Stefano Mele

Il 27 luglio 1982 gli inquirenti nella persona del Giudice Istruttore Vincenzo Tricomi e del Tenente Colonello Olinto dell’Amico, raggiunsero Ronco all’Adige per interrogare Stefano Mele. Vedi: Sentenza Rotella pag. 24

Prima di cominciare l’interrogatorio fu messo a verbale: “Prendo atto che vengo a questo punto interrogato come teste soltanto in quanto da emergenze successive alla mia condanna risulta che con la pistola usata per uccidere mia moglie e il Lo Bianco Antonio sono stati commessi altri quattro duplici omicidi che io sicuramente non posso aver commesso in quanto detenuto nel 1974 e a Ronco all’Adige nel 1981 e nel 1982

Stefano Mele ribadì la sua accusa a Francesco Vinci per il duplice omicidio di Barbara Locci e Antonio Lo Bianco.

Francesco Vinci

L’interrogatorio proseguì con le parole di Mele: “Inizialmente feci il nome di Salvatore Vinci per non chiamare in causa Francesco Vinci. Poi pressato dagli interrogatori, parlai di Francesco Vinci per cui questo fu arrestato e mentre ero alle Murate mi minacciò dicendomi che se avessi ritrattato tutto avrebbe ucciso me e la mia famiglia. Fu così che feci il nome di Carmelo Cutrona in quanto questi sapeva che stavo male ed era venuto a casa mia. Il giorno 22 agosto, dopo essere stato interrogato ed aver passato in caserma tutta la giornata sono stato rilasciato e tornai a casa con il bambino. Quella sera stessa, prima di addormentarsi, mi disse che ad uccidere sua madre e a portarlo in braccio era stato Francesco Vinci che lo aveva minacciato di morte se avesse parlato”.

Nell’interrogatorio Francesco Mele riferisce che fu la moglie di Francesco Vinci, Vitalia Muscas, a dirgli che Francesco aveva una pistola nel bauletto della vespa, il Giudice Istruttore gli contesta l’episodio e Francesco Mele ribatte che anche Francesco Vinci gli aveva detto la stessa cosa.

Infine concluse il verbale dicendo: “Non sono in grado di formulare ipotesi su chi abbia potuto indurre il bambino a dire che ero stato io. Posso dire che veniva regolarmente visitato sia dai parenti della madre che dai miei parenti. I miei parenti erano convinti che ero stato io, a maggior ragione quelli di mia moglie“. “… negli ultimi tempi la mia famiglia è timorosa del Vinci Francesco. Loro non vogliono che ritorni a Scandicci ed hanno dimostrato di non gradire la mia presenza. Credo che abbiano paura anche dei parenti del morto, questo perchè mia sorella, la maggiore, Maria, mia ha detto che quando io ero da loro non avrebbero aperto la porta a nessuno in quanto, mentre c’ero io, temevano di essere ammazzati tutti. Non so se riferissero al Vinci Francesco o ai parenti del morto“.

27 Luglio 1982 Interrogatorio di Stefano Mele

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