Il 4 Marzo 2002 rilascia testimonianza la Dott.ssa Daniela Seppoloni.

Questo uno stralcio delle sue dichiarazioni:

Molto sorpresa e sconcertata, ha dichiarato sul punto dell’orario di morte del Narducci: “non potevo assolutamente indicare l’orario della morte perché non avevo nessun elemento per farlo e non riesco a capire come mai sono state indicate le 110 ore prima del ritrovamento.

Inoltre: “Non riesco a capire come mai, nel verbale di visita esterna, abbia indicato “asfissia da annegamento” come mi chiedevano il Morelli ed il Farroni, perché non era possibile una diagnosi precisa in tal senso senza un esame autoptico.” e ancora: “ribadisco che non potevo dire asfissia da annegamento ma asfissia da sospetto annegamento. Mi trovo molto imbarazzata perché non riesco a capire perché ho scritto certe cose.” Vedi: Sentenza Micheli Pag. 214

Inoltre: “Riconosco la mia firma. A questo punto comincio a dubitare dei miei ricordi perché nella mia memoria non avevo affatto il riferimento alle 110 ore perché non potevo darlo sulla base delle mie competenze che si fermavano all’accertamento della morte non essendo io medico legale. Debbo ripetere che sono stata pressata di continuo sul molo dall’uomo che indossava una divisa di colore scuro e, durante la stesura del processo verbale all’interno dei locali della cooperativa dal prof. Morelli e dal prof. Farroni che avevano riconosciuto il cadavere. In quella circostanza ci fu anche uno scambio di opinioni abbastanza animato tra me (che fino all’anno precedente ero stata volontaria nella clinica medica ove il professore Morelli era il responsabile del reparto di gastroenterologia e che tenne un corso a cui partecipai) e il prof. Morelli ed il prof. Farroni che in più occasioni cercavano di convincermi che il Narducci era morto per annegamento senza indicarmi la data della morte. Io insistevo cercando di sottolineare il fatto che non poteva essere messa una diagnosi di certezza sulla causa della morte ma solo di verosimiglianza o di sospetto e che era necessario un esame autoptico. Questo lo dissi come se si trattasse di un fatto scontato perché in questi casi si fa sempre l’esame autoptico. Non ricordo se questo lo dissi all’interno dei locali della cooperativa o sul molo parlando con il dottor Trippetti. Quello che è certo e che vi era una pressione continua a che si facesse in fretta al fine di restituire il corpo subito alla famiglia.

“….DOMANDA: “Chi la chiamò il giorno dei ritrovamento del cadavere di Francesco Narducci e che cosa doveva fare, cioè limitarsi alla certificazione medica della morte o effettuare anche la visita esterna e la ricognizione cadaverica? Inoltre ha mai parlato con il Magistrato di turno?” RISPOSTA: “Venni chiamata dal centralino dell’Ospedale di Castiglione del Lago perché il mio nome era nell’elenco dei turni di reperibilità per tutto quello che riguardava la medicina legale e l’igiene ambientale. La mia specializzazione è di igiene e medicina preventiva. Quando ero in reperibilità sarei dovuta intervenire per le constatazioni di morte e quando fui chiamata pensavo che avrei dovuto semplicemente redigere il certificato di morte ed ero solo obbligata a redigere il certificato di morte. Quando arrivai sul posto ricordo che era freddo e c’era un vento fortissimo; vi era molta gente sul molo e fra essi Carabinieri, Vigili del Fuoco, giornalisti e curiosi. Il cadavere era disteso sul molo e mi riporto alla descrizione già fornita il 24 ottobre 2001. “DOMANDA: “Lei conosceva il Narducci e se si lo riconobbe facilmente?” RISPOSTA: “Conoscevo bene il Professore Narducci perché io avevo svolto il mio tirocinio obbligatorio durante il corso di laurea in clinica medica, dove il Narducci collaborava con il Professor Morelli e poi una volta laureata frequentai clinica medica, nell’ambito della quale vi era la gastroenterologia, come volontaria. Anche il Professor Morelli lo conoscevo in quanto era stato mio docente, mentre il Professor Farroni me lo ricordavo come suo collaboratore, entrambi presenti quel giorno. Ricordo che il Francesco Narducci aveva un carattere un po’ spinoso ed aveva un rapporto un po’ difficile con gli studenti perché era molto distaccato. Riconobbi il cadavere come quello del Narducci, sia perché il
centralino mi aveva avvertita che era stato ritrovato in acqua il Narducci stesso, sia perché il volto del cadavere sia pur sfigurato, corrispondeva a quello del Professore.” DOMANDA: “Ha visto delle macchie ipostatiche sul cadavere e se sì dove?” RISPOSTA: “Vidi delle macchie ipostatiche, non ricordo se sul dorso o sui fianchi, anche perché è passato molto tempo ed ho visto altri cadaveri. Istintivamente mi verrebbe da dire che aveva il torace più “pulito” del dorso, nel senso che mi pare che non vi fossero macchie ipostatiche né sul torace né sul ventre, ma non vorrei che sovrapponessi i ricordi.” DOMANDA: “Chi la avvicinò quando arrivò sul molo?” RISPOSTA: “Mi venne subito incontro il Dottor Trippetti junior, che all’epoca avrà avuto una cinquantina di anni, il quale mi informò dell’accaduto e che i genitori del Narducci, che mi sembrò conoscesse molto bene, erano stati avvertiti e attendevano nella loro villa di San Feliciano. Aggiunse che non poteva redigere il certificato di morte perché era medico generico e non era più Ufficiale Sanitario.” DOMANDA: “Ricorda se furono rinvenuti documenti, appunti e se il cadavere avesse un orologio al polso?” RISPOSTA: “furono i Vigili a togliere dei foglietti dalle tasche del giacchetto. Ricordo che erano come dei fogli di carta bianca contenenti appunti o qualcosa del genere. Io cercavo dei farmaci perché girava voce che il Narducci facesse uso di stupefacenti in particolare di eroina e chi fa uso di tali sostanze spesso le abbina a psicofarmaci a base di benzodiazepine; mi pare anche che avesse un orologio e ricordo che quando lo avevo visto in vita portava sempre un Rolex.” DOMANDA: “Quando lei completò le operazione di sua spettanza compilò il certificato di morte? RISPOSTA: “Una volta accertata la morte stavo per dirigermi verso la mia macchina per redigere in tranquillità il certificato di morte, anche perché vi era un vento fortissimo che portava via tutto e poi vi era molta ressa. Un signore in divisa però mi fermò e mi chiese di effettuare l’ispezione cadaverica. Si trattava di un uomo alto circa m.1,75 – 1,78, un po’ corpulento sui 50 anni, con i capelli scuri. La divisa era di colore blu o nero e vi erano molte decorazioni sul petto a sinistra e sulle spalle, sul bavero aveva altre decorazioni prevalentemente color oro. Ricordo che i Carabinieri avevano la divisa nera invernale. Continuo dicendo che anche il Dottor Trippetti mi chiese di effettuare l’ispezione cadaverica. Risposi che non ero in condizioni di poterla fare anche perché non rientrava nelle mie competenze, ma i due cominciarono a pressarmi insieme ad altre persone che non ricordo. Chiesi di potere effettuare l’ispezione cadaverica nella camera mortuaria dell’Ospedale di Castiglione del Lago o di Perugia, ma loro insistettero che vi erano ragioni d’urgenza imponeva l’immediata effettuazione dell’ispezione cadaverica. Ricordo che il Dottor Trippetti mi fece presente che il padre del Narducci stava poco bene e che era quindi opportuno che la salma venisse riconsegnata prima possibile ai familiari. Vista l’insistenza alla fine cedetti ed effettuai l’ispezione sul molo. DOMANDA: “Cosa accadde a quel punto? RISPOSTA: “Feci l’ispezione in condizioni impossibili, fra continue interferenze di gente che mi pressava anche fisicamente e faceva i commenti che ho già riferito. Ricordo che era soprattutto il Professor Morelli a fare pressioni su di me mentre Pierluca, il fratello di Francesco, parlottava sia con Morelli che con Farroni, che anche lui mi metteva continuamente fretta: ricordo che Morelli disse che stava compiendo la profanazione di un cadavere, mentre Farroni parlò di violenza su un cadavere. Io non risposi perché ero intenta a svolgere il mio lavoro e richiedevo che la gente mi fosse allontanata dal luogo dell’ispezione. Ricordo anche che il vento era talmente forte che non si riusciva a tenere un foglio fermo. Non effettuai la temperatura rettale perché non avevo l’attrezzatura adatta. Non verificai neppure il grado di rigidità cadaverica anche perché erano i Vigili del Fuoco che muovevano il cadavere secondo le mie indicazioni. Il cadavere era oltreché gonfio, di colore rosso violaceo, ricordo che usciva qualcosa di rosato dalla bocca. Ricordo che il cadavere non fu spogliato completamente, solo sulla parte superiore e per la parte inferiore solo abbassando leggermente i jeans, anche perché era difficile visto lo stato edematoso del cadavere.
Poi visto che il vento era insopportabile ci dirigemmo nei locali della cooperativa. Lì io e il Maresciallo Comandante della Stazione Carabinieri, cercammo di compilare il certificato di morte ed il verbale di visita esterna ma in quella stanza entravano di tanto in tanto il Morelli e il Farroni e più raramente Pierluca Narducci che io cercavo inutilmente. I tre erano interessati a quello che stavamo scrivendo e le loro insistenze divennero molto pressanti al momento in cui dovetti precisare la causa della morte, perché mentre io intendevo scrivere “asfissia da sospetto annegamento”, loro, in particolare il Morelli ed il Farroni, pretendevano che scrivessi con diagnosi di certezza “ASFISSIA DA ANNEGAMENTO”. L’Ufficio dà atto che vengono mostrati alla Dottoressa il processo verbale di riconoscimento e descrizione di cadavere contenuto negli atti relativi al decesso di Francesco Narducci. Di seguito viene mostrata la copia fotostatica di verbale di ricognizione cadaverica, contenuto sempre nel fascicolo “atti relativi”, redatto il giorno 16.10.1985 indirizzato alla Stazione CC di Magione. In ultimo viene mostrato un certificato di accertamento di morte a firma Dottoressa Mencuccini datato 14.10.1985. DOMANDA: “Ricorda di aver compilato gli atti mostrati a sua firma?” RISPOSTA: “si lo ricordo fatta eccezione per quello di visita esterna compilato alla presenza del maresciallo dei Carabinieri, nel quale non vedo la mia firma, anche perché la copia è venuta male. Posso però dire che non potevo assolutamente indicare l’orario della morte perché non avevo nessun elemento per farlo e non riesco a capire come mai sono state indicate le 110 ore prima del ritrovamento. Posso dire anche che non ricordo di aver notato segni di macerazione ma non posso escluderlo e ribadisco che non potevo dire asfissia da annegamento ma asfissia da sospetto annegamento. Mi trovo molto imbarazzata perché non riesco a capire perché ho scritto certe cose. Tengo a precisare che le voci che circolavano parlavano di una scomparsa avvenuta dieci giorni prima e la data della morte coincidente con le 110 ore antecedenti il ritrovamento non mi diceva assolutamente nulla. Viene mostrato a questo punto copia del certificato di accertamento di morte redatto dalla dr. Mencuccini. Domanda: come mai non ha redatto lei quel certificato? Risposta: Si tratta di un certificato necroscopico che ha la funzione di autorizzare il seppellimento dopo il tempo di osservazione di 15 ore dal primo certificato se il cadavere non dà segni di vita la bara può essere chiusa e a quel punto interviene il certificato necroscopico ed il seppellimento. Domanda: L’indicazione dell’epoca della morte le può essere stata suggerita dalle persone che entravano nella stanza della cooperativa, in particolare dal Morelli e dal Farroni? Risposta: Non ricordo di aver parlato di 110 ore. Quando vedrò l’originale e potrò accertare se l’atto è stato da me firmato potrò farmi qualche idea più precisa ma allo stato non ricordo assolutamente di aver indicato 110 ore e non riesco a capire come mai, nel verbale di visita esterna, abbia indicato “asfissia da annegamento” come mi chiedevano il Morelli ed il Farroni, perché non era possibile una diagnosi precisa in tal senso senza un esame autoptico…..” 
Vedi: Nota Carabinieri 27 giugno 2007 pag. 146/147/148/149/150 e Vedi: Sentenza Micheli Pag. 153/154/155/156/157/158/159

4 Marzo 2002 Testimonianza di Daniela Seppoloni

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