Il supertestimone raccontò tutto al bar del paese

FIRENZE – “Questo è un processo dove, se non si smontano quelle due testimonianze, il Vanni rischia l’ ergastolo”. Parla chiaro l’ avvocato Giangualberto Pepi. “Se mi sentissi tranquillo sarei un incosciente”, spiega. Sono passate da poco le undici quando esce dal carcere di Prato. Per 50 minuti Mario Vanni, l’ amico di merende di Pietro Pacciani, l’ anziano ex portalettere di San Casciano Val di Pesa, appassionato di vibratori e di prostitute a buon mercato, di panini dai sapori forti e di fiaschi di Chianti, è stato faccia a faccia con il giudice delle indagini preliminari Valerio Lombardo, che lunedì lo ha fatto arrestare per concorso nel duplice omicidio dei turisti francesi Nadine Mauriot e Jean Michel Kraveichvili, massacrati l’ 8 settembre 1985 in una piazzola. Due testimoni scovati dalla Squadra mobile, Fernando Pucci e Giancarlo Lotti (sui loro nomi, finora coperti dalle sigle Alfa e Beta che tante polemiche hanno provocato, è finalmente caduto il segreto), sostengono di aver visto Vanni e Pacciani mentre aggredivano i due poveretti: Vanni squarciava la tenda con un coltello, Pacciani sparava, si udivano le urla della donna mentre il giovane Jean Michel tentava disperatamente di fuggire. “Il giudice Lombardo è convinto della solidità delle accuse, su questo non c’ è dubbio”, sospira l’ avvocato Pepi. Poi lo confermerà lo stesso gip: “Nelle carte che ho ricevuto non ci sono elementi per svalutare questi testimoni”. Ma perché hanno taciuto per tanti anni? “Le persone normali forse si comporterebbero diversamente, ma in quel mondo tutto è possibile”. Il mondo del Lotti e del Pucci è, a quanto pare, quello dei guardoni, dell’ alcol, dell’ emarginazione. Lotti, che alcuni a San Casciano chiamano Ringo, faceva l’ operaio in una draga sul fiume Pesa. Era un solitario, viveva in una casa diroccata. Lotti e Pucci sostengono che la notte degli orrori Pacciani li minacciò con la pistola. Pucci voleva comunque andare dai carabinieri. Lotti no. Litigarono. Poi decisero di tacere. Ma non del tutto. Ed è qui che la storia diventa anche più inquietante. Qualche giorno dopo l’ omicidio uno dei due, mentre beveva un bicchiere in un bar in piazza dell’ Orologio a San Casciano, raccontò che la notte del delitto era passato dalla piazzola di Scopeti e aveva visto due uomini. No, non li aveva riconosciuti, disse. Eppure, anche così vaga, la sua testimonianza sarebbe stata preziosa. Al bar c’ era un sacco di gente seduta ai tavolini o nella saletta sul retro dove si gioca a carte o a biliardo. Quel racconto lo sentirono in parecchi e alcuni se lo ricordano ancora. Ma a nessuno venne in mente di parlarne ai carabinieri. “Forse – mormora il gip Lombardo – l’ omertà non è una prerogativa della Sicilia”. O forse, semplicemente, quel poverino che se ne stava sempre con il bicchiere in mano non fu preso sul serio. Però è strano che pochi giorni dopo l’ ultimo e più atroce delitto del mostro, quando oltretutto c’ era una taglia di mezzo miliardo sull’ assassino e mentre la procura era sepolta dalle denunce più o meno assurde, non una parola di quel discorso al bar sia arrivata a chi di dovere. Ora Pucci e Lotti hanno messo tutto per scritto. Sarà pure sospetto un silenzio durato più di dieci anni, ma ora ci sono due testimoni oculari che accusano Vanni e Pacciani. E due testimoni oculari non sono uno scherzo. Ne è ben cosciente l’ avvocato Pepi: “Credo che oggi il Vanni si sia reso conto per la prima volta della gravità della sua situazione. L’ ho trovato depresso, spaventato. Non mangia. Continua a ripetere la sua litania: ‘ Io sono innocente di tutto, noi si faceva solo le merende e qualche bicchiere di vino’ “. Di sicuro una catastrofe come questa non se la sarebbe mai immaginata. Il suo amico di merende Pietro Pacciani, il turbolento Vampa, è assolto e libero. Lui, timido e traballante per le frequenti sbornie, lui che tutti giudicano inoffensivo, lui che i paesani chiamano Torsolo e che alcuni hanno visto svenire davanti a un ferito che perdeva sangue dopo un incidente stradale, lui è in cella con un’ accusa da ergastolo. In sala colloqui Vanni è l’ immagine della desolazione. Occhi pesti e barba sfatta su quel viso lungo e inespressivo da anima persa. Ha dei pantaloni di velluto verde e un pullover bordeaux sulla camicia a scacchi e forse soltanto negli abiti mostra qualche tratto in comune con il suo più celebre amico di merende. Il gip Lombardo, che ha interrogato tante volte Pacciani, trova differenze abissali fra i due. Pacciani è un protagonista esuberante, Vanni offre un’ immagine di uomo spento. Ma quando vuole ha l’ occhio vispo, sicchè non si capisce se sia scemo o se faccia lo scemo, se sia un succube o se finga. Quel che è certo è che per ora Vanni non riesce a spiegare perché i suoi due compaesani Giancarlo Lotti e Fernando Pucci lo accusino. “Li conosco, sì, si beveva qualche bicchiere insieme. Ma no, non s’ è mai litigato, non capisco perché ce l’ abbiano con me”. Purtroppo per lui, il Lotti, il Pucci e anche altri testi hanno ricordi piuttosto precisi su altre circostanze. “E’ vero – ha dovuto ammettere Vanni un tantino imbarazzato – una volta sulla corriera mi cascò un vibratore, si accese e si mise a ballonzolare fra la gente”. E ricorda che sì, effettivamente, il pomeriggio dell’ 8 settembre 1985 fu respinto da una prostituta e se ne andò “incazzato fradicio”. Scusi, Vanni, ma quella sera che fece? “Come vuole che faccia a rammentarmelo dopo tanti anni?”. Nessuno è riuscito a tirargli fuori di più. Ma lunedì è il turno dei Pm Paolo Canessa e Sandro Crini, e non è escluso che il timido Torsolo si trovi di fronte al procuratore Vigna in persona. Come dice l’ avvocato Pepi: “Ora come ora la situazione del Vanni è brutta”.

di FRANCA SELVATICI

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17 Febbraio 1996 Stampa: La Repubblica – Il supertestimone raccontò tutto al bar del paese
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