L’8 Dicembre 2002 la Procura della Repubblica di Firenze incaricava per gli esami autoptici di Fabio Vinci il Dott. Antonio Cafaro, medico chirurgo specialista in medicina legale e delle assicurazioni c/o Istituto di Medicina Legale dell’Università degli Studi di Firenze, Azienda Ospedaliera di Careggi che giungeva sul posto alle ore 02:00 circa.

Il Dott. Cafaro procedeva a ispezione esterna del cadavere senza riscontrare segni di violenza o di lesioni cagionate da corpi contundenti o d’arma da fuoco. Durante l’ispezione del mezzo, i Carabinieri e il Dott. Cafaro, tra gli effetti personali del Vinci, rinvenivano “una siringa da insulina apparentemente priva di residui, completa di cappuccio con estremità interna annerita” e un “telefono cellulare marca Siemens con sim card inserita della società wind ed utenza n. 3288076872“.

Dopo i rilievi del caso, il cadavere veniva trasferito presso l’obitorio per essere sottoposto ad autopsia.

Durante le prime ed immediate indagini operate sul posto dai militari della stazione di Montaione, viene sentito solo verbalmente il Sig. Cioni Enrico, residente a Castelfiorentino, dimorante a San Vivaldo Agro Montaione, che ha riferito che nel transitare per via Tre Ponti alle ore 19,50 precedente al ritrovamento, ha scoperto l’autovettura Fiat 500 ferma lungo la strada sterrata in questione proprio nel punto ove è stata più tardi era stata trovata (ore 21,40) dalla predetta pattuglia. In detta circostanza il Sig. Cioni ha riferito di non aver notato alcunchè.

I militari in parola riferivano inoltre che il Vinci Fabio pur mantenendo la propria residenza a Castelfiorentino, di fatto aveva lasciato la propria abitazione per destinazione sconosciuta; che era tossicodipendente, tant’è che il 20 luglio 2002 il servizio di 118 è intervenuto in Firenze viale Pieraccini per soccorrere il Vinci colto da overdose da assunzione di sostanze stupefacenti.

Il sopralluogo Giudiziario. Si trascrive integralmente di seguito:

Si da preliminarmente atto che il sottoscritto consulente ha preso parte, come richiesto dall’Autorità Giudiziaria, al sopralluogo effettuato nelle ore della notte tra il 7 e 8 dicembre 2002, avvenuto in aperta campagna nel comune di Montaione (FI), in presenza della Polizia Giudiziaria (Carabinieri) incaricata alle indagini, dove in una piazzola sterrata, accanto a una strada asfaltata, era stato rinvenuto il cadavere di un uomo chiuso in macchina, con i finestrini chiusi. La temperatura atmosferica era rigida, propria del periodo invernale. All’arrivo del sottoscritto, la Polizia Giudiziari stava effettuando i rilievi planimetrici del caso. Il cadavere era ancora “in situ” (una Fiat 500 ultratrentennale), posizionato nel posto anteriore accanto al guidatore, a cui era stato tolto il sedile: era sdraiato sul fondo, sopra numerosi indumenti posti come giaciglio, parzialmente disteso sul fianco destro. Era vestito con indumenti invernali, regolarmente indossati e privi di macchie o lacerazioni significative e, ad un primo esame esterno, era privo di qualsivoglia lesione traumatica e di perdite di sangue (spandimenti e/o colature): per altro, poiché era noto alla P.G. come tossicodipendente abituale, si puntualizzava il fatto che le maniche degli indumenti non erano avvolte al gomito ma regolarmente distese sino al polso, ne vi erano siringhe usate nell’abitacolo o all’esterno, vicino all’auto. Il cadavere presentava valida rigidità cadaverica in atto a carico di tutti i distretti corporei, ipostasi rosso vivo erano presenti nelle sedi declivi, parzialmente improntabili ad una forte digitopressione, in assenza di fenomeni putrefattivi a carattere cromatico; era quindi estratto dall’auto e si confermava l’assenza di reperti traumatici macroscopici. All’interno dell’abitacolo, alcuni borsoni contenenti in modo disordinato vestiario, incartamenti vari e una siringa da insulina, priva di contenuto. C’era un contatto tra i fili dell’accensione ma l’auto (rubata a detta dei CC intervenuti) appariva col serbatoio privo di benzina”. Dietro ordine della A.G il cadavere era rimosso e trasportato all’istituto di medicina legale di Firenze, quindi posto in cella frigorifera. Si da atto che nell’informativa nr. 40/3 dell’ 8 dicembre 2002 del Comando Stazione Carabinieri Montaione, la predetta siringa indicata dal Dott. Cafaro viene descritta dai militari operanti come: “siringa da insulina apparentemente priva di residui, completa di capuccio con estremità annerita. L’autopsia giudiziaria e le risposte ai quesiti. Dalla prima verifica esterna non viene rivelato “alcun significato reperto traumatico ad eccezione di una piccola escoriazione al polpastrello de pollice sinistro”. Nulla di anomalo viene riscontrato al cranio, altrettanto dicasi per il torace e l’addome, così come niente viene rilevato agli organi del collo. Nel corso della sezione autoptica sono stati preleva frammenti d’organo e liquidi biologici, conservati a disposizione dell’ Autorità Giudiziaria. “In considerazione del particolare colore delle ipostasi e dei reperti aspecifici tipici di una morte asfittica (sangue fluido, petecchie mesoteriali, congestione poliviscerale) si proceduto anche al prelievo di sangue fluido venoso periferico in ipotesi di una avvelenamento da CO [monossido di carbonio]. La ricerca della HbCO [carbossiemoglobina] effettuata presso il laboratorio di tossicologia forense dell’ Istituto di Medicina Legale ha dato il seguente risultato HbCO = 96,40% Si tratta di un valore elevatissimo, perentoriamente dimostrativo per un decesso da imputare esclusivamente alla inalazione di tale gas velenoso. Volendo dare una ipotesi dell’episodio sulla base dei dati emersi dal sopralluogo giudiziario e dai reperti cadaverici appare verosimile ritenere che il Vinci, tossicodipendente senza dimora, si sia appartato in auto nelle ore antimeridiane del 7.12 (o forse anche qualche ora prima) per riposarsi e, in considerazione del freddo clima atmosferico proprio del periodo invernale, abbia tenuto il motore acceso della sua vecchia auto per tenere in funzione il riscaldamento dell’abitacolo. Trattandosi di un vecchio modello d’auto possibile che i fumi dei gas di scarico dell’auto non siano stati tutti convogliati all’esterno ma che siano stati parzialmente anche filtrati nell’abitacolo, per crepe strutturali da ruggine, portando l’uomo (forse già assopito) a morte per avvelenamento acuto da CO. Che possa essersi trattato di un evento accidentale e non volontario (in senso autosoppressivo) dato dal fatto che non vi erano tubi che convogliassero dall’esterno i gas di scarico fuoriusciti dal tubo di scappamento all’interno dell’abitacolo (finestrini regolarmente chiusi). Si ribadisce comunque trattasi solo di verosimile ipotesi che non esclude “a priori” altre possibili ricostruzioni dell’episodio.

Tratto dal Riesame richiesto da Davide cannella.

8 Dicembre 2002 Valutazione medico legale di Fabio Vinci

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