Stefano Mele

La Corte di Assise di Appello di Firenze con sentenza n. 6/71 R.S. modificò parzialmente la sentenza del 25 marzo 1970 contro Stefano Mele. L’appello era stato ottenuto in seguito al ricorso dei suoi difensori dell’11 giugno 1970.

La Corte sentenziò l’annullamento delle contravvenzioni contestategli in quanto estinte per amnistia. Confermò invece la sentenza diminuendo la pena a sedici anni di reclusione, di cui due anni vennero condonati. Fu ridotta anche la pena per reato di calunnia ad un solo anno di carcere.

Questa la sentenza di 2° grado: 2° sentenza Mele 4 marzo 1971

…dalla sentenza n. 6/71 R.S. del 4.3.1971 della Corte di Assise d’Appello di Firenze, tra l’altro si evince che:

– dopo i primi interrogatoti, nel corso dei quali Mele Stefano aveva indicato, prima Francesco Vinci, e poi Salvatore Vinci quali amanti gelosi della moglie, il Mele aveva finito per confessare di essere stato lui l’autore del duplice omicidio commesso con la complicità di Vinci Salvatore e descriveva minutamente tutte le modalità esecutive. Egli infatti ripeteva che la moglie e il figlio Natalino la sera del giorno 21 erano usciti in macchina con “ l’Enrico”, e che egli era rimasto a casa perché indisposto. Alle ore 23,30 però, stanco di stare solo, era uscito per fare una passeggiata in paese e, giunto in Piazza 4 Novembre, aveva incontrato Vinci Salvatore, vecchio amico di famiglia ,già amante della moglie, il quale aveva chiesto notizie della Barbara e di Natalino. Egli aveva risposto che i due erano usciti con l’Enrico precisando che erano andati al cinema di Signa. Al che il Vinci Salvatore, conoscendo le vicende amorose della donna, aveva consigliato: “ Perché non la fai finita? ”, ed egli di rimando: “ Come faccio senza nulla in mano, sapendo che Enrico fa praticamente la boxe? ” Il Vinci aveva replicato: “ Io ho una piccola arma”. A questo punto, i due , di comune accordo, erano saliti sulla Fiat 600 del Vinci e si erano recati a Signa, ove notavano parcheggiata avanti ad un locale cinematografico la Giulietta di Enrico. Avevano aspettato l’uscita dei tre dal cinema e li avevano seguiti (erano le ore 24 o le 00,30) per una strada in ripida salita che dalla piazza di Signa porta al locale cimitero. Quindi, dopo qualche centinaia di metri, il veicolo del Lo Bianco aveva imboccato una strada di campagna posta sulla destra e si era fermato a circa cento metri dal bivio. Anche il Vinci , avendo visto il posto occupato dalla Giulietta, aveva fermato la sua auto, e , tirata fuori da una borsa una pistola, gliel’aveva data in mano dicendogli: “ Guarda che ci sono otto colpi ”. Egli allora, con la pistola impugnata, si era avviato carponi verso l’autovettura del Lo Bianco, l’aveva aggirata dal fianco destro, si era portato sul lato sinistro e, constatato che il finestrino della portiera posteriore era abbassato, aveva fatto fuoco, facendo esplodere tutti i colpi che conteneva il caricatore, sulla moglie e sul Lo Bianco che erano adagiati, la prima sul secondo, sul sedile anteriore di destra, con lo schienale abbassato, in atto di congiunzione carnale. Si era soffermato poi ad aggiustare i corpi scomposti dei due amanti ed, all’uopo, aveva aperto la portiera anteriore sinistra del veicolo, aveva tratto la moglie ormai esamine sul sedile davanti al posto di guida, ne aveva ricomposto alla meglio le vesti, le aveva tirato su le mutandine che erano abbassate fino alle ginocchia; poi aveva ripetuto la stessa operazione nei confronti del Lo Bianco, dopo aver aperto la portiera anteriore destra, e nel ricomporre i vestiti, aveva involontariamente azionato, poggiando la mano destra sul cruscotto, il lampeggiatore che rimase acceso, ed aveva fatto anche cadere, tirando la gamba sinistra che si trovava posta di traverso sul sedile di sinistra, al di sotto della gamba della donna, la scarpa del piede sinistro vicino allo sportello anteriore di sinistra. Intanto Natalino, che dormiva sdraiato sul sedile posteriore con la testa verso la portiera di sinistra, si era svegliato ed aveva esclamato: “ babbo “. Egli , sentendosi chiamare e ritenendo che il figliuolo lo avesse riconosciuto, preso dal panico era scappato via immediatamente. Nell’ allontanarsi si era disfatto della pistola, lanciandola lateralmente alla strada ove era parcheggiata l’autovettura. Aveva quindi raggiunto Vinci Salvatore, che nel frattempo era rimasto ad aspettarlo in macchina, e gli aveva detto: “ Sono belli e sistemati”, rassicurandolo anche circa la salvezza del bambino. Era stato poi accompagnato dal Vinci in auto fino al ponte di Signa e da qui aveva proseguito a piedi verso la propria abitazione. Il Mele precisava, infine, che la pistola usata, pur non conoscendone il tipo, aveva la canna molto più lunga di quella della “ Beretta calibro nove “ , ed affermava di aver ammazzato la moglie e l’amante perché era stanco di essere continuamente umiliato e tradito: “ ….uno può sopportare e sopportare e poi arriva il momento che la testa gli gira”. Per la esatta ricostruzione del delitto, il Mele, subito dopo la sua confessione, veniva fatto salire su un’auto ed accompagnato sul posto; dopo avergli fatto ripercorrere, secondo le sue stesse indicazioni, la strada seguita per andare dietro i due amanti, gli veniva chiesto di ripetere, tenendo una pistola scarica in pugno, tutte le mosse da lui compiute nel compiere il duplice omicidio. Un’ altra auto Giulia Alfa Romeo 1300 di colore bianco era al posto della Giulietta del Lo Bianco. Il Mele eseguiva fedelmente come raccontato tutte le modalità dell’azione, precisava la posizione dei due amanti ( due militari si erano prestati a rappresentarli ) e quindi sistemava i due corpi nella maniera esatta nella quale questi furono trovati. Anzi, nella manovra involontariamente accendeva il lampeggiatore proprio come aveva descritto e notava ad alta voce questa coincidenza: “ Anche la notte è capitato così, ho messo la mano su questo posto e si è accesa la luce”; – in successivi interrogatori il Mele, pur mantenendo sostanzialmente ferma la descrizione relativa alle modalità di esecuzione anziché Vinci Salvatore accusava il fratello Vinci Francesco spiegando che il figlio era stato lasciato da questi nella casa di De Felice. Poi, però, appreso che Natalina aveva dichiarato che era stato lui a averlo accompagnato “a cavalluccio” confermava questa circostanza. Quindi il altro interrogatorio accusava Cutrona Carmelo, altro amante della moglie, per poi scagionarlo in altri interrogatori nei quali accusava di nuovo Vinci Francesco; a seguito delle reiterate chiamate di correo erano state esperite ulteriori indagini per accertare l’eventuale partecipazione di terzi alla commissione del duplice omicidio, ma senza che emergessero nei cloro confronti elementi di rilievo; si era accertato che il Mele ( che non aveva altri mezzi di locomozione) era in possesso di una bicicletta di colore rosso e che dall’abitazione di costui al cinema nel quale si erano recati i due amanti prima di essere uccisi intercorrevano Km. 2,900 mentre dal cinema al luogo del delitto c’era una distanza di Km. 2,500 e dal luogo del delitto alla casa del De Felice km. 2,100; accertamenti psicologici sul piccolo Natalino Mele concludevano per la possibilità che il ricordo dei fatti da parte del bambino potesse non essere obiettivo; la identificazione del Mele quale sicuro autore del crimine trovava fondamento nella sua confessione e, in particolare, nella ricostruzione dell’esecuzione materiale dallo stesso fatta e che dimostrava che il Mele effettivamente era stato l’esecutore materiale; circa il mezzo di cui il Mele avrebbe dovuto servirsi per seguire le due vittime dal cinema al luogo del delitto non era affatto indispensabile un veicolo a motore, ma poté benissimo far uso della sua bicicletta ovvero poté raggiungere il posto a piedi [ a proposito di queste risultanze processuali, giova rilevare che se da un lato effettivamente è provata la colpevolezza del Mele Stefano nell’esecuzione materiale del duplice omicidio, dall’altro lato, non c’è la prova di quello che effettivamente si è verificato subito dopo la consumazione del delitto e, al riguardo, giova evidenziare che fin dalle prime dichiarazioni confessorie l’uomo dichiara di aver gettato l’arma nel torrente lì vicino (arma che non verrà trovata nonostante una minuziosa bonifica anche con speciali attrezzature eseguita il 24 agosto, per cui deve evincersi che qualcuno tra la data del delitto e quella della bonifica deve esserne venuto in possesso andandola a cercare) e di aver lasciato il figlio sul posto e solo in un secondo momento, quando gli viene contestato che il figlio aveva fatto riferimento a lui, dopo aver parlato in caserma col figlio, aveva ammesso la circostanza.
Giova rilevare altresì che, così come rilevato dai giudici, l’uomo poté raggiungere benissimo il posto con la bicicletta della quale non c’è alcun riferimento obbiettivo nelle fasi successive al delitto e che, quindi, potrebbe essere stata lasciata dall’assassino sul posto nella foga di fuggire a piedi, così come dichiarato nella prima confessione].

2 Marzo 2005 Nota riassuntiva Nr.133/05/GIDES pag. 136 137 138 139

4 Marzo 1971 Sentenza n. 6/71 R.S. della Corte di Appello di Firenze per Stefano Mele
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