Il 27 novembre 2003 rilascia testimonianza Alberto Speroni.

Questa la testimonianza: Speroni Alberto testimonianza 27.11.2003

Questa la trascrizione:

OGGETTO: Verbale di sommarie informazioni, rese da: dott. Alberto Speroni, nato a Foligno il 03.06.1943, residente a Perugia, Strada San Marco, 69/F, funzionario di polizia

Il giorno 27 novembre 2003, alle ore 10.30, in Firenze negli Uffici del Gruppo Investigativo Delitti Seriali Firenze — Perugia.

Innanzi al sottoscritto Ufficiale di P.G., Primo Dirigente dott. Michele Giuttari è presente il dott. Alberto Speroni, in oggetto meglio generalizzato, il quale viene sentito in qualità di persona informata dei fatti, nell’ambito del Proc. Pen. nr. 17869/01 R.g. Mod. 44, e su specifica delega emessa in data 11.11.2003 dalla Procura della Repubblica di Perugia a firma del Dr. Giuliano Mignini.

Domanda: cosa ricorda della scomparsa del professor Francesco Narducci?
Risposta: faccio presente di essere stato già sentito sul punto dal dottor Mignini della Procura di Perugia. All’epoca dirigevo la squadra mobile di Perugia e la scomparsa del Narducci fu un fatto eclatante considerata la figura del padre, che era un famoso ginecologo. Come le altre Forze di polizia ci attivammo per le ricerche del professore dopo il rinvenimento della barca nel lago Trasimeno all’altezza dell’isola Polvese di fronte a San Feliciano, dove il Narducci custodiva la barca.
Ricordo che la mattina della scomparsa, dopo il ritrovamento della barca, fui avvisato — non so se dal Questore dell’epoca — che era stata rinvenuta la barca, ma che il Narducci non si trovava. Andai con personale del mio ufficio sul posto e sentimmo subito il custode della darsena, il quale ci disse che il professore aveva ritirato la barca ed era uscito e che lui l’aveva visto doppiare il capo dell’isola lato San Feliciano e poi gli era scomparso dal suo angolo visuale. Ovviamente d’accordo col Questore le ricerche furono concentrate sul lago ed andarono avanti fino al giorno prima del rinvenimento del cadavere. Ricordo che ispezionammo il lago e le isole, anche di notte, ed anche coi mezzi dei privati. Guardammo dappertutto, ma senza alcun risultato. Ricordo ancora oggi quello che mi riferì un vecchio pescatore e cioè che se la barca era stata trovata in quel punto ed il Narducci fosse annegato in quel punto stesso, il suo cadavere a distanza di una settimana sarebbe riaffiorato nella zona prospiciente la darsena di Sant’Arcangelo, e questo per un gioco delle correnti del lago.
Le ricerche furono continue ed il centro delle ricerche era l’ufficio del Questore Trio, che aveva messo a disposizione tutti quanti anche perché le prime pagine dei giornali parlavano della scomparsa del Narducci. Io coordinavo le ricerche e riferivo passo passo al Questore quello che facevamo. Non ricordo bene se furono chiamati anche i sommozzatori dei vigili del fuoco, ma credo di sì. Io chiaramente coordinavo le ricerche per quanto riguardava l’attività della polizia di Stato.
Ricordo che quando mi chiamava il Questore lui era costretto a dare le notizie ai familiari dello scomparso ed io trovavo nel suo ufficio o il fratello del Narducci, medico anche lui e che lavorava ad Assisi, o il padre che conoscevo di vista ed a volte anche il professor Morelli che conoscevo personalmente.
Per le ricerche partecipava sia la mobile sia il personale di altri uffici, oltre chiaramente ai carabinieri ed altro personale, come i vigili zoofili e la forestale.
Domanda: cosa ricorda del giorno del rinvenimento del cadavere?
Risposta: quel giorno mi trovavo a casa. Era di domenica e mi ero messo in tuta da ciclista per fare un giro in bici con mio figlio dato che all’una dovevo andare allo stadio per il servizio di ordine pubblico. Mi ricordo che ero davanti alla porta del garage con le biciclette pronte quando mia moglie affacciatasi alla finestra mi chiamò dicendomi che mi volevano al telefono. Credo di avere parlato con l’operatore del centralino della Questura che mi informava che era stato trovato un cadavere vicino al pontile di Sant’Arcangelo. Venne a prendermi un dipendente della mobile e raggiunsi il posto dove sul pontile trovai alcuni carabinieri, due o tre, il prof. Morelli ed il cadavere che dai miei ricordi si trovava coi piedi rivolti verso la terraferma e la testa verso il lago. Premetto che io non conoscevo il Narducci neppure di vista. Comunque ricordo del cadavere questi particolari: era vestito ed aveva due funghi uno alla narice, forse sinistra, ed altro all’angolo della bocca con una schiuma biancastra; era in posizione supina.
Subito dopo vidi arrivare la dottoressa, che ha fatto un esame esterno del cadavere guardandolo da vicino per alcuni minuti e subito dopo fu fatto il riconoscimento. Ricordo che il Morelli mi disse: “è lui e purtroppo si è verificato quello che sospettavamo”. Ricordo anche che un sottufficiale dei carabinieri, presente, mi disse che lui aveva provveduto a far scattare delle foto. Ovviamente il pontile nel giro di pochi minuti si riempì di gente. Venne il Questore, i parenti, un po’ tutti. Io mi allontanai insieme alla dottoressa perché dovevo chiamare il magistrato di turno che era il dottor Centrone. Per fare questo un pescatore mi mise a disposizione il telefono fisso che si trovava nella sede della cooperativa pescatori. Da lì chiamai il dottor Centrone, al quale dissi che ero stato chiamato e che quando ero arrivato sul posto avevo già trovato il cadavere sul pontile e che accanto a me c’era la dottoressa della ASL di Castiglion del Lago, che aveva fatto l’ispezione esterna del cadavere. Il dottor Centrone mi chiese di poter parlare con la dottoressa ed io gliela passai. Io sentivo quello che diceva la dottoressa e capii che la domanda del magistrato era stata di riferire quello che aveva riscontrato sul cadavere. La dottoressa disse che non aveva riscontrato segni di violenza sul cadavere e che anche dalla schiuma e dai funghi si trattava di asfissia da annegamento. Dopo di che la dottoressa mi passò il ricevitore ed il dottor Centrone mi disse che secondo la dottoressa si trattava di annegamento e che quindi quello che si era sospettato nel corso di quella settimana si era rivelato fondato, per cui era abbastanza probabile che si trattasse di un suicidio. Chiesi che cosa dovevo fare del cadavere: se portarlo all’obitorio o no e lui mi disse che dal momento che era stato riconosciuto l’avrei dovuto riconsegnare ai parenti. Cosa che io feci. Io a quel punto andai via senza interessarmi di altro anche perché dovevo svolgere il servizio di ordine pubblico allo stadio.

27 Novembre 2003 Testimonianza di Alberto Speroni

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