Il 30 settembre 1969 Stefano Mele viene rinviato a giudizio per l’omicidio Locci Lo Bianco.

Questa la richiesta: 30 Settembre 1969 – Richiesta processo Mele

PROCURA DELLA REPUBBLICA DI FIRENZE

Processo contro MELE Stefano. Richieste definitive

– Al Consigliere Istruttore dr. G.G, Alessandri

Sede

Le risultanze istruttorie appaiono esaurienti per il rinvio a giudizio dell’imputato Mele per rispondere dei reati ascrittigli negli ordini e mandati di cattura salva la integrazione di cui appresso.

Duplice omicidio: a)modalità di attuazione.

Secondo le risultanze della generica per primo venne colpito il Lo Bianco Antonio nell’atto di sollevarsi dal sedile della macchina, il primo colpo lo avrebbe ferito mentre i tre successivi gli avrebbero provocato lesioni mortali che il perito settore individuò per lesioni polmonari e spleniche con emorragia pleurica peritoneale provocate la colpi d’arma da fuoco esplosi a distanza non vicinissima con traiettoria dall’alto al basso e da sinistra verso destra.

Seguì il ferimento della Locci Barbara a mezzo del primo colpo di pistola che la raggiunse alla spalla fermandosi in cavità scapolare, essa la immobilizzò la donna che si rovesciò sul fianco destro esponendo all’arma la faccia posteriore dell’emitorace sinistro raggiunto da un secondo colpo con traiettoria dal basso verso l’alto lese delicati visceri rendendosi di effetto mortale per la vittima che venne in analoga regione raggiunta da altri due colpi.

Queste risultanze consentono di ritenere come gli otto colpi siano stati esplosi (tutti per traccia dei bossoli esplosi dalla stessa arma) guardando alla sinistra dell’auto attraverso prima lo spiraglio offerto dal vetro abbassato della portiera posteriore e poi eventualmente dal la portiera anteriore aperta dall’autore degli spari.

Il meccanismo di asecuzione degli spari rimane quindi attribuibile all’opera di una sola persona; acquistando incidenza l’eventuale cooperazione di un compartecipe solo al fine di coadiuvare ed assistere l’azione materiale del singolo esecutore.

b) Partecipazione del Mele al fatto e sua responsabilità prescindendo al momento dal considerare le versioni rese dall’imputato in ordine al sanguinoso episodio si deve rilevare come la sua partecipazione al fatto debba essere dedotta dalle seguenti circostanze di fatto accertate nel corso della istruzione: (trattasi di fatti che valgono a costituire una presunzione valida per la concordanza e la rilevanza degli indizi medesimi.)

1) Il Mele, al mattino del 22 agosto 1968, mostrandosi apparentemente indifferente all’inspiegabile mancato rientro serale della moglie e del figlio, é tuttavia pronto a ricevere i “carabinieri portatisi a casa sua e che avevano però bussato alla porta di un vicino.

2)Il Mele, il giorno 23 agosto dopo aver reso confessione del fatto, si reca con i CC. sulla località, individuando luoghi e modalità del fatto che non potevano essere a sua conoscenza se non per esservi realmente intervenuto. Si notino in particolare la richiesta di abbassamento del sedile su cui fu rinvenuto il Lo Bianco, l’indicazione della caduta della scarpa del Lo Bianco, la posizione di abbassamento dei vetri degli sportelli, la posizione delle vittime e del figlio, l’accensione di un lampeggiatore, la sensazione della morte immediata delle vittime.

3) L’allontanamento del figlio affidato dopo il fatto, ma preventivamente alla sua scoperta alle cure della famiglia De Felice, dove, come poi risultato, venne condotto dallo stesso Mele.

Venendo ora ad esaminare le molteplici diverse versioni rese dal Mele si può subito dedurre, dalla valutazione delle stesse, come il Mele abbia, In un primo tempo (22 agosto) cercato di eludere i sospetti dalla propria persona, e come poi, una volta scoperta la sua partecipazione al fatto abbia inteso con le persistenti chiamate di correo dei tre calunniati cercando di sminuire le proprie responsabilità. Evidentemente indotto alle mutevoli versioni a causa delle sue minorate condizioni intellettive (come lo dimostra il contenuto delle varie accuse volte ai calunniati) egli abbia con ciò voluto anche a sua modo rivalersi nei confronti dei torti subiti, cercando di accomunarli al proprio destino con la pretestuosa spiegazione di un movente atto a promuovere più la loro che la propria condotta, e senza voler rivelare quel più acconcio movente che lo ha indotto ad agire da solo, e, se eventualmente con l’aiuto di un compartecipe, per fini diversi da quelli attribuiti ai fratelli Vinci prima e poi al Cutrona. Ed infatti se si scorrono le versioni del Mele nel loro cronologico susseguirsi, deve esser rilevato come dapprima di rendere confessione del fatto egli abbia cercato di eludere i sospetti sulla propria persona e nell’interrogatorio del 22/8/68 ore 9,40, riferisce di certe gelosie del Vinci Francesco ed allude a ritrosie esistenti tra il Cutrona ed il Lo Bianco, manifestate anche nel pomeriggio del 21 agosto e ciò allo scopo di indurre gli inquirenti a ricercare l’autore del fatto in uno degli amanti della propria moglie mosso da sentimenti di gelosia.

Nell’interrogatorio del 23/8 al le ore 21 accusa il Vinci ponendogli come movente la negata restituzione di un immaginoso mutuo di L.300mila, o meglio insinua che il Vinci abbia potuto attuare la minaccia di uccidergli la moglie per non rendergli le 300mila lire. Ma dopo aver reso confessione del fatto attraverso la sua ricostruzione sul luogo del delitto senza far alcun accenno o richiamo all’opera di un qualsiasi compartecipe, nell’interrogatorio reso alle ore 21 dello stesso giorno 23 agosto chiama in piena correità il Vinci Salvatore che lo avrebbe accompagnato con una macchina perché “egli era stanco di sentirsi umiliato”. Interrogato ancora dal P.M. il 24 agosto giustifica l’omessa indicazione del correo in sede di accesso “perché non gli era venuta in mente e insiste nel chiamare, in correità il Vinci Salvatore, nei cui riguardi sta acquistando corpo la prova dell’alibi della partita a bigliardo con Antenucci Nicola (f.13 atti gen. ff.2 e 27 esami testi) e con ii Vargio. Solo alle 14,30 del 24 agosto il Mele, dovendo sostenere il confronto con il Vinci Salvatore ritratta le accuse che indirizza invece al Vinci Francesco. Emergono delle contraddizioni sul mezzo (Lambretta o motorino che il Vinci, avrebbe usato per andare sulla località (v. int. 26/8 del 3/2/1969 e 22/3) e del luogo d’incontro (bar, farmacia o casa del Mele, (v. interrogatori del 24,26/8 e 22/3), ma anche l’accusa contro il Vinci Francesco viene meno quando il Mele è richiamato a maggior senso di responsabilità e suggestionato dalla notizia di un accertamento peritale nei confronti del Cutrona lo accusa (v. int. del 26/8) lo accusa di XXXX di aver detto che il pomeriggio del 21 il Cutrona avrebbe litigato in casa sua con il Lo Bianco e dicendo invece ora di non aver sentito cosa i due si siano detto.

L’accusa del Cutrona si mantiene anche in un animato confronto fatto il 26/8 in cui il Mele richiama al P.M. come egli abbia mantenuto le accuse al Cutrona “guardandolo negli occhi”; poi queste accuse si ripetono al G.I. nell’interrogatorio del 3/9/1968 anche se affiora mendacio calunnioso attraverso la spiegazione della duplice causa di accusa del Cutrona (prima perché é stato l’amante di mia moglie e poi perché è stato lui ad ucciderla): fino a quando il Mele chiamato a rispondere della triplice calunnia nell’interrogatorio del 3/2/1969 ammette implicitamente le calunnie nei riguardi di Vinci Salvatore e di Cutrona Carmelo ma riprende ad accusare come compartecipe il Vinci Francesco.

Al correo il Mele in definitiva attribuisce in primo luogo il promovimento del delitto (gelosia di un amante tradito che esternerebbe la propria gelosia al coniuge consapevolmente e consensualmente tradito al punto da solidarizzare con il detto amante accomunato a costui da una impropria gelosia), in secondo luogo tutti i mezzi per la sua consumazione dall’arma ai mezzi di trasporto, infine l’esecuzione stessa del duplice delitto. Se si considera come la partecipazione del Mele si ridurrebbe in tal modo quasi ad una succube e passiva partecipazione ad un fatto quasi non sentito, ben si comprende come il Mele, per quelle minorate condizioni intellettive che sono riconosciute in perizia, abbia cercato di sminuire le proprie responsabilità creando una montatura di concorso con cui o cerca di sminuire le proprie responsabilità o cerca di occultare eventuali possibile compartecipi che lo abbia no coadiuvato in un’azione che non trova altri moventi che quelli propri del Mele che, stanco ma non umiliato dai tradimenti della moglie, ed irritato dal dilapidamento dei soldi che essa faceva con la propria vita dissoluta aveva anche quella sera offeso il Mele recandosi ad amoreggiare portando via di casa gli ultimi soldi di cui il Mele disponeva. Si consideri infatti come nella macchina degli amanti sia stato trovato il borsellino della Locci contenente lire 24.625 (f.45 atti gennerici) che rappresentavano le ultime disponibilità del Mele.

Il mancato rinvenimento dell’arma non può far escludere che essa sia stata effettivamente tenuta dal Mele, costui era consapevole per averglielo rivelato la moglie ed in altra occasione il Vinci Francesco come essa fosse solita recarsi ad amoreggiare nella località ove è accaduto il fatto; questa località era comunque raggiungibile anche a piedi, se non con le bicicletta del Mele stesso.

Mentre acquista cosi consistenza la possibilità che il delitto sia stato opera del solo Mele vale il caso di considerare, anche ai fini della con figurabilità del delitto di calunnia, come nessun elemento sia emerso a carico del Vinci Francesco se non le accuse del Mele che non possono certamente esser attese per la capacità di colui che le ha formulate. Il Vinci Francesco in effetti e salvo il valore che può essere attribuito all’alibi giustificato dalla di lui moglie e dal fatto che i CC, lo trovarono alle 5 in casa propria, non aveva in realtà manifestato al Lo Bianco né alla Locci delle minacce. Nei riguardi di costei si era trattato di discorsi generici; comunque le risultanze non consentono alcuna formulazione di accusa nei suoi riguardi. Anche a voler valutare le versioni rese dal figlio del Mele sugli eventuali compartecipi il Vinci è categoricamente escluso, e mentre è accusato il Pietro Mucciarini rivelazioni siano del tutto inattendibili perché a prescindere dalla certezza del ricordo del bambino risulta che costui, interrogato dal P.M. alle 19,30 del 24/8 (F.7 esami testimoniali) La data dell’atto si evince dall’interrogatorio del Mele del 24/8 ore 21,15 f.20 inter., ebbe ad affermare reiteratamente che il padre era solo.

Si osservi per inciso come altri amanti avevano goduto delle grazie della Locci, il Vinci Francesco ha fatto il nome di diversi tra cui il Cutrona Carmelo (anch’esso siciliano) e non si comprende per ché abbia eventualmente dovuto vendicarsi del solo Lo Bianco.

Ma se eventualmente altro compartecipe è intervenuto nel fatto per prestare aiuto al Mele esso è certamente allo stato sconosciuto, non potendosi prestare fede alle indicazioni del Natalino Mele sul Mucciarini Pietro non comprendendosi tra l’altro quale movente possa avere indotto tale persona ad assumersi si gravi responsabilità in favore di un affine neppure corregionale. L’esame psichico sul minore da una spiegazione clinica su certe amnesie manifestate dal bambino nei suoi esami che appaiono pertanto del tutto ininfluenti sulla istruttoria, ancorché alcuni particolari trovino spunti di coincidenza con i fatti. Ma si è trattato di particolari di fatto e non certo di riferimento di persone, o di loro qualità come il mestiere dell’indiziato Mucciarini. Ora la responsabilità del Mele in ordine all’acqusito movente non può essere che di uxoricidio premeditato, non militando certamente a favore del prevenuto le condizioni ed i presupposti dell’omicidio per motivi di onore, dal momento che la ritorsione sugli adulteri fu provocata non già dalla umiliazione inferta alla sua dignità di coniuge, ma dal risentimento per il dispendio della donna. Si trattò quindi di un movente autonomo ed indipendente rispetto alla condotta dissoluta della moglie, che per altro in nessun modo ebbe mai a colpire l’affettività del Mele al punto che nessuno lo riteneva capace di uccidere per tale fatto la moglie.

Il fatto che l’azione delittuosa sia stata estesa al Lo Bianco, occasionale compagno della donna, si deve ricollegare all’intenzione del Mele di voler punire coloro che con la moglie fossero causa delle sue traversie economiche, sapendo il Mele che la moglie sprecava il denaro a causa delle sue relazioni amorose. Si noti come quella sera il biglietto di eccesso al cinema fosse stato pagato dalla donna anche per il Lo Bianco. L’imputazione di duplice omicidio deve essere, valutata nella previsione del concorso materiale essendo stati i più eventi la realizzazione di un medesima azione. Non ci si discosta dalle dichiarazioni e dalle ammissioni del Mele integrando la imputazione con l’enunciazione dell’eventuale compartecipazione con persona rimasta sconosciuta.

Calunnie: Gli alibi emersi a favore dei tre incolpati rivelano come il Mele sia pur sotto l’influenza determinatrice della sua minorata capacità mentale abbia reiteratamente voluto accusare le tre persone che sapeva innocenti. Per tutte si è verificato il pregiudizio dell’inizio dell’azione penale.

Porto d’arma e omessa detenzione d’arma: le imputazioni conseguono alle acquisite risultanze.

P.Q.M. si conclude

chiedendo che il sig. Consigliere istruttore del Tribunale di Firenze voglia con sentenza dichiarare chiusa la formale istruzione e rinviare Mele Stefano avanti alla Corte d’assise di Firenze competente per materia e per territorio, fermo restando lo stato di detenzione attuale per rispondere: I) del delitto di duplice omicidio in danno della moglie Locci Barbasa e di Lo Bianco Antonio, con le aggravanti di cui alle imputazioni diguranti nell’ordine di cattura del 24/8/1968, integrandosi le inputazione con l’enunciato di aver da solo o con l’eventuale compartecipazione di altra persona rimasta sconosciuta (art. IIO C.P.) 2) dei reati di triplice calunnia, detenzione d’arMa e porto d’arma abusivo come al mandato di cattura del 24/1/1969.

Firenze lì 30 settembre 1969

IL PROCURATOR DELLA REPUBBLICA (Dr. Antonio Spremola sost.)

30 Settembre 1969 Rinvio a giudizio per Stefano Mele

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