO A CARICO DI MALATESTA MILVA E DEL PICCOLO MIRKO.
La donna ed il figlioletto di tre anni venivano ritrovati carbonizzati all’interno dell’autovettura Fiat Panda targata FI F08335, intestata alla Malatesta, in località Poneta, nel Comune di Barberino Val d’Elsa in data 20.8.1993. A circa dieci metri dall’autovettura veniva rinvenuta una tanica da lt. 5 in plastica trasparente, priva di tappo, recante sulla superficie tracce di sostanza presumibilmente ematica; dal suo interno proveniva un caratteristico odore di carburante.
L’autovettura, capovolta in una scarpata, mostrava chiari segni di combustione. All’interno dell’abitacolo erano riconoscibili i resti carbonizzati di due corpi: un adulto ed un bambino.
Da un sommario e preliminare esame dei resti, estesamente e gravemente carbonizzati, non era stato possibile individuare vistosi segni o reperti di lesioni traumatiche vitali a carico delle vittime.
L’esame autoptico del cadavere della Malatesta ed il successivo controllo istologico dei frammenti d’organo non avevano messo in evidenza alcun reperto indicativo della causa della morte. Era comunque possibile affermare con buon margine di certezza che l’azione delle fiamme si era esplicata su un corpo già inanimato.
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Considerazioni ben diverse dovevano invece farsi sulla causa della morte del bambino, che pur non presentando neanch’egli significativi fatti traumatici degli organi, o loro porzioni, risparmiati dalle fiamme, rivelava un intenso deposito di materiale fuligginoso e di nero-fumo nelle vie aeree ed un altissimo tasso di carbossiemoglobina nel sangue, segno evidente che era vivo al momento in cui, nell’abitacolo della vettura su cui si trovava, si erano sviluppate le fiamme.
Milva era la figlia di Sperduto Maria Antonietta e di Malatesta Renato (quest’ultimo trovato impiccato, ma con i piedi che toccavano per terra!). La Sperduto, pochi giorni prima che fosse trovato morto il marito, si era trasferita con un altro uomo nell’abitazione in Via di Faltignano, confinante con quella del mago Indovino (Salvatore, convivente della Filippa Nicoletti), luogo frequentato da Vanni e Pacciani e dove si consumavano orge e messe nere.
La Sperduto, nel processo a carico di Pacciani e in quelli dei suoi complici, riferiva di rapporti sessuali, piuttosto particolari, avuti, talvolta anche costretta fisicamente, con Pacciani e Vanni (vds verbale del 7.3.1996);
Sgangarella Giuseppe riferiva:
“Che io sappia l’amante del Pacciani era la moglie di Rubino (Milva Malatesta). So questo per avermelo detto lo stesso Pacciani, il quale appunto nelle confidenze fattemi mi disse che faceva l’amore con la moglie di un certo Rubino e che aveva avuto dei problemi che non mi precisò con questa donna” (vds verbale del 20.6.1996);
Calamosca Giovanni , parlando delle frequentazioni di Vinci Francesco, tra le altre, faceva riferimento ad una prostituta, incontrata in una circostanza insieme al Vinci in un ristorante di Barberino. Descriveva la donna, poi riconosciuta, a
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seguito di individuazione fotografica, proprio per la Milva Malatesta. (vds verbale del 13.3.1997);
Nicoletti Filippa dichiarava che la Malatesta era stata l’amante anche del suo convivente, Salvatore Indovino (vds verbale del 6.2.1996).
– OMICIDIO AI DANNI DI MATTEI MILVIA ANNA.
Il suo corpo veniva rinvenuto semi-carbonizzato con un laccio al collo nella sua abitazione del Comune di San Mauro a Signa il 29.5.1994.
L’assassino aveva strangolato la donna con due pezze di stoffa, poi aveva appiccato il fuoco al materasso sul quale giaceva il corpo esanime, molto probabilmente per cancellare tracce ed impronte.
La Mattei, ex prostituta, ospitava da diverso tempo Fabio Vinci, figlio di Francesco Vinci e, negli ultimi tempi anche Tudori Marinella, amica della vittima, che aveva una relazione con il Fabio Vinci ed era diventata amica, nei giorni precedenti al delitto, anche di Sgangarella Giuseppe. Per detto episodio veniva processato e prosciolto il predetto Sgangarella.
Lo Sgangarella, parlando della Mattei, dichiarava:
“Non so dire quali fossero i fatti relativi al Mostro di Firenze, di cui la Mattei Milvia diceva di essere a conoscenza, aggiungendo che li voleva riferire al magistrato. Queste cose la Mattei me le disse la sera del mercoledì quando la conobbi, approfittando del fatto che la Tudori Marinella era uscita. In breve mi disse che si sentiva in pericolo e mi pregava di avvisare di ciò i suoi figli Rindi, che erano in carcere con me a Sollicciano pregandomi di avvertirli subito al mio rientro” (vds verbale del 2.10.1996).
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Certo è che i delitti sopra citati presentano aspetti davvero singolari.
Si tratta, infatti, di persone legate tra di loro da rapporto di frequentazione, di amicizia, di coabitazione e che a loro volta erano legate a personaggi coinvolti nella vicenda del “Mostro”.
In relazione a queste vittime, vanno richiamate le pagine 6 e 7 del memoriale che Pacciani aveva indirizzato all’A.N.S.A. in data 5 gennaio 1996:
“…come questo anonimo che ha mandato 22 lettere alla magistratura. Ora a favore, ora contrario, ora si spaccia prof. di paratomia, poi poliziotto, poi esperto nelle armi e tira a segno. Ha spedito proiettili ai magistrati, lettera con pelle, lettera a Della Monica, accusando ora quello ora l’altro, minacciando la magistratura…POI ALTRI 5 OMICIDI MENTRE IO ERO ARRESTATO E SONO VINCI E BAGGIU BRUCIATI E INCAPRETTATI IN UNA MACCHINA, POI L’AMANTE DI VINCI , WILMA MALATESTA E IL FIGLIO MIRCO, PURE LORO BRUCIATI IN MACCHINA SEMPRE NEL MUGELLO, POI ANCORA A FIRENZE IN UNA PENSIONE LA MAZZEI CHE DAVA CAMERA A PAGAMENTO ED ERA L’AMANTE DI VINCI, FU STRANGOLATA, POI UN’ALTRA DONNA ANCORA ALTRO FATTO CHE PER TRE VOLTE FU SPEZZATO LA CROCE DELLA POVERA RONTINI E DATO FUOCO.. poi fu mandato 32 lettere impostate a S. Piero a Sieve, minacce di morte ai miei avvocati ecc.. ecc… e io sono in carcere ed è la solita mano, è sempre questo pazzo che ha fatto tutto questo..”;
Un articolo della Repubblica del 6 gennaio 1996 riportava le dichiarazioni del Pacciani:
“Il vero mostro ha ammazzato altre cinque volte mentre io ero in carcere”;
altri articoli analoghi venivano pubblicati su La Nazione, su Firenze Mattina ed il Giorno ed un mese dopo di nuovo su La Repubblica.
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Secondo Pacciani quegli omicidi erano stati realizzati da quello che lui definiva “il vero mostro” , e ciò appare verosimile sia per le circostanze sopra riferite, sia perché degli autori nulla è emerso nel corso delle rispettive indagini.
– LA MORTE DI PIETRO PACCIANI.
Pacciani non era di certo il “VERO MOSTRO”, che lui doveva aver conosciuto, così come si intuisce ragionevolmente dai messaggi criptici lanciati in più occasioni e così come si desume dal fatto che insieme ai compagni di merende , Lotti e Vanni, aveva partecipato all’esecuzione materiale relativa all’uccisione delle vittime degli ultimi quattro delitti.
Ma, oltre a ciò, che lui sapesse la verità sui delitti e, quindi, anche l’identità di colui che aveva definito “VERO MOSTRO” è testimoniato dalla sua stessa morte:
l’ultimo vero mistero della vicenda del “Mostro di Firenze”.
Alcune circostanze sono apparse da subito alquanto strane, e precisamente:
♦ la posizione del cadavere: era riverso per terra, bocconi, semi nudo nella parte dell’addome in giù, i pantaloni erano abbassati tanto da lasciar scoperto buona parte del sedere e la maglia alzata, una posizione che difficilmente avrebbe potuto assumere se si fosse trattato di una caduta spontanea;
♦ lo stato dei luoghi: la porta d’ingresso e le finestre erano state trovate tutte quante spalancate, e ciò appariva sospetto perché era solito starsene ben chiuso
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in casa, soprattutto quando incominciava ad imbrunire, (sul punto sono abbastanza precise le testimonianze dei vicini di casa e, in particolare, quella di:
Ivana Bussotti che, sentita il 23.2.1998 dai carabinieri di San Casciano dichiarava:
“…solitamente il Pacciani Pietro si ritirava in casa verso le ore 18.30 e notavo ciò in quanto chiudeva la porta di casa e le persiane delle finestre…l’ultima volta che ho visto Pietro Pacciani è stata venerdì 20 scorso. Erano le 18.30-18.45 circa. Era quasi buio e notavo che come era sua abitudine stava chiudendo la porta di casa e le imposte: dopo di allora non l’ho più rivisto. Sabato 21 scorso ho notato verso le 9.30 che le imposte e la porta di casa erano chiuse, ma la cosa era normale. Poi la sera, verso le 18.30, ho notato che la porta era aperta. La cosa mi stupì un po’, ma non detti importanza. A volte il Pacciani si comportava in modo strano. Domenica 22 corrente, la mattina, verso le 7-7.30, dalla finestra della mia cucina ho avuto modo di vedere che la porta di casa del Pacciani era sempre aperta, così come l’avevo vista la sera precedente. Mi stupì di ciò, ma continuai nelle mie faccende. Poi nel corso della mattinata avevo sempre modo di vedere tale situazione, ma non ho mai visto il Pacciani. Era sua abitudine stare in giardino. Mi stupì la completa assenza di rumori. Solitamente lo si sentiva anche tossire e verso le ore 12.00 feci presente tale cosa al mio vicino Rosati Rolando.).
Dall’esame autoptico risultava che l’ora della morte era stata intorno alle 22,30 del 21.2.1998 in un orario in cui quindi normalmente tutte le aperture avrebbero dovuto essere chiuse;
♦ la morte era stata causata da “insufficienza cardiaca con edema polmonare in recente infarto del miocardio in soggetto con cardiomegalia per ipertrofia ventricolare sinistra e sfiancamento globale di cuore” come risulta dalla relazione di consulenza tecnica depositata dal Prof. Giovanni Marello in data 28.4.1998;
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♦ successivi approfondimenti medico – legali sui liquidi biologici prelevati dal cadavere e conservati in stato di congelamento, disposti dal P.M. di Firenze, nel mese di ottobre 2001 e affidati ai medici tossicologi Francesco Mari e Elisabetta Bertol, consentivano di accertare che aveva assunto un medicinale a base di formoterolo, e cioè una sostanza che era assolutamente controindicata rispetto alle patologie di cui era affetto (diabete e problemi cardiocircolatori). Si stabiliva, quindi, che quel medicinale avrebbe causato o concausato uno squilibrio delle cellule del miocardio con conseguente forte aritmia e infarto. In buona sostanza si sarebbe trattato di una morte non naturale, ma indotta dall’assenza dei normali farmaci che Pacciani avrebbe dovuto assumere e dalla presenza di un farmaco controindicato. In una recente partecipazione televisiva dei due consulenti ad una trasmissione condotta da Corrado Augias, la Bertol, senza mezzi termini, ha asserito che Pacciani era stato ucciso;
♦ All’atto dell’intervento dei carabinieri nella casa di Pacciani, veniva constatato che: le due porte di ingresso erano aperte così come quella della cantinetta posta nel giardino di casa, le luci erano spente, la cucina era in completo disordine, per terra c’erano stick di pillole di medicinali, la camera da letto presentava il letto disfatto da un lato e non era illuminato da una luce artificiale;
♦ nel corso della perquisizione domiciliare, veniva rinvenuto un medicinale contenete il formoterolo fumarato, denominato “Eolus” aerosol, che ha come indicazioni “ la prevenzione e il trattamento del broncoplasmo in pazienti che broncopneumopatie ostruttive, quali asma bronchiale e bronchite cronica” e
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come controindicazioni: “non deve essere utilizzato dai pazienti con malattie cardiache e/o della tiroide”, mentre nelle precauzioni d’impiego è previsto che “è opportuno che i pazienti diabetici eseguano periodici controlli della glicemia”. Un medicinale che era controindicato per i problemi cardiocircolatori e per il diabete di cui era affetto;
♦ il medico di Pietro Pacciani, la dottoressa Anna Maria Gambassini, sentita in merito al rinvenimento di una sua ricetta, nella quale figurava la prescrizione dell’Eolus Spray (due scatole – unica ricetta trovata nelle copie agli atti di questo medicinale, di cui però nelle foto delle medicine trovate in casa risultano tre scatole!), riconosceva come propria la ricetta con data 19.4.1997, ma spiegava di non ricordare di avere mai prescritto quel farmaco al Pacciani, né medicinali per la respirazione nell’ultimo periodo di vita del Pacciani. La stessa poi spiegava che l’ultima volta che si era recata a visitare il paziente si era accorta che respirava male, ma non gli prescrisse alcun farmaco spray, né gli disse di prendere un simile farmaco per la respirazione, ma gli aveva consigliato il ricovero e di prendere un diuretico;
♦ Sul quotidiano “La Nazione” del 1.4.2001, alla pagina IV della cronaca di Firenze, veniva pubblicato un articolo dal titolo “Pacciani, l’autopsia parla” nel corpo del quale venivano riferite dichiarazioni attribuite dall’articolista a tale Celso Barberi, meglio conosciuto come “il pittore dell’Appennino”. In particolare, si diceva:
“una testimonianza potrebbe rivelarsi interessante, seppur tutta da verificare. Celso Barberi, meglio conosciuto come il pittore dell’Appennino, ha raccontato che parlò al telefono con Pacciani poche ore prima che morisse. Lo volevo
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salutare, ricorda, era più di un mese che non lo sentivo. Fu sbrigativo perché mi disse che aveva un erborista in casa e che aveva da fare con lui. Un erborista? Sì, mi disse così, parlava con un accento toscano”
L’utenza telefonica di Pietro Pacciani (055-821140) all’atto della sua morte era sotto controllo telefonico e, precisamente, l’attività tecnica aveva coperto l’arco di tempo dal 30.8.1997 ore 19.03 al 26.2.1998 ore 19.03 e dal relativo brogliaccio non risultava assolutamente la telefonata di cui parlava il Barberi. Le ultime telefonate erano del giorno 20.2.1998 (il venerdì precedente al decesso) e sono state le seguenti: la n. 430 delle ore 19.31, con la quale veniva offeso da un interlocutore ignoto e lui contraccambiava le offese, la n. 431 delle ore 21.46 relativa ad uno scherzo. L’ultima telefonata precedente era delle ore 12.16 del 14.2.1998, risultando così che negli ultimi sei giorni di vita non ha fatto né ricevuto telefonate. Non risultava pertanto alcuna telefonata di Celso Barberi, così come da questi affermato, per cui, se effettivamente c’era stato un contatto telefonico, esso deve necessariamente essere avvenuto mediante altra utenza telefonica, magari fatta su un cellulare di chi si trovava con Pacciani e che “parlava toscano”, ma in questo caso il Barberi doveva pur conoscerlo e, forse per non metterlo in mezzo, aveva preferito far credere che l’avesse chiamato sull’utenza di casa non sapendo che questa era sotto controllo. Oppure ancora il Barberi aveva mentito tirando in ballo la presenza di un erborista per motivi che si sconoscono. Il Barberi in realtà aveva il numero telefonico del Pacciani perché risultavano conversazioni telefoniche registrate tra i due in epoca antecedente,
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come pure risultava che il Pacciani in una occasione lo ospitò per la notte insieme ad una certa Maria nella casa che aveva accanto alla sua.
Nei giorni ancora precedenti Pacciani riceveva numerose telefonate da anonimi, con le quali veniva offeso o gli venivano fatti scherzi.
Da un riesame del brogliaccio in questione, risultavano conversazioni con Suor Elisabetta che si preoccupava delle condizioni di salute di Pacciani e con Gagliardi che si interessava delle sue vicende personali, nonché le seguenti telefonate:
n. 26 delle ore 20.18 del 10.9.1997: una certa Antonietta lo chiamava chiedendogli se era interessato a fare un corso di computer;
n. 31 e n. 34 del 14.9: una certa Alessandra Ottieni, che si definiva critica d’arte, lo chiamava dicendogli che era interessata ai suoi disegni. Le rispondeva che i disegni li avevano Cannella e Gagliardi e forniva l’indirizzo e numeri di telefono di costoro;
n. 40 delle ore 14.34 del 19.9: Pacciani chiamava Gagliardi e gli riferiva della critica d’arte Ottieni che voleva fare un libro e che, almeno così si capiva, gli era stata mandata da quelli di Roma;
n. 96 delle ore 02.40 del 6.10: chiamava Suor Elisabetta e le diceva che andava da Don Gino Capannossi chiedendole se poteva andare con lui;
n. 154 e n. 156 delle ore 17.27 e 17.28 del 24.10: chiamava la dottoressa Gambassini e rispondeva la segreteria telefonica;
n. 158 delle ore 17.31 del 24.10: Alessandra Ottieni chiamava un medico per un controllo alla glicemia di Pietro. In sottofondo si sentiva la voce di Suor Elisabetta;
n. 159 delle ore 17.40 del 24.10: Alessandra Ottieni cercava il dottor Marini e le rispondevano di non conoscerlo;
n. 160 delle ore 17.43 del 24.10: Alessandra Ottieni cercava il dottor Magherini, ma le rispondevano che non era presente;
dal 25 al 29 ottobre vi erano telefonate dalle quali si capiva che in quel periodo era stato ricoverato;
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1.11: chiamava la guardia medica per farsi portare le medicine;
11.11: si lamentava con Gagliardi perché questi gli aveva mandati a casa dei giornalisti di “Visto” per intervistarlo;
5.12 : parlando con Suor Elisabetta, riferiva di sospettare il fidanzato della figlia Rossana come l’autore delle telefonate anonime offensive;
6.12 ore 12.26: ordinava il vino al Francioni, quest’ultimo riferiva che gliel’avrebbe portato il martedì successivo;
n. 279 delle ore 12.01 del 7.12: un uomo gli chiedeva di Zanobini, lui si arrabbiava;
n. 283 delle ore 8.05 del 9.12: Pietro contattava Sergio e chiedeva a che ora sarebbe andato da lui, questi rispondeva verso le 11.30-12.00;
n. 290 delle ore 19.26: Elisa gli chiedeva se voleva fare un corso di computer;
n. 303 delle ore 18.14 del 21.12: con Suor Elisabetta si lamentava del fatto che si era sentito male alla Coop ed era caduto per terra e che soffriva d’insonnia, si lamentava anche della camera sporca e che non aveva più visto il parroco;
n. 307 delle ore 9.37 del 25.12 : cercava la dottoressa Gambassini;
n. 309 delle ore 9.46 del 25.12: cerca la….(8228335) dicendo che era urgente, ma non rispondeva nessuno, aveva il respiro pesante;
n. 311 del 25.12: chiamava il 118 dicendo di sentire un forte dolore al petto, gli veniva mandata la guardia medica;
n. 312 delle ore 12.16 del 25.12: telefonava Gagliardi, rispondeva la guardia medica che riferiva che il Pacciani non voleva andare in ospedale;
n. 313 delle ore 12.53 del 25.12: Gagliardi telefonava e Pietro comunicava che era stato male quella notte e che aveva un’infiammazione alle vie urinarie per via del peperoncino, Gagliardi gli riferiva che la scarcerazione di Vanni era a…(inc.);
il 24.1 sia Rolando che la suora non riuscivano a convincerlo ad andare in ospedale;
n. 396 delle ore 17.03 del 3.2: una donna telefonava chiedendo se la signora era in casa, lui rispondeva di no;
n. 409 delle ore 12.03 del 14.2: chiamava l’ufficio postale di Mercatale per riferire che si sarebbe recato a riscuotere la pensione il lunedì mattina;
n. 424 delle ore 15.33 del 14.2: Barberi Celso telefonava a Pacciani per informarsi del suo stato di salute, questi rispondeva di essere a “fare le medicine …di fare con le erbe…c’ho le erbe..”, dopo discutevano del tempo e Pacciani diceva: “gli
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fo la medicina a quest’omo qui…aspetta se no va via…poi gli ha furia..” ( dall’attività risulta quindi che Pacciani aveva un ospite per le erbe il 14 febbraio, e non già il giorno prima della sua morte, come dichiarato dal Barberi). IL Barberi, sentito il 4 aprile 2001, confermava la circostanza della telefonata fatto il giorno prima della morte del Pacciani e, nell’occasione, riferiva di aver assistito a un episodio verificatosi nella piazza di Mercatale tra il Pacciani e un pittore (un grande artista che esponeva i suoi quadri nel bar della piazza). Al riguardo spiegava: “Un giorno Pacciani tirò per il dito questo pittore all’interno di un bar lì nella piazza. Un giorno Pacciani tirò per il dito questo pittore ma in maniera così dura da avergli fatto male tanto che a me dispiacque e litigai con Pacciani. Pacciani contestava a questo artista il fatto che questi a suo dire lo controllava quando Pacciani stava vicino alle donne lì nelle piazze dove abitavano le figlie del Pacciani”;
♦ Sul quotidiano “Il Giornale della Toscana” del 1° aprile 2001, alla pagina 3, venivano pubblicati più servizi sulla morte di Pacciani, tra cui un’intervista a Suor Elisabetta dal titolo:
“aveva paura di essere ucciso”.
Nell’intervista, la suora riferiva che Pacciani aveva paura che qualcuno, notte tempo, entrasse nella sua casa, e questo soprattutto dopo la sua scarcerazione. Poi, più specificatamente, alla domanda dell’intervistatore se Pacciani, quando era stato dimesso dall’ospedale, avesse paura, la suora rispondeva:
“Certo! Anzi, le dirò di più. Io non vorrei fare confusione con le date, ma dopo la seconda scarcerazione degli anni 90, mi raccontò che una volta, in quel periodo, un signore alto, vestito di nero, aveva suonato al campanello della sua casa. Pacciani era uscito a vedere chi fosse, ma lui questo signore non lo conosceva. Pacciani non aprì il cancello, non lo fece entrare. Eppure quel signore alto, così mi raccontò Pacciani, lo minacciò: “mi ha detto cose minacciose”, mi confidò Pacciani”.
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In conclusione la suora spiegava che Pacciani non le aveva detto chi fosse quel signore perché non lo aveva riconosciuto, ma le aveva atto presente che si trattava di “una persona piuttosto elegante”;
♦ Tra il materiale sequestrato nell’abitazione del Pacciani durante la perquisizione eseguita dopo la sua morte, era stato rinvenuto un biglietto manoscritto, verosimilmente da lui stesso, col seguente contenuto:
“28 giugno 1992 – Madonnina del Rosario e Divino Gesù, Voi lo sapete che sono innocente da queste accuse infami che mi fanno, aiutatemi, non ho nessuno a cui rivolgermi, mi vogliono uccidere, porgi la tua mano protettrice sui nemici cattivi, Ave o Maria;
♦ L’Associazione Vittime dell’Ingiustizia in data 22 febbraio 1998 (lo stesso giorno in cui si è appreso della morte di Pacciani) inviava via fax a “La Nazione” un comunicato stampa dal titolo “Vicenda Pietro Pacciani – la misteriosa morte di Pietro Pacciani”, nel quale tra l’altro si leggeva:
“La settimana scorsa in una concitata comunicazione telefonica avvenuta tra il sig. Pietro Pacciani e il ns Segretario Nazionale Giacomo Fassino, l’anziano agricoltore di Mercatale Val di Pesa aveva espressamente richiesto aiuto all’A.V.I. per la tutela della sua incolumità. Pietro Pacciani, durante questa sua accorata conversazione telefonica, aveva esternato il suo forte timore di essere nel mirino di “forze occulte determinate ad eliminarlo fisicamente per chiudere in maniera definitiva la vicenda relativa al Mostro di Firenze”.
Giacomo Fassino, Segretario Nazionale della citata associazione, sentito il 2.3.1998, dichiarava di essersi interessato in passato della vicenda giudiziaria di Pacciani, ma negava di aver messo in giro le frasi riportate nel comunicato stampa, negando di aver avuto recenti contatti con Pacciani. Una sconfessione,
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quindi, di un documento della citata Associazione che qualcuno, che evidentemente aveva forti perplessità sulle reali cause di morte di Pacciani, doveva pur aver redatto.
L’IPOTESI ESOTERICA.
Una serie di circostanze di fatto, ricorribili in quasi tutti i delitti della “serie” omicidiaria fiorentina, insieme ad alcune emergenze investigative acquisite sia nell’inchiesta fiorentina, sia in quella di Perugia, sembrerebbero condurre verso un’ipotesi esoterica – magica degli omicidi del cosiddetto “Mostro”. E ciò , ove dovesse trovare conferme, potrebbe finalmente fornire una plausibile spiegazione a quel tipo particolare di uccisioni con le macabre asportazioni di parti del corpo umano e di conseguenza al vero movente degli omicidi stessi.
Le circostanze di fatto, riscontrate nei delitti, sono in particolare:
– le particolari condizioni meteorologiche (i delitti furono eseguiti in giornate festive o prefestive, da giungo a settembre – quindi, non in periodo invernale – con la luna nella fase del novilunio);
– le vittime furono tutte sorprese in atteggiamento intimo in auto;
– le vittime furono uccise utilizzando sempre la pistola (forse sempre la stessa) e sempre un’arma bianca, come se la ripetitività delle identiche armi
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fossero state una condizione necessaria ed imprescindibile per il particolare significato di quegli omicidi;
– per alcune vittime furono profanate o la tomba (nel caso della Pettini) o le croci affisse sul luogo dell’uccisione (nel caso Rontini – Stefanacci, più volte);
– In ordine al duplice omicidio ai danni di Jean Michel Kravechvili e Nadine Gisele Janine Mauriot, il Commissariato di Polizia di Sesto Fiorentino, in data 17.9.2001, inviava alla Squadra Mobile la nota del 1.10.1985, diretta al Dir. della Squadra Mobile dell’epoca, con la quale veniva trasmessa una relazione di servizio dell’I. P. Picarella, redatta in pari data, relativa alla consegna presso quell’ufficio, da parte di tale Ceri Andrea, di un proiettile per pistola calibro 22, recante impressa sul fondello la lettera “H”, proiettile, che era stato rinvenuto dal predetto Ceri alle ore 15 di quel giorno in una zona boschiva prospiciente la via Carmignanello del Comune di Sesto Fiorentino, vicino ad un mucchio di sassi su cui era stata fissata una croce fatta con due ramoscelli. Nella occasione, così come risulta dalla relazione del citato ispettore, si riferiva che il Ceri si era recato nella zona del rinvenimento per constatare se fosse stato manomesso un mucchio di sassi, dallo stesso notato alcuni giorni prima e che, secondo la sua convinzione, avrebbe potuto avere qualche riferimento a fatti religiosi o altro. Nella nota di trasmissione della relazione, si faceva altresì presente che, dalla località in questione, erano stati allontanati da una guardia venatoria volontaria, tale Zoppi Gianni, i due cittadini francesi Jean Michel Kravechvili e Nadine Gisele Janine Mauriot qualche giorno prima che gli stessi venissero uccisi in località Scopeti di
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San Casciano. Si faceva, a tal proposito, presente che, in data 10.9.1985, la suddetta circostanza era stata riferita al Dirigente Regionale della Criminalpol.
In data 21.9.2001, sempre il Commissariato di Sesto Fiorentino, su richiesta della Mobile, trasmetteva la nota, esistente in quegli atti, relativa alla trasmissione al Dirigente della Criminalpol del verbale di sommarie dichiarazioni testimoniali, rese in quell’ufficio dal citato Zoppi Gianni.
Nel citato atto, redatto il 10.9.1985, alle ore 9, quest’ultimo, impiegato postale, Guardia venatoria volontaria alle dipendenze della Federcaccia, riferiva che i due cittadini francesi, uccisi a San Casciano, ed i cui volti aveva visto sul giornale “La Nazione” di quel giorno, erano stati allontanati da lui e da un suo collega, tale Cellai Francesco, durante un servizio di vigilanza venatoria in via di Carmignanello, intorno alle ore 7,15 del 4.9.1985, in quanto erano accampati in uno spiazzo, frequentato da coppie, dove vigeva il divieto di campeggio imposto dal Comune di Sesto Fiorentino. Aggiungeva che, prima di allontanarsi dal posto, aveva constatato che i due turisti effettivamente avevano tolto la tenda, allontanandosi. Dichiarava, altresì, nella stessa zona, nei giorni precedenti, aveva notato una moto di grossa cilindrata di colore bianco, presumibilmente di marca BMW o Moto Guzzi, targata sicuramente Firenze, con due borse laterali, alla cui guida vi era un uomo di circa 55 anni, di robusta costituzione, alto un metro e 75, viso tondo, carnagione scura. Precisava al riguardo che sarebbe stato in grado di riconoscere quell’uomo.
Il predetti Zoppi non veniva risentito perché, nel frattempo, era deceduto.
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Il giorno 1.10.2001, venivano acquisite informazioni dal Ceri Andrea. Che dichiarava:
– che nel 1985 praticava il volontariato come guardia giurata volontaria per conto della Federcaccia, con compiti tra l’altro di controllo delle zone di ripopolamento e cattura di Monte Morello, insieme ad un collega, Zoppi Gianni, deceduto verso la fine degli anni 80- inizi anni 90;
– che nei primissimi giorni del mese di settembre 1985, lo Zoppi gli aveva riferito di aver allontanato da una piazzola due persone, campeggiatori abusivi, poi dallo stesso riconosciute nelle foto dei due cittadini francesi uccisi;
– che lo Zoppi gli aveva riferito che, entrato in contatto con la Polizia, si era recato con alcuni operatori nella piazzola in questione, ove avevano rinvenuto tracce dei due francesi (lattine di birra francese e pacchetti vuoti di sigarette di marca francese);
– che, qualche giorno prima del delitto, si era recato ad eseguire un controllo nella zona boschiva di via di Carmignanello, ove erano solite appartarsi le coppiette. Nella circostanza, aveva notato una struttura fatta con sassi e pietre di forma circolare e, poco distante, altre analoghe costruzioni, all’interno delle quali c’erano bacche e/o ramoscelli di alberi di circa 15cm posizionati all’interno. Precisava che si trattava di un vero e proprio mosaico, costruito accuratamente con pietre di dimensione media/piccola incastrate tra di loro, di forma circolare e di diametro di 90 cm precise, così come aveva accertato utilizzando una ruota metrica in suo possesso;
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– che la zona in questione era da lui conosciuta come zona “sacra” con riferimento al fatto che era stata utilizzata dagli Etruschi come luogo mortuario, tanto che a poche centinaia di metri in linea d’aria si trovavano le tombe etrusche “La Montagnola” e “La Mula”;
– che, incuriosito di tale rinvenimento, si era rivolto ad una signora di Sesto Fiorentino, conosciuta per le sue conoscenze esoteriche, tale Gasperini Rosetta. Costei, invece di dargli una risposta, gli aveva consegnato un libro del ‘700, scritto in francese o latino, affinché trovasse in esso, da solo, la risposta alla sua curiosità. In effetti, all’interno del libro, aveva trovato una figura umana che aveva catturato la sua attenzione per il fatto che su di essa vi erano sovrapposti dei cerchi del tutto simili a quelli da lui rinvenuti. Nell’occasione della restituzione del libro alla Gasperini, questa gli aveva detto che quella figura faceva riferimento ad un rito di magia nera;
– che, successivamente, in altra occasione, era andato sul posto con un poliziotto di Sesto Fiorentino, tale Lombardi Vittorio, il quale, con una pala, aveva scavato all’interno di uno dei cerchi rinvenendo una porzione di pelliccia che, in base alla sua esperienza di cacciatore, poteva attribuirsi ad un animale e probabilmente a quella di un gatto;
– che, in altra occasione ancora, era tornato sul posto sempre con lo stesso Lombardi e con un altro poliziotto, tale Picarella, fotografando le circonferenze dei cerchi. Successivamente, sempre in compagnia dei suddetti poliziotti, si era recato nel luogo ove erano stati uccisi i due francesi, per verificare se fossero presenti anche in quel posto dei segni simili, ma l’esito era stato negativo;
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– che, qualche giorno dopo, era tornato nuovamente sul posto del rinvenimento dei cerchi spinto dalla curiosità e, in questa occasione, durante le ricerche, aveva rinvenuto, all’interno di una macchia di vegetazione che dava proprio sulla piazzola, ove erano solito intrattenersi le coppiette, una specie di postazione ben nascosta dalla quale era possibile vedere senza essere notati. In questo posto, aveva trovato una cartuccia calibro 22 con impressa sul fondello la lettera “H”, integra nelle sue parti e senza segni di ruggine od altro, tanto che aveva dedotto che si trovasse lì da poco tempo. Precisava che aveva portato detta cartuccia al Commissariato di Sesto Fiorentino, consegnandola al Picarella, al quale aveva raccontato ciò che aveva scoperto. Precisava altresì di non esser stato preso a verbale né in quella occasione, né nelle altre;
– che aveva consegnato le foto, da lui scattate e sviluppate, con i relativi negativi, a Picarella o a Lombardi;
– che della scoperta della “stanza” di arbusti e del ritrovamento della cartuccia, a parte il Commissariato, ne erano a conoscenza la sua ex moglie, Robalti Maria, e l’attuale sua compagna Goretti Giuliana, mentre, ad eccezione dello Zoppi, nessuna altra guardia volontaria era a conoscenza delle sue scoperte;
– che, nell’anno 1992, aveva inviato un fax al dott. Perugini, così come risultava in questi atti, a seguito di notizie di stampa che riportavano l’invito della Polizia ai cittadini a collaborare. Precisava che, dopo l’invio del fax, era stato contattato telefonicamente ed in modo fugace da qualcuno della Questura, che in seguito non si era fatto più sentire;
– che era in grado di indicare i luoghi di cui aveva parlato.
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Cellai Francesco, assunto a verbale in data 1.10.2001, confermava il controllo dei due turisti francesi, eseguito da lui stesso e dallo Zoppi nel corso di un servizio antivenatorio in uno slargo, che si raggiungeva percorrendo la strada Carmignanello e che si trova vicino all’allora villa Marini. Precisava che la zona in questione era notoriamente conosciuta come zona frequentata da guardoni, che spiavano coppie in intimità.
A seguito di sopralluoghi, effettuati dalla Squadra Mobile, in data 1.10.2001, insieme al Ceri Andrea e, in data 3.10.2001, insieme al Cellai Francesco, veniva localizzata la piazzola in questione e i luoghi, ove era stata rinvenuta la cartuccia cal. 22 ed i cerchi fotografati dal Ceri.
In data 3.10.2001, veniva assunta a verbale Gasperini Rosetta, appassionata di esoterismo. Che riferiva:
– che, qualche giorno prima dell’uccisione dei due turisti francesi, il Ceri Andrea le aveva consegnato 4 foto polaroid, che aveva scattato in una zona vicino a Monte Morello, allo scopo di dare una interpretazione di quello che raffiguravano;
– che, per interpretare quelle foto, oltre alle sue conoscenze esoteriche, si era avvalsa di un libro che, nell’ambito della sua famiglia, si erano tramandati di generazione in generazione. Precisava che si trattava di un libro del 1812 o del 1814, scritto in parte in latino, in parte in francese ed in parte in italiano;
– che, a suo giudizio, l’interpretazione delle foto, che spontaneamente consegnava alla Squadra Mobile, era la seguente: il cerchio chiuso rappresentava l’unione di due persone e cioè la coppia; il cerchio aperto rappresentava invece
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l’individuazione della coppia; il cerchio con le bacche e la croce rappresentava invece l’uccisione della coppia;
– che aveva riferito al Ceri tale sua interpretazione, manifestandogli le sue preoccupazioni per qualcosa di brutto che stava per accadere;
– che aveva prestato il libro al Ceri, il quale poi le aveva fatto notare che al suo interno esisteva, a tutta pagina, la figura di un uomo, ritratto in piedi, a braccia e gambe aperte, ricoperta di cerchi concentrici che, secondo la sua interpretazione, toccavano i punti vitali della persona. Precisava di aver riferito al Ceri che quella figura afferiva a riti esoterici;
– che avrebbe cercato il libro in questione per consegnarlo;
– che, insieme alle foto, conservava un foglietto di carta a quadretti, sul quale vi era disegnata una figura geometrica, notata nel libro e che aveva riportata su quel pezzo di carta. Precisava che si trattava d una figura composta da nove cerchietti, collegati tra di loro da linee.
In data 5 ottobre 2001, veniva sentito a verbale Picarella Carmine, Ispettore Superiore attualmente in servizio presso la Questura di Prato ed all’epoca dei fatti presso il Commissariato di Sesto Fiorentino. In tale sede, il teste confermava di aver verbalizzato il 10.9.1985 il sig. Zoppi Gianni, nonché il contenuto di quelle dichiarazioni, che gli venivano rilette. Confermava altresì la circostanza della consegna da parte del Ceri della cartuccia calibro 22 recante sul fondello la lettera “H” presso il Commissariato di Sesto Fiorentino; cartuccia che, insieme alla relazione, così come risultava dagli atti, aveva trasmesso superiormente. Lo stesso dichiarava di non ricordare se era stato a suo tempo insieme al Ceri sul
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posto, ove erano stati allontanati i due francesi, così come non ricordava se, sempre insieme al Ceri, fosse stato agli Scopeti, over erano stati uccisi i due turisti, né la circostanza della consegna da parte del Ceri delle foto che costui aveva scattato sul posto.
Sempre il giorno 5 ottobre 2001, veniva sentito a verbale Lombardi Vittorino, Ispettore Capo, in servizio presso il Commissariato di Sesto Fiorentino. Costui, con ricordi piuttosto sfumati, ricordava però di essersi recato in località Carmignanello unitamente al Ceri, ove aveva avuto modo di notare un cerchio costituito da una serie di sassi di diametro di circa un metro, all’interno del quale vi erano dei pezzettini di legno bruciato e, secondo i suoi ricordi, forse anche dei pezzettini di ossa. Precisava che aveva avuto l’impressione che si trattasse dei resti di un bivacco. Dichiarava altresì di non ricordare se il Ceri avesse scattato delle foto, come pure di non ricordare se il Ceri gli avesse consegnato delle foto. Confermava poi il racconto ricevuto a suo tempo dallo Zoppi sui due francesi e la circostanza di essersi recato insieme ad un collega, forse il Picarella, nella località dove i due turisti erano stati uccisi.
In data 7 ottobre 2001, veniva risentito a verbale il Ceri Andrea. In questa sede, precisava:
– che aveva rinvenuto i cerchi in un raggio di 50 metri intorno alla piazzola di cui aveva parlato ad una decina di metri uno dall’altro. Precisava di averli misurati e fotografati, prima con la polaroid in dotazione per l’attività che svolgeva all’epoca e, poi, con una macchina fotografica normale. Aggiungeva, a proposito di queste ultime foto, che il rullino da 24 o 36 l’aveva fatto sviluppare
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sicuramente da un fotografo di Sesto Fiorentino con esercizio vicino alla propria abitazione od al proprio negozio di Sesto e che aveva consegnato a suo tempo sia le foto che i negativi alla Polizia di Sesto Fiorentino. Quest’ultimo ufficio, a sua volta, per come aveva appreso successivamente, aveva mandato il tutto in Questura;
– che il proiettile cal. 22, a suo tempo rinvenuto e consegnato alla Polizia, era stato da lui trovato in un posto collocabile nella macchia di cui aveva parlato tra il secchio e l’uscita del cunicolo;
– che, quando nel 1992 aveva inviato il fax alla Questura, lo aveva fatto per rispondere ad un appello apparso sul quotidiano “La Nazione” con cui la Polizia invitava chi aveva notizie sulla vicenda del Mostro a farsi sentire. Precisava di aver ricevuto quella stessa sera o la sera seguente una telefonata dalla Questura, forse proprio da parte del dott. Perugini, che lo aveva interpellato ed al quale aveva fatto presente che aveva scattato all’epoca le foto su quella piazzola che aveva segnalato;
– che la zona di via Carmignanello non rientra negli itinerari turistici, ma può, invece, considerarsi come luogo per passeggiate domenicali da parte della gente del posto;
– che, nel posto di cui aveva parlato, né in precedenza all’episodio narrato, né successivamente, aveva mai notato persone colà accampate, essendo quel posto luogo frequentato da coppie della zona.
Il significato esoterico, inoltre, aveva costituito oggetto di studi sulla vicenda effettuati da personale del Sisde, già all’epoca dei fatti (anni 1984 – 1985).
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In tali elaborati, rinvenuti solamente negli ultimi tempi ed in conseguenza dell’effettuazione di specifiche attività di polizia giudiziaria, veniva sottolineato proprio il significato esoterico dei duplici omicidi e si fornivano le spiegazioni. Detti elaborati non erano mai pervenuti agli inquirenti dell’epoca, così come risultò dal riscontro eseguito in atti.
Più in particolare, si tratta degli studi, eseguiti dal Prof. Bruno e da questi consegnati all’allora Direttore del Servizio e dello studio di tale Teresa Lucchesi, quest’ultimo datato Firenze 28.9.1985.
Altri significativi elementi fattuali sono rappresentati dal fatto che quasi tutti i personaggi coinvolti nelle vicende in questione avevano un qualche interesse al tema della magia.
Infatti:
– Pacciani e Vanni frequentavano la colonica del mago Indovino dove si praticavano riti esoterici e, in particolare, di magia sessuale (vds dichiarazioni di Ghiribelli Gabriella del 27.12.1995, pag. 3, e dell’8.2.1996, in particolare pag. 5, di Sperduto Maria Antonietta del 7.3.1996 a proposito dei riti di magia nera ed orge a casa di Indovino Salvatore, di Silvia Del Secco del 9.7.1994 a proposito delle doti del Mago Indovino per preparare i filtri d’amore);
– Riscontri oggettivi venivano rinvenuti nel corso delle perquisizioni a carico di Pacciani e di Calamandrei, che dimostrano in maniera inequivoca l’interesse dei due per il mondo dell’occulto (vedasi, in particolare, il cartellone acquisito in data 11.6.1990 nel corso di una perquisizione domiciliare, a carico del Pacciani e, poi, sequestrato dal P.M. in data 19.7.1991, perfettamente simile
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a quello di cui parlava la Ghiribelli per averlo notato nella casa dell’Indovino e gli appunti sulla magia nera rinvenuti in altra perquisizione a carico dello stesso Pacciani, quali: il testo “Pericolo di Morte”, distribuito dalla libreria “Evangelica /CLG” sita in Firenze, via Ricasoli 97/r, nei quali si parlava proprio di magia; gli appunti, manoscritti, su “Magia Nera”; l’opuscolo “Satanismo”; il volume intitolato “Dominio sui demoni” di H.A. Maxwell White; l’annotazione su un’agenda del 1968 “guaritore di dolori reumatici mago Cancelli Foligno” e, per Calamandrei, i numerosi oggetti e annotazioni manoscritti trovati).
Riferimenti esoterici e, in particolare, al satanismo, emergevano anche nelle indagini su Narducci.
Oltre a quelli già citati, relative alle minacce subite da Dorotea Falso e di cui si è detto a proposito dell’avvio dell’inchiesta, giova ricordare le dichiarazioni di Benedetti Ferdinando, storiografo, che dichiarava:
“Sono uno storiografo e in particolare studio sin dal 1974 la massoneria nella sua evoluzione dal 1861 ad oggi in particolar modo a Perugia….quando scomparve il gastroenterologo Francesco Narducci….andai a consultare il mio archivio anche in considerazione del fatto che ero a conoscenza che il padre fosse iscritto alla Massoneria, Loggia Bruno Bellucci di Perugia…A quell’epoca mi posi una domanda che è: “perché quando una persona muore in modo violento non viene effettuata l’autopsia?”….In particolare , quello che mi balzava alla mente era dato dalla mancata spiegazione ella non effettuazione dell’esame autoptico e così volli verificare chi fosse all’epoca il Procuratore Capo ed il Sostituto che avevano autorizzato la sepoltura. Verificai che si trattava del Dr. Nicola Restivo e del Dr. Centrone…Andai subito a vedere se Restivo fosse iscritto a qualche loggia ed accertai che il suo nome non era ricompreso tra la mia documentazione però parlando con alcuni amici e/o conoscenti…Mazzerioli Paolo…e Germini Francesco….entrambi alla mia
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domanda tesa a conoscere chi fosse il Dr. Restivo, risposero in tempi diversi, con un sorriso e senza proferire alcuna parola…”
(vds verbale del 31.10.2002);
Il giorno dopo riferiva:
D: Dove, quando e da chi ha sentito parlare dell’appartenenza del Narducci ad una setta esoterica denominata “Rosa Rossa”?
R: ricordo di averne sentito parlare in occasione di un matrimonio di una mezza parente di mia moglie avvenuto nei pressi di Piegare, sicuramente quando ancora il Narducci era vivo…mi ricordo che ciò avvenne al pranzo matrimoniale e che io stavo seduto insieme a mia moglie che allora era la mia fidanzata…Ricordo che quando andammo a trovare a sposa prima della cerimonia, vidi un mazzo di rose rosse su un vaso ed una di queste aveva solo il gambo. Chiesi dove fosse finita la rosa e la mamma della sposa mi disse che il mazzo era arrivato così. Durante il pranzo mi sono ritrovato vicino un signore che mi aveva visto la mattina mentre parlavo con la mamma della sposa del mazzo di rose commentando che le rose rosse non si mandano ai matrimoni e l’uomo rispose che forse la rosa mancante era stata tatuata nel braccio di qualcuno. Quel mazzo di rose l’aveva visto già in mattinata in quella casa prima di andare in chiesa e fu per questo che durante il pranzo venne fuori il discorso della “Rosa Rossa”…”
(vds verbale del 1.11.2002);
In altra occasione precisava:
“Ricordo che la mattina del matrimonio, recatomi a casa della sposa con mia moglie e mia suocera, notai al centro del salone un mazzo di rose rosse poggiato sul tavolo dentro un vaso. Una delle rose aveva solo lo stelo. Io rimasi alquanto meravigliato di quell’omaggio floreale in quanto oltre al fatto del bocciolo mancante, il mazzo era ancora avvolto in una confezione di cellophane….Mentre ne parlavo con mia suocera, da un gruppo di giovani uomini, a me comunque sconosciuti, uno di essi parlando con altri in maniera da farsi sentire da me e da mia suocera, commentò: “la può trovare su un braccio”, riferendosi chiaramente al bocciolo mancante. Mentre parlavo così con mia suocera ricordo
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che la stessa era particolarmente agitata, mentre parlava con sua cugina Elena, madre della sposa. Chiestole il motivo di tale turbamento la mamma della sposa mi disse di essere molto adirata col marito,Dr. Mario Agostini, perché aveva ascoltato quest’ultimo mentre parlava con il gruppo di ragazzi, fra cui ritrovava quello che aveva fatto il commento sul bocciolo, per organizzare una successiva seduta spiritica e registrare la voce dei morti come erano soliti fare….notai che il ragazzo che aveva fatto il commento sull’assenza del bocciolo e sulla possibilità di trovarlo su un braccio, si trovava seduto a un tavolo con altri coetanei tutti maschi, mentre gli altri tavoli erano misti, con ragazze alcune delle quali piuttosto avvenenti come ad esempio la cugina di mia moglie Pia. Suo marito, il Dr. Lepri era su quel tavolo di tutti maschi. Allorché Egle, sorella della sposa, passò presso il nostro tavolo per soffermarsi con noi, le chiesi chi fosse il giovane, seduto nel tavolo di tutti maschi, che aveva fatto quell’affermazione che io ascoltai nella casa alla mattina e che comprendeva la storia del bocciolo; lei rispose in tono molto animato che quelli erano gli amici di mio cognato, che in seconda battuta specificò essere il Dr. Lepri marito della sorella Maria Pia, sul conto del quale iniziò una serie di epiteti quali: “…..massone…depravato…violento…”…diversi anni dopo e precisamente dopo il giugno 1986, perché all’epoca trasferii la mia residenza in via Pievaiola,mi capitò di accompagnare mia moglie e sua sorella Linda a casa di Egle….ricordo che durante la conversazione Egle disse di aver saputo da ambienti massonici che otto medici perugini e dell’area di Chiusi erano oggetto di indagini in relazione alla vicenda del cosiddetto Mostro di Firenze e che tutti facevano parte della setta ella Rosa Rossa….Continuando a parlare delle indagini sugli otto medici, Egle osservò che tanto avrebbero insabbiato tutto in quanto vi era di mezzo la massoneria….Un anno dopo, ho sentito fare gli stessi riferimenti alla setta della Rosa Rossa, secondo quanto riferitomi da alcuni massoni che avevano partecipato alle riunioni delle logge aventi per ordine del giorno la questione Narducci…..da parte di diversi massoni sentii dire che Narducci Francesco apparteneva dal 1974 in poi, nell’ultimo periodo dell’università, alla setta della Rosa Rossa nella quale aveva raggiunto il grado di custode e che aveva un appartamento nei dintorni di Firenze che divideva con un suo amico di Sinalunga…”
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D: Cosa può dirci sull’usanza di avvolgere un telo attorno ai fianchi di un cadavere?
R: La cosa mi fa pensare alla pratica di qualche setta e non all’usanza funeraria massonica. In particolare potrebbe significare un monito ai familiari di non parlare, comunque ribadisco che sono mie supposizioni”
(vds verbale del 4.11.2002).
Come si vede, quindi, il tema della magia è emerso più volte nel contesto complessivo della vicenda ed è risultato comune sia a personaggi, a suo tempo imputati, quale il Pacciani, o semplicemente sfiorati nel corso delle prime indagini, sia a soggetti emersi successivamente tra cui Calamandrei e Narducci.
Chiaramente si tratta di un tema poco utilizzato processualmente, forse perché di difficile dimostrazione, ma in questa inchiesta, per i numerosi e precisi riferimenti emersi, dovrebbe pur essere preso in considerazione.
Peraltro, si vuole richiamare un caso, che presenta forti analogie con quello del “Mostro di Firenze” e che si é verificato agli inizi degli anni 80 in America, a Chicago, e che forse rappresenta l’unico caso criminale al mondo che richiama i delitti fiorentini.
Dal mese di giugno 1981 al mese di ottobre 1982 venivano uccise diverse donne (almeno 7/8), fatte poi trovare con orrende mutilazioni ai corpi, dai quali era stato asportato il seno sinistro.
Per questa serie di omicidi venivano arrestati e condannati (chi all’ergastolo e chi a morte) quattro giovani (delitti di gruppo e non di un serial killer solitario) e veniva rinvenuta in un locale nella loro disponibilità una stanza con evidenti segni
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dell’avvenuta celebrazione di riti in onore a Satana e reperti riconducibili alle vittime (significato satanico).
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PARTE QUARTA
INSTALLAZIONE LINEA ISDN
DANNEGGIAMENTI
ATTACCHI MEDIATICI
INDAGINI A.G. DI FIRENZE
IRRUZIONE NOTTURNA NEGLI UFFICI
PROCEDIMENTO PENALE GENOVESE PER FALSO IDEOLOGICO
INDAGINE DEL PM DR. LUCA TURCO
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In conclusione, vanno ricordati alcuni episodi registratisi nello sviluppo delle indagini e che quanto meno rappresentano uno spaccato delle condizioni ambientali in cui questo Gruppo ha dovuto lavorare, talvolta con rallentamenti delle indagini stesse, se non di veri e propri ostacoli e stop, che ancora oggi appaiono incomprensibili.
Diverse sono state le deleghe d’indagine del PM, dr. Mignini, su tali ostacoli e impedimenti (vds deleghe del 11.05.2005, 27.06.2005, 20.10.2005, 23.01.2006 e 9.2.2006).
INSTALLAZIONE DI UNA LINEA ISDN, NON RICHIESTA, NELLA CENTRALE TELEFONICA DEL COMPLESSO “IL MAGNIFICO”.
In data 4 novembre 2003 due tecnici della ditta CITE, che lavorava in sub appalto per la Telecom, identificati per Zambernardi Rossano e Ramalli Matteo, si presentavano in questi uffici per dar corso all’installazione di una linea ISDN presso la centrale telefonica del complesso “Il Magnifico”, come da ordinativo dei lavori, che esibivano a personale di quest’Ufficio e nel quale figurava quale intestatario la Procura della Repubblica di Firenze, Viale Luigi Gori nr. 60, giusta richiesta del 31.10.2003.
I due tecnici, dopo aver provveduto all’allaccio, eseguito alla costante presenza di personale di questo Ufficio, andavano via. Notiziato di quanto sopra, poiché
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non era stata avanzata alcuna richiesta di linee, lo scrivente disponeva immediati accertamenti presso la citata ditta e presso la Telecom.
Contattati, i responsabili della Telecom dichiaravano di non essere a conoscenza del lavoro e questo anche la signora Antonella Bellon dell’ufficio di Milano, che nell’ordinativo del lavoro era citata come referente.
Su richiesta dell’ufficio, nella stessa giornata si presentava il tecnico Telecom Marchi Simone che procedeva alla disattivazione della linea e, nell’occasione, la borchia ISDN, denominata NTI/BA – 2B1Q recante il numero 3438150, veniva sottoposta a sequestro.
Si apprendeva che la richiesta di installazione sarebbe stata fatta telefonicamente al servizio 191 della Telecom, ove all’atto della domanda telefonica, il richiedente doveva fornire il codice fiscale , l’intestazione della linea e l’indirizzo e che successivamente non era seguito alcun supporto cartaceo.
Zambernardi Rossano, sentito in data 05.11.2003, riferiva:
“ …Si tratta di una superlinea ISDN digitale. Su tale linea, che può andare ad una velocità di 64 K, non può essere collegato un telefono normale perché su tale linea passano esclusivamente flussi di dati. Pertanto, come terminale della linea vi può essere collegato o un telefono ISDN o un personal computer o una particolare apparecchiatura in grado di decifrare dati. Dalla centrale telefonica presso la struttura Il Magnifico dove abbiamo collocato la borchia ISDN, attraverso un cavo secondario che arriva ad un armadio collocato in una stradina qui vicina, si dirama un cavo primario che arriva alla centrale di Peretola in Via Zambeccari. Da tale centrale, in cui noi tecnici CITE possiamo accedere soltanto al permutatore, si diramano le linee che possono essere dirette in qualsiasi parte d’Italia. Ieri, nel pomeriggio, verso le 15.30, io ed il collega ci siamo recati in Via Zambeccari per attivare la linea installata in mattinata; posso confermare che la linea funzionava”.
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Gli sviluppi degli accertamenti, in un primo tempo delegati dal PM, dr. Migini, venivano poi svolti personalmente dal dr. Canessa e il loro esito si ignora.
DANNEGGIAMENTI
Il 22.12.2003 questo Responsabile denunciava:
“In data odierna, verso le ore 12.00, ho prelevato la mia autovettura( A.R. 156 tg. BR 221 TP) parcheggiata nel garage coperto sito all’interno del Complesso “Il Magnifico” per recarmi a casa dovendo partire per un periodo di ferie all’estero, già programmate. Alle successive ore 12.20, parcheggiavo l’auto in via Curtatone, accanto alle aiuole nelle vicinanze dell’omonimo bar. Verso le ore 17.00, riprendevo l’auto svoltando in via il Prato dove, dopo aver percorso un breve tratto, improvvisamente la gomma anteriore destra si afflosciava. Dopo essermi accostato al marciapiede ho chiamato due collaboratori, il V. Sov. Michele Natalini e l’Ass. C. Alessandro Borghi, ed unitamente a loro ho sostituito la ruota portandomi presso il gommista sito in via Toselli per la riparazione. Il gommista, dopo aver controllato la gomma, mi faceva notare un piccolo buco che era stato praticato lateralmente e mi riferiva che, viste le dimensioni e la posizione dello stesso, era stato fatto sicuramente con dolo escludendo così un evento accidentale. Denuncio pertanto, a tutti gli effetti il danneggiamento patito chiedendo all’A.G. di valutare l’opportunità di disporre una consulenza tecnica al fine di accertare l’arco di tempo necessario per lo sgonfiamento totale della gomma e ciò al fine di poter verificare se il danneggiamento è stato compiuto nel garage ove l’auto si trovava parcheggiata da giorni ovvero durante il tempo in cui la stessa è stata ferma in via Curtatone.
Non ho sospetti su alcuno, ma posso affermare con tutta probabilità l’atto possa rappresentare un gesto di ritorsione e, comunque, di sabotaggio, per l’impegno investigativo nella nota indagine sui fatti attribuibili al c.d. “Mostro di Firenze” e su quelli dell’inchiesta perugina collegata. Voglio altresì ricordare che in data 13 giugno 2002 ho subito il danneggiamento mediante la foratura delle 4 gomme
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dell’auto Lancia Delta tg. AP 715 DX, all’epoca in mio possesso, posteggiata nella circostanza all’interno dell’area ferroviaria di Porta al Prato e che di tale evento, in data 14 giugno 2002, ho sporto regolare denuncia”.
A tutt’oggi l’A.G. procedente nulla ha chiesto allo scrivente, né tantomeno a disposto la consulenza sul copertone in sequestro, che ancora è custodito in questi locali.
ATTACCHI MEDIATICI .
In particolare ad opera dello stesso settimanale (Gente) e dello stesso giornalista (Gennaro De Stefano). Che, tramite sue conoscenze all’ufficio “Relazioni Esterne e Cerimoniale” del Dipartimento della P.S., dimostrava un interesse particolare a questa struttura.
In data 23 agosto 2004 (tel. n. 3169-3170-3171) il De Stefano contattava il Dott. Mario Viola del citato ufficio ministeriale, chiedendo il significato dell’acronimo G.I.De.S. (tra il giornalista ed il funzionario della Polizia di Stato era evidente il rapporto di confidenza anche per lo scambio di reciproci favori. Infatti a conferma di ciò vi era una telefonata (n. 2841 del 7.8.04 ore 12.44) tra De Stefano e il collega Umberto Brindani durante la quale il giornalista parlava proprio di scambi di favore come “quella cosa di Giuttari” che è stata pubblicata perché interessava “a loro” alludendo chiaramente ai servizi sul “Siluramento di Giuttari” da parte del procuratore dr. Nannucci).
Quello stesso giorno, 23 agosto 2004, veniva contattato il Vice Sov. Natalini Michele, in servizio presso questo Ufficio, al quale veniva chiesto dall’Isp. De
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Pasquale, della Squadra Mobile Sez. Narcotici, il significato dell’acronimo G.I.De.S.. Il Vice Sovrintendente rispondeva che era l’acronimo di Gruppo Investigativo Delitti Seriali.
Il 24 agosto 2004 contattava una certa Letizia per comunicarle che l’indomani si sarebbe recato a Firenze e Perugia per fare alcune cose. Lo stesso riferiva di aver scoperto una cosa che diventerà uno scandalo mondiale, affermando inoltre che probabilmente aveva il telefono sotto controllo da parte della Squadra Anti-Mostro di Firenze. Il giornalista confidava alla sua interlocutrice di aver avuto conferma da “uno” dell’Ufficio Stampa del Ministero dell’Interno che il G.I.De.S. era il Gruppo Investigativo Delitti Seriali aggiungendo: “cioè il Mostro di Firenze di Giuttari!” .Ipotizzava in pratica che il Dr. Giuttari a seguito di due articoli scritti da lui che lo criticavano, aveva inventato qualcosa per fargli mettere il telefono sotto controllo.
INDAGINI DELL’A.G. DI FIRENZE PER SUPPOSTE FUGHE DI NOTIZIE.
In data 17 ottobre 2005 la locale D.I.G.O.S., su delega della A.G. fiorentina, convocava alcuni dipendenti di questo Gruppo Investigativo per assumerli in qualità di persone informate sui fatti.
Il Procedimento Penale ( 17175/04 mod. 44) verteva sostanzialmente su “una fuga di notizie” e sulla conseguente pubblicazione di articoli giornalistici avvenuta nei giorni 23 e 24 gennaio 2004.
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Questo Ufficio, con una nota indirizzata al Proc. Agg. della Procura di Firenze Dott. Fleury e per conoscenza al pm, Dr. Mignini, rappresentava che all’epoca non aveva proceduto all’assunzione di informazioni delle persone citate ai dipendenti dagli ufficiali di P.G. della Digos, né era in possesso dei relativi verbali, che il P.M. di Perugia aveva trasmesso per esigenze investigative solo il 28 agosto e l’11 settembre 2004.
IRRUZIONE NOTTURNA NEGLI UFFICI DEL G.I.De.S.
La notte tra il sette e l’otto novembre 2005 ignoti entravano nella stanza 801, in uso a questo Responsabile.
Infatti il personale addetto, verso le ore 08.15 dell’otto novembre, nella sala prospiciente la sala riunioni, ove risultavano trovarsi vari faldoni contenenti documentazione relative alle indagini, di cui una parte di essi contenuti in due armadi ed un’altra parte accatastati regolarmente a terra, notavano che alcuni dei citati faldoni non erano più al loro posto ma sparpagliati irregolarmente a terra. In questo frangente veniva supposto che i medesimi fossero caduti accidentalmente, ma dato il momento particolare in cui si trovavano le indagini venivano scattate alcune fotografie dello stato del luoghi, rimettendo successivamente a posto i faldoni. Successivamente, sempre dal personale addetto, veniva notato che la placca di copertura della presa telefonica in uso a questo Responsabile era staccata dal muro ed appoggiata per terra, ed anche di questa situazione venivano scattate alcune foto.
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Veniva quindi contattata l’incaricata delle pulizie, che per altro si trovava ancora al piano per terminare il suo giro. La stessa riferiva di aver trovato, anche lei, al momento di entrare nei locali sopra citati i faldoni a terra, precisando però di aver solo provveduto a svuotare i cestini della carta.
Venivano svolti anche accertamenti presso il locale Corpo di Guardia del Complesso “Il Magnifico”, dove però il personale addetto riferiva che il passe-partout in uso veniva spesso preso da molte persone, senza che però la cosa venisse annotata, né veniva operato un controllo sull’effettivo uso.
Con delega n. 13323/05, del 9 novembre 2005, il PM, dr. Mignini,. disponeva il sequestro delle videocassette del circuito televisivo interni del Complesso “Il Magnifico”, relativo al periodo compreso fra le ore 20.00 del 7.11.2005 e le ore 08.00 dell’8.11.2005. Sequestro, però, che non era possibile eseguire poiché, come da dichiarazioni rese dall’Isp. C. Armando Saccoccioni, responsabile dei laboratori tecnici della Zona Telecomunicazioni di Firenze, l’impianto di registrazione non era funzionante in modo corretto e, pertanto, non aveva registrato immagini.
Veniva inoltre assunto a S.I. tutto il personale della Polizia di Stato in servizio di vigilanza presso il Complesso “Il Magnifico” dalle ore 20.00 del 7.11.2005 alle ore 08.00 dell’8.11.2005.
Dalle dichiarazioni rese emergeva che durante il servizio di vigilanza presso il Corpo di Guardia del complesso “Il Magnifico”, la prassi usata per l’uso del passe-partout, con il quale si accedeva a tutte le stanze del complesso, prevedeva che un componente del Corpo di Guardia accompagnasse il richiedente fino alla
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propria camera, provvedendo ad aprire la porta. Nel caso straordinario in cui non vi fosse stato personale sufficiente ad effettuare tale servizio, il capo turno provvedeva a consegnare la chiave direttamente al richiedente, annotando la richiesta sul registro delle novità. Non risultava però che nelle date interessate sia stato annotato tale evento. In particolare l’Agente Scelto Neri Sergio, in servizio presso l’8° Reparto Mobile, riferiva di aver appreso da altri colleghi che uno dei passe-partout forniti al personale che si occupa delle pulizie era stato perduto.
Veniva appreso inoltre, da indiscrezioni ricevute informalmente, che oltre ad essere stato smarrito un passe-partout del personale addetto alle pulizie, erano in circolazione altre copie in possesso di non meglio identificati appartenenti alla Polizia di Stato.
Dell’episodio poi si interessava la Procura di Firenze, che delegava la squadra Mobile e nulla si sa dell’esito delle indagini.
PROCEDIMENTO PENALE PER FALSO IDEOLOGICO, IN CONCORSO, PRESSO IL TRIBUNALE DI GENOVA.
Nel mese di maggio 2006, lo scrivente apprendeva di essere indagato dalla Procura di Genova per il reato di falso ideologico in concorso coi dipendenti Castelli Michelangelo e Arena Davide in relazione alla trascrizione del colloquio registrato tra il sottoscritto e il dr. Canessa, avvenuto nel 2002 e trasmessa, insieme alla microcassetta, al PM, dr. Mignini in allegato alla nota del 21.9.2005,
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con la quale, rispondendo a delega del PM, si riferivano alcuni episodi registratisi durante le indagini fiorentine.
Si apprendeva, poi, dal deposito degli atti a seguito dell’avviso ex art. 415 bis c.p.p. che l’indagine era scaturita dalle dichiarazioni rese dal dr. Canessa il 21.11.2005 davanti al PM genovese, titolare del procedimento.
Il dr. Canessa, infatti, dichiarava:
“Prendo atto di quanto viene ipotizzato nella segnalazione di notizie di reato del dott. Giuttari ripresa nella lettera di trasmissione atti del P.M. di Perugia.
Intendo in primo luogo, precisare con assoluta fermezza che nessun ostacolo mi è mai stato frapposto nel corso delle indagini per gli omicidi del cd. “Mostro di Firenze”da parte dei capi degli uffici della Procura di Firenze ed, in particolare, dai colleghi Vigna, Guttadauro e Nannucci che si sono succeduti a vertice della Procura.
Faccio presente che le indagini relative agli omicidi seriali verificatisi in Firenze e dintorni nel corso degli anni ’80 hanno dato origine a tre diversi procedimenti:
– il primo nel corso degli anni ’90 definito in sede dibattimentale a carico di Pacciani Pietro, condannato per alcuni omicidi in 1° grado, assolto in appello con sentenza annullata dalla Corte di Cassazione, deceduto in pendenza di giudizio di rinvio;
– il secondo, originato da elementi di prova acquisiti nel corso del dibattimento del primo processo, istruito a carico dei “cd. Compagni di merende”e conclusosi in sede dibattimentale con condanna definitiva di 2 persone (Lotti, Vanni) per concorso in omicidio;
– il terzo, originato nuovamente da elementi di prova emersi nel corso del dibattimento a carico dei “compagni di merende” (dichiarazioni di Lotti), secondo cui gli omicidi erano commessi anche dietro compenso da parte di un meglio specificato “dottore”, tale procedimento iscritto originariamente a mod. 44 e cioè a carico di ignoti venne da me proseguito in fase di indagini con la collaborazione del dirigente della Squadra Mobile dott. Giuttari ponendo attenzione a vari soggetti, che potevano – per una serie di elementi indiziari –
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essere presi in considerazione quali possibili sospetti in qualità di mandanti;nel corso di queste indagini sono state effettuate tra l’altro intercettazioni a carico dell’avv. Jommi.
Debbo, peraltro, precisare che l’individuazione dell’avv. Jommi come persona potenzialmente collegata agli omicidi del “Mostro”risaliva ad una attività non di polizia giudiziaria, ma ad una acquisizione da me personalmente effettuata assumendo a sommarie informazioni una cittadina brasiliana, che a seguito di una relazione con l’avv. Jommi, da questi interrotta, si era presentata personalmente, ancora prima che venisse individuato come responsabile di alcuni omicidi Pacciani, riferendo che Jommi le aveva confidato il giorno dopo l’ultimo omicidio e prima ancora che la stessa Autorità giudiziaria ne avesse notizia che si era verificato un ulteriore omicidio del “Mostro”.
Non è vero quanto affermato dal dott. Giuttari che non vennero espletate tutte le indagini ritenute opportune e necessarie per la ricerca dei mandanti e non è vero che siano stati frapposti ostacoli da parte dei vertici della Procura e del dott. Nannucci in particolare. L’avv. Jommi è stato anche interrogato da me unitamente al collega Dott. Mignini.
Faccio presente che, a suo tempo, quando il dott. Vigna era ancora a Firenze, parlando degli elementi di sospetto sull’avv. Jommi, il collega mi fece presente che lo conosceva e che era un suo compagno di scuola; quando riferii tale circostanza, più recentemente, al dott. Nannucci anche quest’ultimo mi disse che lo conosceva essendo stato suo compagno d’università.
Ciò nonostante escludo che il dott. Nannucci abbia effettuato pressioni nei miei confronti per omettere atti d’indagine nei suoi confronti.
Tornando al procedimento a carico di presunti mandanti debbo dire che, a seguito dell’attività svolta, in collaborazione con il collega Crini (che il dott. Nannucci su mia richiesta mi ha affiancato per l’impegno che l’inchiesta richiedeva) siamo prossimi alla conclusione delle indagini preliminari a carico di un farmacista di S. Casciano, il dott. Calamandrei; in sostanza gli elementi acquisiti circa l’identificazione del Calamandrei come il dottore di cui aveva parlato Lotti è stato frutto di attività del P.M. e non della P.G. attraverso le dichiarazioni acquisite da Vanni.
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Ribadisco che le indagini su questo procedimento sui mandanti sono state frutto in gran prevalenza di attività del P.M. e cioè del sottoscritto, con pieno consenso dell’Ufficio e con l’apporto – dall’inizio del 2004 – del collega Crini”
L’Ufficio invitava il dott. Canessa ad esaminare l’annotazione 3.12.2001 della Squadra Mobile di Firenze e a precisare se eventuali iniziative di indagini siano state “bocciate” dal dott. Nannucci a voce o con una annotazione a margine del rapporto.
Il dott. Canessa riferiva:
“Non ricordo nulla del genere. Non ricordo neppure con esattezza se a tale data fosse ancora Procuratore Capo il dott. Guttadauro”
L’Ufficio procedeva alla verifica che il dott. Guttadauro aveva lasciato l’ufficio per collocamento a riposo in data 1.10.2001.
Il dott. Canessa continuava:
“Allora a quell’epoca il Procuratore f.f. era il dott. Nannucci.
Il dott. Nannucci ha l’abitudine di scrivere e quindi non sarebbe strano un appunto in cui esprime il suo parere. Non ricordo però un appunto riguardante la nota 3.12.2001 e non ricordo – anche se non posso escluderlo – di avere riferito una circostanza di questo genere al dott. Giuttari.
Non posso escludere che il dott. Nannucci abbia chiesto in esame la nota della Squadra Mobile e che abbia poi espresso il suo parere in proposito; non ricordo comunque di averne parlato con il dott. Giuttari.
Non posso escludere che il parere espresso dal dott. Nannucci fosse negativo nel senso che avesse trovato piuttosto “fumose” le prospettive delle indagini proposte dalla Squadra Mobile.
Quello che devo dire con assoluta tranquillità è che, indipendentemente dal parere – legittimo – del Procuratore (parere e non ordine sia ben chiaro) le indagini ritenute utili dal sottoscritto per l’individuazione degli eventuali
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mandanti (ed anche per fatti in qualche modo connessi)sono state effettuate al di là di quel che sostiene il dott. Giuttari; in particolare, oltre alle indagini sull’avv. Jommi, sono stati sviluppati gli spunti su Zucconi (la cui moglie è stata mandata a giudizio per rapina nei confronti della moglie di Pacciani) su Spinoso (mandato a giudizio per detenzione di armi e concorso nei reati di Graziano Flavio (mandato a giudizio per frode processuale, calunnia e autocalunnia) Mattei Aurelio, SISDE.
L’esito di tali attività non si è rivelato produttivo, tanto che l’unico sviluppo positivo è stato quello su Calamandrei, su impulso proveniente dall’ufficio di Procura.
L’audizione veniva sospesa alle ore 17.50 per consentire al teste di ascoltare la registrazione allegata al rapporto.
Il verbale veniva riaperto alle ore 18.30.
Il dott. Canessa dichiarava:
“Esprimo innanzi tutto il mio sdegno per il comportamento di un ufficiale di p.g. che registra un colloquio informale, senza informarmene. Si tratta di un comportamento che non merita ulteriori commenti.
Vorrei fare notare che una simile iniziativa appare ovviamente diretta a “stimolare” nell’interlocutore considerazioni in qualche modo capziosamente indotte da chi clandestinamente registra il colloquio.
Non sono in grado di indicare il periodo di tale conversazione, anche perché incontri con il dott. Giuttari in piazza della Repubblica ricordo di averne fatti diversi. Era il dott. Giuttari che non voleva salire in ufficio e preferiva incontrarmi per strada per parlare delle inchieste.
Detto ciò, con riferimento ai passaggi rilevanti per quel che attiene la presente richiesta, posso dire:
– che dal minuto 15 si parla evidentemente degli sviluppi delle indagini relative ai “mandanti” degli omicidi del “Mostro di Firenze”;
– che nella prima parte dico qualcosa circa la possibilità di valutazioni difformi da parte di persone diverse;
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– quanto alle frasi relative ai “compagni di scuola”, il riferimento è sia al dott. Vigna che al dott. Nannucci, entrambi compagni di scuola di Jommi; si tratta di quanto ho già riferito sopra; posso aggiungere che il dott. Nannucci sui compagni di università mi fece anche una battuta del tipo: “che ci posso fare se all’epoca all’università eravamo in pochi?”;
– faccio notare che il dott. Giuttari mi fa presente che “gli ho parlato sempre bene del dott. Nannucci”; che le frasi “è una delusione, è una delusione”è ripetuta reiteratamente dal dott. Giuttari esprimendo con ciò un suo apprezzamento strettamente personale;
– non mi riconosco nella frase che mi viene attribuita nella trascrizione: “hai capito! Un uomo libero non ti delude! Questo non è libero!”; la registrazione è disturbata e non posso esserne sicuro ma non mi sembra la mia voce e neppure il tipo di espressione mi appartiene;
– faccio inoltre notare che le parole “hai capito!”che precedono “un uomo libero” e che nel testo della trascrizione mi sono attribuite in realtà sono logicamente e necessariamente legate alla frase precedente di Giuttari “ è una delusione..”;
– mi sembra inoltre strano che si parli nel contesto del ricorso per revisione nel processo Vanni che non escludo che si riferisca ad un colloquio verificatosi in momenti diversi.
Per quel che concerne, infine, la revoca delle deleghe relative ai fatti dell’ospedale di Careggi, non sono informato in dettaglio; non ero il titolare di quell’indagine.
Per quel che concerne il rilascio dei nulla osta al trasferimento del dott. Giuttari, ricordo che in effetti in un primo momento il dott. Nannucci rilasciò il nulla osta al trasferimento del dott. Giuttari; quando però – informato del fatto – gli feci presente che la collaborazione del dott. Giuttari era indispensabile alla prosecuzione delle indagini, il Procuratore Capo non ebbe alcuna difficoltà a richiederne l’applicazione e mi disse che il “nulla osta” era stato richiesto dal Questore e motivato da ragioni organizzative.
Quanto al contrasto positivo di competenza con la Procura di Perugia è stata una iniziativa mia e del collega Crini che il dott. Nannucci ha pienamente condiviso.
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Quanto al colloquio con il dott. Ruello confermo di essere stato presente; sostanzialmente il dott. Ruello caldeggiava la richiesta del Questore di nulla osta al trasferimento del dott. Giuttari. Alle obiezioni di Giuttari circa l’esigenza di continuità delle indagini, ricordo che gli chiese chi poteva – tra i rimanenti ufficiali di polizia giudiziaria – essere a conoscenza delle indagini. Non ricordo se in tale contesto il dott. Ruello richiese anche informazioni sugli indagati.
Mi riservo di trasmettere l’annotazione conclusiva redatta dal dott. Giuttari sulle indagini relative ai mandanti posto che da tale documento emerge con chiarezza che – secondo lo stesso redattore – i motivi dello stallo delle indagini in certi periodi sono legati a problemi riconducibili alla sua amministrazione di appartenenza e non a difficoltà o lentezze frapposte dall’ufficio di Procura.
Voglio aggiungere,infine, che alla fine del 2002 io (con il pieno consenso del dott. Nannucci) e con il collega Mignini ci recammo dal dott. Manganelli, che avevo già conosciuto a Firenze, ed ottenemmo appositamente per il dott. Giuttari la formazione del Gruppo Investigativo Delitti Seriali.
In conclusione voglio dire che nello svolgimento della mia attività non ho mai ricevuto ostacoli o condizionamenti dal dott. Nannucci, né in queste indagini né in altre; al contrario, mi ha sempre aiutato ed ha discusso sempre con me liberamente le iniziative più idonee per le singole richieste; non solo lo considero uno dei miei maestri in questo mestiere, ma non mi ha mai deluso e l’ho sempre considerato un uomo più che libero”.
Lo stesso giorno, nella stessa sede, davanti al Procuratore Aggiunto dr. Giancarlo Pellegrino compariva il dott. Alessandro Crini, che dichiarava:
“Sono stato affiancato alle indagini del procedimento a carico dei cd. Compagni di merende, responsabili dei noti omicidi di Firenze, avendo tra l’altro sottoscritto la richiesta di misura cautelare nei confronti di Vanni. Il dibattimento è stato poi seguito in esclusiva da dott. Canessa.
Sono, più recentemente, stato affiancato al dott. Paolo Canessa, su richiesta dello stesso Canessa, nel procedimento per le indagini sui mandanti degli omicidi dei compagni di merende.
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Escludo che vi siano stati interventi del Procuratore Capo nella fase in cui io mi sono occupato dell’inchiesta che in qualche modo abbiano tentato di porre ostacolo allo sviluppo delle indagini.
L’opportunità di sollevare contrasto positivo di competenza con la Procura della Repubblica di Perugia è stata da noi prospettata al Procuratore Capo e dallo stesso condivisa.
Era un’esigenza processuale reale visto che – tra l’altro – il nostro indagato principale Calamandrei iscritto nel nostro registro come concorrente negli omicidi dei compagni di merende, risultava essere iscritto anche a Perugia come indagato per concorso nell’omicidio di Narducci.
Posso escludere nel modo più tassativo che il contrasto di competenza sia atto riconducibile al dott. Nannucci”.
Si reputa opportuno trascrivere la parte del colloquio col dr. Canessa, nella quale è ricompresa la frase “incriminata” (che peraltro risultava personalmente per scienza diretta anche al PM dr. Mignini), mentre si richiama la trascrizione integrale eseguita dai dipendenti Castelli e Arena e quella del capitano Ciampini ( che si sovrappone perfettamente alla prima). dalla quale si rilevano le difficoltà operative incontrate dal PM fiorentino all’interno del suo ufficio per portare avanti le indagini rilasciando le deleghe che gli erano state richieste con la nota del 3.12.2001.
Canessa:un’altra cosa che è sempre brutta…sia pure dopo e dopo aver scritto questo mi dice: “quello era compagno di scuola …quell’altro ci ha fatto il liceo…il sena…il…lo Zucconi il fratello era in classe al liceo” il…iii….Capiscimi!Eh.…ih…insomma…io!
Giuttari:Lo Jommi anche con…
Canessa:Lo Jommi eh…
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Giuttari:Io direi questo…no non potevamo andare peggio guarda!..
Canessa:Non potevamo andare peggio…
Giuttari:Io non lo conoscevo ma tu mi parlavi sempre bene…
Canessa:No!Michele io…mi sono dato…
Giuttari:…e quindi ero…
Canessa:Io mi sono dato da fare!
Giuttari:…ero motivato…’na delusione guarda!
Canessa:Io mi sono dato da fare …io mi sono dato da fare per dargli…
Giuttari:…’na delusione…’na delusione!
Canessa:Io mi sono dato da fare per dargli una mano!
Giuttari:Una delusione!
Canessa:Hai capito!…Un uomo libero non ti delude!Questo non è libero!…questo è…la mia amarezza è stata questa..(p.i.)
Si trascrive un altro passaggio del colloquio in questione dove appaiono evidenti le difficoltà incontrate dal magistrato:
Canessa:…Anzi di più vecchia data…e che addirittura (inc.)…dice: “Guarda Paolo vieni qui (inc.)….noo…lui lo fa per iscritto…anche perché un….evita di parlarmi in pubblico…non c’è (inc.)..in maniera distaccata….più o meno distaccata fatto per iscritto…ma invece tu prima di tutto…parliamone!
Giuttari:Ma certo!
Canessa:Ed io pure…e si cerca la causa anche con lui!”
Giuttari:La soluzione migliore!
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Canessa:Qui….quindi la causa è chiaramente lui…anche lui…scusami!…Eh…non c’è altra spiegazione…eh…qui la causa è occulta!…Illazioni..illazioni..bisogna chiudere…bisogna chiu…me lo ha messo per iscritto!
(vds relazione del 6.6.2006 redatta dall’Ass. De Iorio Silvio ).
Come risulta evidente, pertanto, l’inchiesta fiorentina avrebbe dovuto essere chiusa in tutta fretta e la logica conseguenza sarebbe stata che non si sarebbero chiarite le posizioni, tra gli altri, dello Jommi, del Calamandrei e di Francesco Narducci, che invece si sono rivelati interessanti grazie soprattutto agli sviluppi investigativi coordinati da codesta Procura della Repubblica..
Il procedimento in questione si concludeva il 9.11.2006 davanti al GUP del tribunale di Genova, dr. Roberto Fenizia, con sentenza di:
non luogo a procedere perché il fatto non sussiste
e nella motivazione della sentenza, divenuta definitiva, il GUP attestava, tra l’altro, che non c’erano dubbi che la voce che aveva pronunciato la frase “incriminata” appartenesse al dr. Canessa.
Oltre alle dichiarazioni del dr. Canessa, l’altra fonte di prova era rappresentata dalla consulenza del dr. Gobbi Leonzio , che era stato coadiuvato dal dr. Raffaele Pisani.
Il Gobbi ,però,per effettuare la perizia aveva acquisito solamente il saggio telefonico del dr. Canessa.
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Infatti il perito, assunto a sommari informazioni dal dr. Mignini, in data 19.05.2006, ammetteva:
“…io ritengo questa consulenza….ancora in corso, non terminata, non è un responso finale…”
……
“siamo proprio veramente in una fase preliminare..”
…..
Lo stesso ammetteva di aver chiesto di poter acquisire i saggi fonici di entrambi (Giuttari e Canessa), ma il P.M., dr. Pinto, aveva dato disposizione di acquisire solo quello del dr. Canessa.
“ ….ma se non abbiamo la comparazione della stessa frase detta dal dr. Giuttari …perché a me è stato detto che doveva essere depositata questa tranche di indagine, ecco perché io ho depositato perché se non deposito entro i termini la procura non paga…”
Affermava, inoltre, che nella relazione non aveva scritto che la voce della frase “incriminata” era riferibile al dr. Giuttari!
Il Gobbi davanti al dr. Mignini faceva altre gravi affermazioni:
“… a me colpisce il fatto che la consulenza non è terminata, perché io sono un tecnico, è stata interpretata oppure, non so, vuole essere mossa in una determinata maniera, ma io sono al di fuori di queste vicende, capisce, dottore?…e cosa devo dire io?…Allora non faccio nulla?A metà perizia devo depositarla? Oltretutto ho dei costi, ho delle spese, io ho depositato, ecco perché…altrimenti sarebbe stato un responso, una conclusione diversa: il dr. Giuttari ha pronunciato la frase e stop, avrei concluso così…Perché sono rimasto con i piedi sugli spilli? Per questo motivo, perchè non ho ancora finito nell’indagine però mi è stato chiesto di depo.. dice: intanto depositi”.
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Il consulente ausiliario, Raffaele Pisani, anch’egli in sede di deposizione, in data 19.05.2006, affermava che l’acquisizione del saggio del dr. Canessa era stato effettuato con modalità:
“non conformi alle regole…con indicazioni sommarie ed iniziali..”
Ed alla osservazione che nelle conclusioni di Gobbi si parlava di maggiore vicinanza a Giuttari sulla questione delle tre vocali, il Pisani rispondeva:
“no…non parlo…”
E poi proseguiva che sarebbe stata necessaria una perizia fonica e linguistica ed aggiungeva:
“…questo lo deve chiedere al dr. Gobbi, non deve chiederlo a me…”
Il PM, dr. Mignini, ancor prima che il PM genovese formulasse le accuse nei confronti dei Responsabile di questo Ufficio e di due suoi collaboratori, aveva incaricato il Cap. Ciampini del R.I.S. Carabinieri di Roma ad eseguire una completa consulenza sulla microcassetta in questione e dal suo esito emergeva che era stata la voce del dott. Canessa a pronunciare le frasi “incriminate” e non già quella del sottoscritto.
Il Cap. Ciampini Claudio, infatti, nella relazione di consulenza tecnica, redatta in data 29.6.2006 scriveva:
In merito all’analisi degli elaborati tecnici presentati dal dr. Gobbi lo scrivente è concorde per quanto riguarda la presenza di manipolazioni relative alle registrazioni oggetto di consulenza; si discosta totalmente dalle conclusioni ottenute in merito alle comparazioni effettuate tra la voce che pronuncia la frase “…uno uomo libero non ti delude…” con le voci del dr. Michele Giuttari e del dr. Paolo Canessa.
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Accertamenti effettuati dallo scrivente,stante la scarsa qualità e quantità di materiale relativo all’anonimo hanno comunque permesso di riscontrare che:
– a livello percettivo la voce ignota manifesta omogeneità con quella del dr. Canessa;
– l’analisi linguistica conferma l’esistenza di ulteriori elementi di compatibilità tra la coppia ignoto –Canessa e disomogeneità tra ignoto- Giuttari;
– l’analisi strumentale evidenzia che anche le caratteristiche spettrali della coppia ignoto- Canessa sono sostanzialmente indistinguibili mentre diverse sono quelle tra ignoto- Giuttari.
In definitiva, le risultanze scaturite rappresentano elementi oggettivi, a supporto dell’ipotesi di riconducibilità della voce ignota al dr. Canessa anziché al dr. Giuttari.
Questo Responsabile unitamente ai suoi due collaboratori (Castelli ed Arena) trasmetteva alla Procura della Repubblica di Genova un esposto, datato 3 luglio 2006, a carico del dr. Paolo Canessa ed un’altro indirizzato alla Procura della Rep. di Torino a carico di Gobbi Leonzio.
Le mendaci dichiarazioni del Sost. Proc. Canessa rese in data 21.11.2005 negli uffici della Procura della Rep. di Genova, e la superficialità, l’inesattezza e la forzatura delle conclusioni della consulenza tecnica redatta del secondo (sopra si ne è ampliamente parlato), avevano finito per danneggiare gli esponenti e, più in generale, avevano contribuito a screditare anche la professionalità degli stessi, oltre che aver fortemente turbato la regolarità dell’operatività dell’intero Gruppo di lavoro.
Si apprendeva poi che del fascicolo genovese relativo all’esposto nei confronti di Canessa non v’era traccia d’iscrizione negli archivi computerizzati del
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Tribunale di Genova, tanto che lo scrivente inoltrava istanza di avocazione diretta alla Procura Generale di Genova.
Ma la storia non aveva termine con la sentenza del GUP di Genova perché si verificavano altri fatti, i cui effetti purtroppo ancora sono vivi.
L’INDAGINE DEL PM DR. LUCA TURCO.
E’ l’ultimo atto in ordine di tempo che chiude la vicenda del “Mostro di Firenze, nel modo peggiore per la Giustizia e lo si ritiene pertinente per concludere la presente nota e , con questa, la collaborazione del sottoscritto con codesta Procura della Repubblica.
Nel mese di ottobre 2006, quando l’indagine genovese di cui si è detto, era stata già conclusa fin dal mese di maggio e si era in attesa del vaglio giurisprudenziale del GUP, si appalesavano le iniziative fiorentine.
Da un lato, il Procuratore Capo, dr. Ubaldo Nannucci, notificava al PM, dr. Mignini, e allo scrivente la citazione in giudizio per vedersi riconosciuto il diritto al risarcimento dei danni subiti a seguito del procedimento penale patito presso il tribunale di Genova. E da tale atto si veniva a conoscenza che lo stesso Dr. Nannucci il 22 maggio 2006 aveva presentato alla Procura di Genova una denuncia per calunnia nei confronti dei due convenuti.
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Da un altro lato, dal 16 ottobre 2006 si apprendeva che lo scrivente e il dr. Mignini erano indagati dal PM, dr. Turco, per una serie di reati di abuso d’ufficio per fatti che , a distanza di meno di un mese sarebbero stati chiariti dal GUP genovese.
Nell’ambito di tali indagini, il sottoscritto subiva ben tre perquisizioni e il sequestro di tutti gli atti delle indagini perugine, poi restituiti a seguito dell’ordinanza di dissequestro del Tribunale del Riesame di Firenze, che stabiliva l’assoluta mancanza del fumus del reato.
Questo Gruppo, per oltre un mese, è stato però privato degli atti, necessari peraltro per la redazione della presente nota, che era già in corso di sviluppo.
Non si ritiene opportuno dilungarsi oltre su tale inchiesta, che si è voluta solo accennare, ma non può farsi a meno di segnalare il fatto che la conclusione della presente nota è stata resa possibile forse solo grazie a quello che sembra essere stato un errore della Procura di Firenze, almeno da quello che si è appreso dagli stessi ambienti giudiziari.
Infatti, si è saputo che il PM titolare aveva inoltrato al GIP del tribunale di Firenze una richiesta di applicazione di misura interdittiva nei confronti del sottoscritto e che, a causa del contestuale avviso ex art. 415 bis c.p.p. tale richiesta non avrebbe avuto il seguito sperato presso l’ufficio del GIP.
Nessun’altra parola appare opportuna.
Tanto dovevo per debito d’ufficio.
Alle indagini hanno collaborato i seguenti dipendenti:
– Ispettore Capo Michelangelo Castelli;
PROCURA DELLA REPUBBLICA DI PERUGIA
Gruppo Investigativo Dr. Michele Giuttari
(ex G.I.De.S.)
_______________________________________________________
Viale Gori 60, 50127 Firenze – Fax 055/4977701 – Tel. 055/4977702
234
– Sovr. Capo Ermanno Zappi;
– V. Sovr. Alessandro Borghi;
– V. Sovr. Michele Natalini;
– V. Sovr. Joseph Costa (che ha collaborato anche alla stesura della presente nota);
– V. Sovr. Enrica Bertagnini;
– V. Sovr. Davide Arena;
– Ass. Silvio De Iorio (che ha collaborato anche alla stesura della presente nota);
– Ass. Vincenzo Mele;
– Ag.Sc. Tiziana Colucci (che ha collaborato anche alla stesura della presente nota).
IL RESPONSABILE
Dr. Michele GIUTTARI

4 Aprile 2007 Nota conclusiva GIDES 2007
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