Il telefono di Fosco Fabbri viene messo sotto controllo e durante il servizio di ascolto di Alessandro Venturini il Fabbri chiama il fratello di Enzo Spalletti, di nome Dino. Questa una parte della conversazione:
Fosco: “C’è un altro arrivato mentre io ero lì, mi vide e disse urlando… mi si avventò addosso come se io avessi… o pallino?!!! “Ma ti rendi conto che sei nelle stesse condizioni mie ed io nelle tue? Questo mi disse “io e te non ci si conosce, non ci siamo mai visti, io non ti ho mai conosciuto“”.
Dino: “Ma lei lo conosce questo?“
Fosco: “Lo conosco sì; gli dissi di non fare il furbo – cerca di essere sincero, vedrai che ti trovi bene – se no fai la fine dello Spalletti“.
In pratica Fosco Fabbri racconta di un’episodio occorso qualche giorno dopo l’arresto di Enzo Spalletti. Durante una delle sue camminate notturne da guardone in un bosco non distante dalla Taverna del Diavolo, aveva assistito ad una litigata fra 4/5 persone, altri guardoni di zona, dove addirittura sarebbe stato sparato un colpo di pistola. Lui si sarebbe avvicinato per vedere cosa accadeva e visto da queste persone sarebbe stato minacciato.
Non mi capacito della banalità del male. Penso sempre, ingenuamente, che chi commette delitti così complessi (per l’organizzazione, per il numero delle persone implicate e non ultima, la sempre sospettata cupola mandante) siano attenti a tutto. Poi leggo e ancora leggo e tutto continua a sembrarmi una roba anche raffazzonata, sicuramemte aiutata nel nascondimento, ma spesso anche per fortuna, o superficialità. O paura, ma sempre e comunque sentimenti figli di una cultura vecchio stampo. Mi sembra figlia del tempo in cui ai crocicchi venivano bruciati i cuscini di piume. E questo mi fa ancora più male pensando ai ragazzi uccisi e all’impunità (ormai temporale) di cui tutti i coinvolti hanno goduto.