Senza nome il “mostro” di Firenze

FIRENZE Ora è un giallo senza protagonisti. La procura della Repubblica ha chiesto all’ ufficio istruzione di prosciogliere per non aver commesso il fatto Salvatore Vinci, l’ ultimo imputato dell’ inchiesta sul mostro di Firenze, maniaco inafferrabile, autore di otto duplici omicidi. Sedici morti senza un colpevole. Non ci sono elementi sufficienti per un rinvio a giudizio, spiegano tra le affrescate stanze del convento seicentesco che ospita il palazzo di giustizia. Ma sul caso non viene scritta la parola fine. Il procuratore aggiunto Piero Luigi Vigna e il sostituto procuratore Paolo Canessa ancora hanno sul tavolo un fascicolo aperto. Questa volta però si procede contro ignoti. Le indagini dunque non si fermano, non sono concluse e non vengono sciolte le S.A.M., le squadre antimostro formate da agenti e funzionari di polizia, da ufficiali e sottufficiali dei carabinieri. E’ il gruppo che segue questa terribile vicenda da più di cinque anni, che ha controllato diecimila pistole di marca Beretta calibro 22 sperando di scovare l’ arma usata dall’ assassino, che ha verificato ogni minimo indizio, ogni traccia, ogni segnalazione. Purtroppo senza risultati concreti, ammettono. Ma aggiungono: Non ci fermiamo. E’ questa l’ unica certezza per una città che da un decennio vive nella paura di un assassino che ha fatto cambiare abitudini e costumi sessuali. Ben pochi frequentano le isolate viuzze delle dolci colline toscane. L’ ultima battuta comunque spetta all’ ufficio istruzione, a Mario Rotella, il magistrato che ha accumulato decine di fascicoli, di rapporti, di perizie e che esaminerà la posizione di Vinci insieme a quelle di Giovanni Mele, Piero Mucciarini e al fratello di Salvatore, Francesco Vinci, per i quali la procura aveva chiesto il proscioglimento un paio di mesi fa. Quattro protagonisti Sono i quattro protagonisti di questa tragica vicenda, apparentemente insolubile. La storia di Mele, di Mucciarini e dei fratelli Vinci si intreccia con il primo delitto, l’ assassinio di Barbara Locci e Antonio Lo Bianco, ammazzati a colpi di Beretta calibro 22 nel lontano 1968. C’ è un mistero in quel duplice omicidio, il primo che viene attribuito al mostro di Firenze e per il quale è stato processato e condannato il marito della Locci, Stefano Mele. E’ un uomo difficile, introverso, semianalfabeta. Uscito dal carcere si è trasformato in un grande accusatore, ha puntato il dito contro parenti e amici. E così sono finiti nei guai i fratelli Vinci, Giovanni Mele e Piero Mucciarini, il primo fratello e il secondo cognato di Stefano. Sono stati arrestati e scarcerati, si sono visti addossare il primo delitto e sono stati indiziati di tutti gli altri. I mandati di cattura sono della metà degli anni Ottanta ma fino ad oggi non c’ era mai stato un formale proscioglimento. Soltanto adesso, a pochi giorni dall’ entrata in vigore del nuovo codice penale, la procura ha deciso di chiudere, di cancellare quell’ ombra che ha continuato ad aleggiare sopra questi quattro uomini. Sicuramente non è stata una decisione facile, soprattutto per quanto riguarda Salvatore Vinci nei confronti del quale c’ è un pesantissimo e gravissimo rapporto dei carabinieri. E’ il rapporto dal quale è già scaturito un processo per omicidio. Ma Salvatore Vinci, accusato di aver ucciso la moglie, Barbarina Steri, è stato assolto dalla corte d’ assise di Cagliari. E sempre a favore di Salvatore si è espresso il tribunale della libertà del capoluogo sardo che ha revocato un mandato di cattura per atti di libidine, un presunto tentativo di violenza nei confronti di un pastore commesso da Vinci non appena uscito dal carcere. Oggi Salvatore Vinci, anche se introvabile, anche se rifiuta di presentarsi davanti al giudice Rotella, è un uomo libero. Anzi. E’ in qualche modo un’ altra vittima. I parenti delle vittime La procura della Repubblica ha infatti chiesto all’ ufficio istruzione di rinviare a giudizio per calunnia Stefano Mele, il testimone chiave e Ada Pierini, la convivente di Salvatore che ai magistrati aveva raccontato fosche vicende di sesso. E così il proscenio insanguinato di questo caso resta vuoto. Nel mese di marzo l’ ufficio istruzione aveva già prosciolto altri attori dell’ inchiesta: l’ infermiere di Montelupo Enzo Spalletti, il pastore Giovanni Calamosca, un ambulante passato da Vicchio, dove furono trucidati Pia Rontini e Claudio Stefanacci. Insomma non ci sono più indiziati. E’ un’ amara sorpresa per una città dove ancora campeggiano manifesti che avvertono: Occhio ragazzi non appartatevi in luoghi isolati. I parenti delle giovani vittime protestano. Chiedono a gran voce il proseguimento delle indagini nelle quali alcuni di loro si sono caparbiamente impegnati di persona. Protestano anche gli ex imputati che annunciano azioni di risarcimento danni. Una situazione resa ancor più difficile da altri omicidi insoluti. Le prostitute ad esempio. Ne sono state accoltellate quattro e l’ assassino è ancora in libertà. Una vaga speranza s’ era accesa poco più di un mese fa, nei primi giorni di settembre quando a Napoli fu arrestato, per aver massacrato una donna, Andrea Rea. Ma la luce ha illuminato l’ inchiesta fiorentina solo per pochi secondi. Andrea Rea non è il mostro di Firenze. E il caso è ripiombato nell’ oscurità più totale. L’ ultimo delitto attribuito al maniaco è avvenuto nel settembre del 1985, quando a Scopeti, una località alle porte del capoluogo toscano, furono uccisi due turisti francesi, Nadine Mauriot e Jean Michel Kraveichvli. E a quel periodo risalgono una serie di macabri messaggi del mostro: ai magistrati inviò lettere contenenti una parte del seno della giovane donna e tre proiettili calibro 22. E l’ incubo non si è dissolto.

di PAOLO VAGHEGGI

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20 Ottobre 1989 Stampa: La Repubblica – Senza nome il “mostro” di Firenze

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