FATTO:
Lo straccivendolo Severino Bonini, che abitava in Vicchio di Mugello insieme alla sorella Maria Annunziata, era solito trascorrere i primi giorni della settimana presso la madre e i fratelli in Cuccino, frazione di Rostolena, dello stesso comune di Vicchio, poiché in quei giorni appunto egli effettuava delle gite nelle zone vicine a detta località per far raccolta di stracci e di materiali ferrosi. Così anche la mattina dell’11 aprile 1951 egli partì da Cuccino, ove si era recato sin dal lunedì precedente, 9 aprile, e si diresse verso la zona di Poggio Secco, posta in frazione di Villore. Alla sera però egli non fece ritorno a Cuccino, come avrebbe dovuto, onde il giorno successivo i suoi congiunti, impressionati per questa sua inspiegabile assenza, ne iniziarono le ricerche dalle parti di Poggio Secco.
Risultò così loro che il Bonini il giorno innanzi, dopo essersi fermato presso varie case coloniche, era giunto a quella del colono Scarpi Carlo, detta la Casa Nuova, quivi si era trattenuto a mangiare un boccone con la famiglia Scarpi, andandosene quindi nelle prime ore del pomeriggio. Da quel momento se ne perdevano le tracce.
Anche la giovane Bugli Miranda, figlia della vedova Tagliaferri Ida, convivente more uxorio con lo Scarpi, dichiarava di nulla sapere del Bonini, pur essendo uscita di casa con le pecore pochi minuti prima che egli se ne andasse. Quella sera stessa pertanto i familiari del Bonini denunziavano la scomparsa di costui ai Carabinieri della Stazione di Vicchio. Ma poco dopo i Carabinieri venivano informati da certo Fabiani Fernando che la Bugli, presso la quale i Bonini avevano nuovamente insistito per avere notizie del loro congiunto, aveva finito con l’ammettere che questi era stato ucciso nel pomeriggio dell’11 aprile
dal di lei fidanzato Pacciani Pietro, abitante a Paterno.
A tarda ora dello stesso 12 aprile, i Carabinieri si recavano alla Casa Nova e sottoponevano ad interrogatorio la Bugli, che confermava loro l’avvenuta uccisione del Bonini ad opera del Pacciani. Costei riferiva di essere uscita dalla propria abitazione prima del Bonini, verso le 14,30, per condurre le pecore al pascolo nel bosco di Tassinaia, e di essere poi stata raggiunta lungo il cammino dallo stesso Bonini, che accompagnatosi a lei, le aveva ad un certo momento posto una mano sulla spalla con evidente intenzione di abbracciarla, al che essa lo aveva pregato di lasciarla stare ed egli aveva ubbidito.
Giunti però che furono alla “Fossetta di Tassinaia”, lo straccivendolo l’aveva di nuovo presa per le spalle, cercando di condurla entro la gola del fosso. Essa aveva fatto resistenza, ma era caduta [ed il] Bonini le era andato allora sopra per violentarla. In quel [???] sopraggiunto il Pacciani che, gridando “Tu ti approfitti della mia fidanzata ed io mi approfitto di te”, si era lanciato contro il Bonini, [???] faceva l’atto di rialzarsi, e, gettatolo a terra con una spinta, [???] colpito ripetutamente con un coltello in direzione del cuore, [???] alla testa ed alla faccia; lasciando quindi per terra il Bonini [???] il Pacciani si era rivolto contro di lei, e, raggiuntala mentre cercava di scappare, le aveva dato una spinta, facendola ruzzolare in terra [???]. L’aveva poi avvertita che non le avrebbe fatto del male, purché essa promettesse di sposarlo e di non rivelare ad alcuno l’accaduto. [???]ta, essa aveva promesso quanto le era stato richiesto, ed aveva anche acconsentito a che il giovane si congiungesse con lei carnalmente. Entrambi infine si erano recati alla Casa Nova, ed ivi si erano trattenuti una ventina di minuti, dopo di che, tornati fuori, si erano lasciati, e mentre il Pacciani si era diretto verso Villore, essa era tornata nel bosco a riprendere le pecore.
La Bugli aggiungeva che il cadavere doveva essere stato rimosso dal luogo del delitto e probabilmente gettato nel lago Altura (o laghetto di Maioli), distante un trecento metri da detto luogo. A seguito di tali dichiarazioni i Carabinieri, nelle prime ore del mattino del 13 aprile si portavano a Paterno nell’abitazione del Pacciani, ove veniva tratto in arresto e condotto in caserma. Interrogato, egli si mantenne dapprima sulla negativa, asserendo di nulla sapere della fine del Bonini, ma dopo che gli fu data lettura delle dichiarazioni della Bugli, finì col confessare di essere stato lui ad uccidere il Bonini. In proposito precisò che la mattina dell’11 aprile, verso le 10,30 egli si era recato nel paese di Villore dal fabbro ferraio Giudici Dante per ritirare alcuni attrezzi agricoli che vi aveva portato a riparare; avendo però appreso dal Giudici che sarebbero occorse altre due o tre ore perché gli attrezzi fossero pronti, aveva pensato di approfittare di quel tempo per andare a trovare a casa la fidanzata. Lungo il tragitto, aveva incontrato nel bosco due donne, dalle quali aveva saputo che la Bugli al mattino era stata in quei pressi a pascolare le pecore e vi avrebbe fatto ritorno anche nel pomeriggio. Perciò, essendo alla Tassinaia, egli si era fermato per attendere il ritorno della ragazza, la cui casa era poco distante. Verso le ore 15, l’aveva finalmente veduta giungere col gregge, in compagnia del Bonini, che le teneva il braccio destro sulla spalla. Nascosto dietro un cespuglio, aveva notato i due entrare nella gola del fosso e sedersi a terra e conversare. Così aveva sentito il Bonini dire alla ragazza: “Se tu mi dai retta, ti darò duemila lire per farti un bel vestito”. Dopo di che la Bugli si era sdraiata supina a gambe aperte, tirando fuori la mammella sinistra, e il Bonini le si era buttato sopra e si erano congiunti carnalmente. Accecato dall’ira, non potendo più resistere a quell’orrendo spettacolo, era uscito dal suo nascondiglio e si era diretto verso di loro.
Vedendolo sopraggiungere, la Bugli, impressionata ed impaurita, gli aveva gridato: “Uccidilo, uccidilo, mi ha voluta violentare per forza”. Egli, pensando al bene che voleva alla ragazza, si era allora scagliato sul Bonini, colpendolo ripetutamente al petto e al viso con il coltello che aveva in mano. Sollecitato quindi dalla fidanzata a finire il Bonini agonizzante, aveva inferto ancora al disgraziato due o tre colpi di coltello al petto. Poi aveva raggiunto la Bugli, che cercava di allontanarsi, e si erano posti entrambi a sedere per terra.
Riflettendo allora a quanto era accaduto, egli si era reso conto di aver fatto male ad uccidere il Bonini, essendo stata la giovane consenziente alle proposte di costui, ed aveva pertanto fatto presente alla Bugli che avrebbe dovuto uccidere lei, anziché il Bonini. A queste parole la Bugli si era allontanata di corsa, gridando aiuto, ma egli l’aveva di nuovo raggiunta e le aveva detto di non vociare, assicurandole che non le avrebbe fatto del male; si era fatto promettere da lei che lo avrebbe sposato, e si era pure congiunto con lei carnalmente. Avendo poi cominciato a piovere, si erano recati entrambi alla Casa Nuova, dove erano rimasti circa un’ora, e quindi, cessata la pioggia, erano tornati nel bosco per riprendere le pecore.
Trascorsa un’altra ora insieme, si erano finalmente separati. Egli aveva fatto ritorno a casa, dopo essere passato da Villore a ritirare gli attrezzi, ma verso le 19,30 era nuovamente uscito, e, portatosi a Tassinaia, aveva preso il cadavere dell’ucciso, e, trasportatolo a spalla in un altro punto del bosco, distante un 200 metri dal luogo ove era stato commesso l’assassinio, lo aveva nascosto in un cespuglio, dopo averlo trascinato per gli ultimi metri con una corda legatagli intorno al collo.
I Carabinieri provvedevano tosto ad informare del delitto la Procura della Repubblica di Firenze. Con l’intervento di un Sostituto Procuratore, veniva effettuato un accesso sul luogo, ove il delitto sarebbe avvenuto. Successive accurate ricerche condotte sulla scorta delle indicazioni fornite dal Pacciani, portavano al rinvenimento del cadavere del Bonini, che giaceva disteso bocconi in mezzo ad una fitta macchia di cespugli, coperto in parte da foglie e frasche. Dopo aver proceduto agli opportuni rilievi, il Magistrato ordinava la rimozione del cadavere ed il suo trasporto al Cimitero di Rostolena per l’esame necroscopico. L’autopsia poneva in evidenza che il Bonini aveva ricevuto una ventina di ferite, parte delle quali erano state inferte con arma da punta e taglio, e parte con corpo contundente. Il perito concludeva che la morte del Bonini era stata determinata da grave stato di choc e da anemia conseguente a tali lesioni.
[???] rinvenimento [???] Pacciani veniva sottoposto dai Carabinieri a un nuovo interrogatorio nel corso del quale confessava di essersi impossessato del portafoglio appartenente al Bonini e del denaro in esso
contenuto, precisando che, quando la notte era tornato sul luogo del delitto, nell’atto di spostare il cadavere, il portafoglio era caduto a terra. Egli lo aveva raccolto e poi, tornato a casa, lo aveva nascosto dentro una siepe a breve distanza dalla propria abitazione, con tutto il contenuto, all’infuori del denaro che aveva riposto sotto una mattonella nell’ingresso di casa, proponendosi di spenderlo insieme alla Bugli. Ammetteva che sino a qualche tempo prima aveva detenuto una rivoltella a tamburo semi efficiente, trovata casualmente in aperta campagna, ma avendola in seguito nascosta in un cespuglio vicino a casa, dopo qualche tempo non ve l’aveva più ritrovata. A sua volta la Bugli, interrogata nuovamente dai carabinieri, e successivamente dal S. Procuratore della Repubblica, confermava sostanzialmente la versione dei fatti resa in precedenza, precisando peraltro che, [???] che furono nella fossetta di Tassinaia, il Bonini con cui mai in precedenza aveva avuto relazione amorosa, la aveva gettata per terra e una volta venutole addosso, e sbottonatisi i pantaloni, aveva estratto il membro e aveva cercato di sollevarle il vestito nell’intento di congiungersi carnalmente, senza tuttavia riuscirvi per la resistenza da lei opposta e per il sopraggiungere del Pacciani, nel quale essa aveva veduto un [??? soccorritore?], al che gli aveva chiesto aiuto, invitandolo a picchiare il Bonini. Essendosi però accorta ad un dato momento, che il fidanzato colpiva il Bonini col coltello, gli aveva gridato di smettere, ma il Pacciani, ormai [??? accecato?] dalla furia, aveva continuato a vibrare coltellate su tutto il corpo dell’avversario. La giovane pertanto negava, sia di avere incitato il fidanzato ad uccidere il Bonini, sia di averlo in un secondo momento [a finire?] l’agonizzante. Fra l’altro ella riferiva pure che l’omicidio era stato commesso alle 15,15, come aveva potuto controllare con l’orologio; che dopo aver finito il Bonini, il Pacciani si era messo a raddrizzare la punta del coltello, ordinando a lei di attendere perché poi l’avrebbe uccisa; che nel mentre cercava di fermargli la mano, si era ferita ad un dito col coltello; che il Pacciani le aveva imposto di non riferire ad alcuno quanto era avvenuto, minacciandola di farle fare altrimenti la stessa fine del Bonini; che lo stesso Pacciani, mentre si recavano insieme alla Casa Nuova, le aveva manifestato il proposito di impossessarsi del portafoglio del Bonini, asserendo che come commerciante di stracci doveva possedere denaro in abbondanza, e le aveva poi detto che nottetempo sarebbe tornato sul luogo del delitto per portare via il cadavere e gettarlo nel lago.
Il portafoglio e il denaro del Bonini, nonché il coltello di cui si sarebbe servito, venivano in seguito rinvenuti dall’arma su indicazione dello stesso Pacciani.
In base agli elementi raccolti nel corso delle indagini i carabinieri di Vicchio con rapporto del 17 aprile 1951 denunziavano all’Autorità giudiziaria in stato di arresto il Pacciani e la Bugli quali responsabili, il primo di omicidio volontario aggravato, di vilipendio di cadavere e di furto aggravato, la seconda di concorso nell’omicidio. Si procedeva quindi a formale istruzione nei confronti di costoro, che venivano interrogati con mandato di cattura.
Il Pacciani si riportava alla versione già data ai carabinieri, con qualche modificazione: in ordine alle circostanze in cui era avvenuto il delitto egli confermava di aver veduto il Bonini e la Bugli nella gola della fossetta di Tassinaia congiungersi carnalmente consenziente la ragazza, e assumeva di essere rimasto a tal vista così accecato, sì da perdere la coscienza dei propri atti, coscienza che aveva riacquistato soltanto quando si era ritrovato con il coltello dalla punta storta in mano ed il Bonini steso morto a terra.
Ricordava però di essersi precipitato giù contro i due amanti urlando, ma senza profferire parola, e di essersi scagliato contro lo straccivendolo dopo che la Miranda gli ebbe gridato “ammazzalo, ammazzalo, mi ha voluto pigliare per forza”; e ricordava di aver colpito il Bonini anche con calci alla testa. Dava inoltre numerosi particolari di quel che era avvenuto subito dopo il delitto. Negava sia di aver minacciato di morte la ragazza, per il caso che avesse parlato, sia di essersi congiunto con lei carnalmente, sia di averle manifestato il proposito di impossessarsi del denaro dell’ucciso e di gettarne il cadavere nel lago.
Descriveva in qual modo aveva nella notte trasportato il cadavere là, ove gli investigatori lo avevano trovato, aggiungendo di aver rinvenuto il portafoglio per terra, mentre tornava indietro dall’avere occultato il cadavere.
Circa la destinazione del denaro sottratto si limitava ad ammettere la possibilità che fosse stata sua intenzione spenderlo con la fidanzata. Per quanto poi riguardava i suoi rapporti con quest’ultima, egli sosteneva che pur essendo a conoscenza dei trascorsi di lei (in precedenza essa aveva anche abortito), ne era però tanto innamorato, da credere alla sua fedeltà, sebbene negli ultimi tempi gli amici lo avessero avvertito che costei si perdeva con tutti. Contestava d’altro canto di aver mai avuto rapporti intimi con la stessa.
Confessava infine di aver detenuto due pistole senza averne fatta denuncia all’Autorità (una di tali pistole venne sequestrata dai carabinieri nell’abitazione dell’imputato).
In un successivo interrogatorio il Pacciani dichiarava di aver preso il portafoglio del Bonini non già con l’intenzione di trarne profitto della somma contenutavi, ma col proposito di farlo riavere ai di lui congiunti. Egli riferiva altresì che la sera stessa dell’11 aprile aveva trovato la balla degli stracci appartenente all’ucciso e la aveva nascosta sotto un ginepro a poca distanza dalla strada di Poggio Secco (ove la balla fu in seguito rinvenuta dal Bonini Olinto).
Dal canto suo la Bugli protestava dinanzi al Giudice Istruttore la propria innocenza, confermando in particolare di avere solo incitato il fidanzato a picchiare e di avergli gridato tosto di smettere, non appena accortasi che usava il coltello. Aggiungeva che dopo aver accoltellato il Bonini, il Pacciani gli aveva tirato delle calcagnate alla testa. Confessava inoltre di aver avuto più volte rapporti carnali col Pacciani
sia in casa che nel bosco, e, prima di fidanzarsi con costui, di aver avuto altri rapporti intimi con vari giovani della zona.
Dati i numerosi punti di contrasto fra le versioni dei due imputati, si procedeva ad un confronto tra loro, ma ciascuno manteneva quanto già dichiarato.
Al termine della formale istruzione, nel corso della quale i parenti dell’ucciso si costituivano parte civile, il G.I. con sentenza 17.9.51 ordinava il rinvio a giudizio dinanzi alla Corte di Assise di Firenze del
Pacciani e della Bugli per rispondere dei reati loro rispettivamente ascritti in rubrica (esclusi il delitto di rapina e le aggravanti di cui ai Nr. 1 e 3 dell’art. 577 C.P. – omicidio commesso a scopo di rapina e con premeditazione – contestati all’udienza). Quivi la contestazione veniva integrata e modificata, precisandosi che “la morte di Severino Bonini, come emerge dai reperti necroscopici, fu cagionata da colpi di arma da punta e taglio, e da colpi inferti da corpo contundente (non solo calci).
[???] Pacciani Pietro colpevole del delitto di omicidio, con attenuanti generiche, [???]cluse le aggravanti contestate; del delitto di occultamento di cadavere con le aggravanti di cui agli art. 61 nr. 2 e 5 C.P.; del delitto di atti osceni continuati; del delitto di furto pluriaggravato; del delitto di asportazione di una pistola a rotazione; delle contravvenzioni di detenzione ed omessa denuncia di due rivoltelle; e di porto di un coltello a serramanico e lo condannava alla pena complessiva di 22 anni, [???] mesi e 5 giorni di reclusione, 12.000 lire di multa, e lire 1.000 di ammenda; la Bugli colpevole di concorso nell’omicidio del Bonini, con l’esclusione delle aggravanti contestate, nonché di atti osceni continuati e condannata con la diminuente dell’età inferiore agli anni 18 per entrambi i delitti e per il delitto di omicidio anche con le attenuanti di cui agli art. 62 bis e 114 C.P., ed escluso dagli atti osceni l’episodio Bonini, alla pena complessiva di anni 6, mesi otto di reclusione. Pene accessorie come per legge.
Il Pacciani veniva assolto dalla contravvenzione di porto abusivo di coltello perché il fatto non costituisce reato e la Bugli dalla imputazione di rapina aggravata per insufficienza di prove.
La sentenza venne appellata dal P.M., dalla Bugli e dal Pacciani, i quali tutti assumendo che la Corte di Assise aveva valutato erroneamente in fatto e in diritto le risultanze processuali e rispettivamente chiedevano: il P.M. che fosse affermata la colpevolezza degli imputati alla stregua delle richieste da lui formulate in primo grado ed applicazione delle pene ivi richieste e precisamente, che il Pacciani e la Bugli fossero dichiarati colpevoli dei reati loro rispettivamente contestati nel capo di imputazione, aggiungendosi all’omicidio già aggravato per la crudeltà [???] scopo di rapina, nonché colpevoli di rapina aggravata e condannati rispettivamente il Pacciani alla pena di anni 30 di reclusione, lire 60.000 di multa, mesi 6 di arresto; per la Bugli anni 22 di reclusione, e lire 40.000 di multa, modificata la imputazione di soppressione di cadavere in quella di occultamento di cadavere ed escluso dagli atti osceni l’episodio Bonini; la Bugli di essere assolta dal concorso in omicidio per non aver commesso il fatto; di essere assolta dal delitto di rapina perché il fatto non sussiste; la concessione del perdono giudiziale per il delitto di atti osceni continuati; il Pacciani la concessione delle attenuanti generiche anche per i reati minori a lui contestati, concessione della diminuente del vizio parziale di mente (motivo rinunciato al dibattimento) concessione della attenuante di cui all’art. 62 n. 2 C.P., diminuzione della pena partendo dal minimo [???] per il delitto di omicidio applicando le attenuanti generiche nel massimo nonché pene più miti per i reati minori.
Dai difensori degli imputati veniva contestato il motivo di appello dedotto dal P.M. in ordine alla non ritenuta sussistenza da parte della Corte della aggravante della crudeltà, essendo generico.
DIRITTO: La Corte dà atto anzitutto della rinuncia da parte della difesa Pacciani del motivo di appello in punto alla seminfermità mentale; riconosce pure la fondatezza dell’eccezione in ordine alla genericità del motivo dell’appello del P.M. riguardante la non ritenuta sussistenza dell’aggravante della crudeltà, che è stato solo implicitamente enunciato, senza alcuna motivazione, nella richiesta del P.M.
Quindi osserva: le dichiarazioni degli imputati concordano fino ad un certo punto, ma divergono in ordine al comportamento tanto del Bonini nei confronti della ragazza quanto in punto al contegno reciproco rispettivamente del Bonini e della Bugli. La versione della Bugli configura una ipotesi di brutale violenza carnale da parte del Bonini ai suoi danni; il Pacciani per contro, con abbondanza di particolari, parla di un congiungimento carnale in atto fra i due, consenziente la fidanzata, che sarebbe stata allettata dalla promessa da parte del Bonini di darle del denaro per comperarsi un vestito. Il Pacciani afferma anche che la Bugli, non appena lo vide arrivare, lo incitò ad uccidere il Bonini, gridando che la aveva voluta prendere per forza e aggiunge che quando la vittima giaceva già a terra agonizzante, la Miranda lo invitò a finirlo.
La Bugli contesta invece tali incitamenti e solo ammette di aver detto al Pacciani di picchiare il Bonini, per dare a questi una lezione.
Queste sono in sostanza le maggiori e più importanti divergenze.
Secondo le confidenze fatte dalla Bugli alla madre e alle prime dichiarazioni rese dalla ragazza alla P.G. il Bonini avrebbe voluto possederla e perciò cercava di toccarla, ma essa gli avrebbe detto che quelle cose non le faceva, così che nulla di grave era accaduto.
Attesa la natura, violenta a subitanea del Pacciani non appare logico e aderente a tale temperamento, che egli restasse immobile e impassibile a guardare quei particolari libidinosi, e osceni fino al punto che egli chiama “orrendo spettacolo”.
I contrasti sopra riferiti e le altre contraddizioni minori che si rilevano nelle dichiarazioni dei due giovani e delle quali vi è accenno nella parte narrativa, le confidenze fatte alla madre, le prime dichiarazioni rese dalla Bugli ai carabinieri, il rilievo sulla natura del Pacciani, estremamente geloso, fanno già dubitare con fondamento che fra il Bonini e la Bugli vi siano stati gli atti descritti dalla ragazza e quelli costituenti lo spettacolo orrendo riferito dal Pacciani.
Ma una circostanza di valore decisivo, acclarata al dibattimento [???] escludere che fra il Bonini e la Bugli vi sia stato un congiungimento carnale o un tentativo di violenza carnale fino al punto narrato dalla Bugli. È stato accertato in modo indubbio che il cadavere del Bonini aveva i pantaloni abbottonati ed è escluso a causa del piantonamento del cadavere che qualcuno li abbia poi sbottonati; il dott. Puccini, perito giudiziale, constatò pure che il membro era regolarmente disposto sia sotto i pantaloni, che sotto le mutande, che erano pure chiuse, ed escluse l’esistenza di tracce di sperma alla regione genitale. Data l’irruenza del Pacciani che si precipitò con furia sul Bonini, costui non avrebbe d’altra parte avuto il tempo di abbottonarsi i pantaloni.
È vero che più tardi la Bugli prima ai Carabinieri e poi al magistrato parlò di un tentativo di violenza carnale e il Pacciani disse di un completo congiungimento carnale con spettacolo orrendo, come già sopra è stato accennato, ma queste modifiche e aggravamenti, difformi dalla realtà dei fatti, da parte dei due imputati, si spiegano con la loro linea di difesa. Infatti la Bugli aveva interesse a dire di essere stata oggetto di un grave tentativo di violenza carnale da parte del Bonini, per giustificare le sue parole “Ammazzalo, ammazzalo” o “Picchialo, picchialo, ha cercato di prendermi con la forza”; il Pacciani per dimostrare che egli fu spinto a gettarsi contro il Bonini e a colpirlo col coltello a causa del contegno offensivo e osceno del maschio e della femmina. Va rilevato al riguardo che il Pacciani dapprima negò tutto, e solo confessò quando gli furono contestate le dichiarazioni della Bugli, che gli indicarono la propria linea di difesa.
Pertanto ad avviso di questa giustizia il comportamento del Bonini e della Bugli non andò al di là di qualche amplesso o tentativo di amplesso da parte del Bonini verso la ragazza, stroncato dall’apparire del Pacciani.
Si tratta ora di stabilire se e in quale misura la Bugli abbia con- [???]nte della provocazione a favore del Pacciani.
La difesa della Bugli sostiene che il Pacciani, nel momento in cui si precipitò sul Bonini era ormai completamente deciso ad uccidere costui, per cui le parole dette dalla Bugli “picchialo, picchialo” andarono a vuoto e non ebbero alcuna efficacia determinativa o rafforzativa su di una volontà che ormai era determinata e decisa in quel senso. Tale argomentazione potrebbe aver valore nell’ipotesi, ormai esclusa per quanto è stato detto, che il Bonini e la Bugli fossero arrivati fino al tentativo di violenza carnale come descritto dalla ragazza o allo spettacolo orrendo detto dal Pacciani, ma non lo può avere per gli atti commessi dal Bonini e dalla ragazza colle modalità e nella misura ritenuti dalla Corte. Pur riconoscendo nel Pacciani un carattere violento, geloso e subitaneo, questa Corte ritiene che la vista dei due in un amplesso o in un tentativo di amplesso da parte del Bonini non avrebbe senz’altro determinato il Pacciani ad uccidere lo straccivendolo, e che invece le parole “ammazzalo, ammazzalo” con l’aggiunta “mi voleva prendere per forza” furono quelle che hanno maggiormente acceso e sconvolto la mente del Pacciani e determinato in lui il proposito di uccidere il presunto rivale.
Tra le due versioni, rispettivamente del Pacciani e della Bugli, quella del primo, secondo la quale la ragazza gridò “ammazzalo, ammazzalo, mi voleva prendere per forza”, contrastante con quella della Bugli, che affermò di avergli detto solamente “picchialo, picchialo”, e di avergli ingiunto di smettere quando vide che il Pacciani dava di coltello, la Corte ritiene per vera quella data dal Pacciani. Essa infatti è più aderente alla situazione psicologica della ragazza, la quale, sorpresa dal fidanzato, volle far credere e persuadere il Pacciani di essere stata succube del Bonini, sviando da sé in quel terribile e pericoloso frangente l’ira e la vendetta del Pacciani, di cui ben conosceva il carattere geloso e subitaneo. E tale abilità ed astuzia ella mostrò anche successivamente, quando dopo l’uccisione del Bonini, minacciata di morte dal Pacciani, ne distolse l’attenzione dicendo: “c’è gente”, riuscendo ad allontanarsi di alcuni passi, e più tardi per calmarlo, gli si concesse in aperta campagna stesa su alcuni sassi.
D’altra parte non avvalora la tesi della difesa Bugli il contegno selvaggio e belluino con cui il Pacciani infierì poi sul Bonini, contegno che si spiega col fatto che egli alla vista del sangue aveva [perduto/rotto??? freno???]
La Corte di Assise di primo grado ha concesso alla Bugli la attenuante di cui all’art. 114 C.P., ritenendo che essa abbia avuto minima importanza nella esecuzione dell’omicidio. L’insussistenza di detta aggravante appare evidente: infatti ritenuto per quanto è stato detto che essa ha determinato la volontà omicida del Pacciani, tale incitamento non può dirsi di importanza minima. Pertanto è accolto questo appunto dell’appello del P.M. Non è nemmeno riconosciuta l’attenuante della provocazione, invocata dal Pacciani. Ritenuto che gli atti commessi dal Bonini e dalla Bugli rimasero nei limiti di un amplesso o di tentato amplesso da parte del Bonini, senza che vi sia stato nulla di grave, questo fatto non era tale da giustificare una reazione così violenta da parte del Pacciani. L’ingiustizia, requisito del fatto provocatorio, deve consistere in qualche cosa che effettivamente costituisca un torto, una offesa grave nel senso dell’accezione comune, e non basta che appaia tale nella mente di colui che si ritiene colpito dal fatto stesso. A giudizio della Corte il semplice amplesso o tentativo di amplesso intercorso tra i due non riveste la gravità da giustificare l’atto violento del Pacciani.

Osserva poi come non risultando certo che il Bonini sapesse del fidanzamento Pacciani-Bugli, egli poteva non sapere di arrecare offesa a costui; e che mancando la prova sicura che la ragazza si fosse prestata volontariamente agli adescamenti del Bonini non si può neppur affermare che essa commettesse volontariamente atto ingiusto nei confronti del fidanzato. Infine tale attenuante non potrebbe concedersi anche per il motivo che per le stesse considerazioni, che giustificherebbero la concessione dell’attenuante della provocazione, se non espressamente, almeno implicitamente sono state concesse le attenuanti generiche, così che si verrebbe a dare un doppio beneficio per le stesse circostanze. Infatti le attenuanti generiche furono concesse “avuto riguardo allo stato di animo, in cui si trovava allorché concepì ed attuò il delitto”.
Il Pacciani si lamentò dell’eccessività della pena. La doglianza è ritenuta fondata: ad avviso di questa Corte i primi giudici sia nel fissare la pena base che nel ridurre la stessa per le attenuanti generiche, non hanno tenuto in equa considerazione le circostanze personali, sociali [???] Pacciani, è applicata in anni 22 di reclusione, ridotta a 15 anni per le attenuanti generiche. Tali attenuanti non vengono concesse per gli altri reati, con riguardo alla natura degli stessi, e per quanto riguarda il furto anche per essere stato commesso su di un cadavere. Così le altre pene restano ferme, e la pena complessiva è fissata in anni 18, mesi 5, giorni 5 di reclusione e L. 12.000,= di multa e L. 1.000,= di ammenda.
Il P.M. si duole pure implicitamente della mitezza di pena inflitta alla Bugli; la doglianza, attesa la gravità del fatto, è accolta, però in minima parte, riducendosi la pena, per le attenuanti generiche, anziché a un terzo, in misura minore: così per l’omicidio, ferma la pena base di anni 21, essa e diminuita ad anni 14 per la diminuente dell’età minore degli anni 18, e a 9 anni ed 8 mesi per le attenuanti generiche, ritenendo elevata la pena complessiva a lei inflitta ad anni 10 e mesi 1 di reclusione.
Ritenuto per ciò che è stato detto finora che trattasi di un delitto passionale, la Corte implicitamente esclude la premeditazione e l’aggravante dell’omicidio commesso per rapina, nonché logicamente esclude che sia stata commessa una rapina, come sostiene il P.M. appellante. Sotto questo punto appare illogica la assoluzione della Bugli con formula di dubbio dall’imputazione di concorso in rapina, attesa la evidente inconciliabilità dei due moventi.
Tuttavia, di fronte all’appello ampiamente motivato del P.M. e alle deduzioni della P.C. ad esso aderente, appare opportuna se non necessaria una confutazione dei motivi addotti.
Il P.M., a sostegno della sua tesi della rapina, adduce quale circostanza indiziaria, il contegno calmo, in contrasto col delitto passionale, che avrebbero tenuto i due imputati dopo l’uccisione del Bonini.
Veramente il contegno del Pacciani, che affilando il coltello, minacciava [???] della Bugli che cerca di fuggire e sottrarsi alle ire del fidanzato. È pur vero che i familiari della ragazza al ritorno dei due giovani alla Casa Nuova, non notarono in loro nulla di anormale e che il Pacciani il giorno seguente andò a Vicchio, si intrattenne con gli amici e bevve con loro come se nulla fosse accaduto, ma è cosa difficile sondare la psiche di gente rozza e violenta come il Pacciani e trarne al riguardo deduzioni dal loro contegno.
I primi giudici in considerazione della eccezionale gravità della frattura del cranio, costituente quasi uno sfracellamento del medesimo, ritennero che essa sia stata prodotta da un corpo contundente, che poteva essere una pietra, ma con maggior probabilità fu un bastone o un randello azionato con grande violenza. Con tale ipotesi la Corte si scostava in parte dal giudizio del perito dott. Puccini, il quale ritenne che le ferite alla base cranica fossero state prodotte bensì da un corpo contundente, ma con una pietra oppure (accedendo così alle dichiarazioni degli imputati), più verosimilmente con la punta o il tacco di una scarpa, azionate con notevole forza viva.
Il P.M. facendo proprio il giudizio della Corte su questo punto, e nello avviso da parte sua che le ferite di coltello e quelle di randello o bastone, a causa della minima o nulla differenza della rispettiva irrorazione del sangue, fossero state inferte contemporaneamente, conclude che, esclusa una partecipazione diretta della Bugli, una terza persona munita di randello abbia colpito il Bonini. In ordine a tale deduzione questa Corta osserva che essa si basa su elementi la cui esistenza è incerta e in parte contrastata dalle deduzioni e conclusioni del perito sia in punto al mezzo che alla irrorazione del sangue e pertanto nessun elemento di prova può trarsi a favore della tesi dell’appellante. Egualmente non sembra concludente, sempre a tale riguardo, l’illazione del P.M. che, per il fatto che furono necessari 4 uomini a portare via il cadavere del Pacciani dal luogo ove fu ritrovato, il Pacciani dovesse essere stato aiutato da una seconda persona per la rimozione e asportazione dello stesso cadavere. Infatti il Pacciani è un giovanotto robusto nel pieno vigore delle sue forze, allenato ai duri lavori della montagna, e perciò, se pure a stento e aiutandosi con una corda, fu certamente in grado da solo di portare e trascinare il cadavere
del Bonini; anzi la circostanza certa che il cadavere fu trascinato, dimostra che era solo, giacché se fossero stati in due non ci sarebbe stato bisogno di trascinarlo e di lasciarlo a metà strada, essendo, a quanto pare, intenzione del Pacciani di buttare il cadavere nel vicino laghetto di Maioli.
Nessun elemento di prova positiva a favore della tesi della rapina può desumersi dalla circostanza che presso il Pacciani fu rinvenuta la somma di lire 11.000, mentre secondo l’appellante vi doveva essere una somma molto maggiore, di cui parte sarebbe stata passata alla Bugli o al presunto terzo ignoto, che avrebbe concorso nella rapina.
E per vero: secondo le dichiarazioni di Annunziata Bonini, il Bonini Severino la sera del 9 aprile, prima di partire da Vicchio, avrebbe prelevato la somma di lire 25.000, il P.M. sostiene che in base alle risultanze del processo il Pacciani in quei giorni non avrebbe speso che poche centinaia di lire, ma né egli né la Corte non diedero peso alle dichiarazioni di Bonini Attanasio, fratello del Severino Bonini, il quale
al giudice istruttore disse che il fratello la sera del giorno 10 era tornato a casa, dopo aver acquistato degli stracci per il valore di lire 12.000 – approssimativamente.
È vero che il teste al dibattimento si corresse, dicendo che il valore degli stracci comperati dal fratello era di lire 2500, ma tale correzione convince poco, avendo egli spiegato la stessa col dire che si trattava di
un errore di scritturazione. Un tale errore non appare spiegabile giacché vi è troppa differenza non solo di somma ma anche di cifre fra il numero 12.000 e 2500, così da potersi ritenere trattarsi di un mali[???] o di un equivoco; d’altra parte è evidente, dalle carte processuali e specialmente dal contegno dell’Annunziata e dell’Averardo Bonini, lo sforzo di far valere la tesi della rapina, che indubbiamente gioverebbe, dal lato morale, alla memoria del fratello defunto. Ritenuto che il Bonini Attanasio al G.I. abbia detto la verità le cifre su per giù tornerebbero. Comunque anche qui siamo sempre nella zona del dubbio.
La circostanza che i biglietti di banca rinvenuti erano ancora bagnati si spiega meglio con l’ipotesi che si fossero bagnati, essendo rimasto il portafoglio addosso al cadavere del Bonini, o perché era caduto dagli indumenti dello stesso a causa dei movimenti subiti dal cadavere durante il trasporto o il trascinamento ad opera del Pacciani, che non con quella che si fossero bagnati addosso al Pacciani, rimasto per qualche tempo sotto la pioggia dopo l’uccisione del Bonini.
Circostanza poi del tutto equivoca sono gli accenni a denari che a dire della Bugli avrebbe fatto il Pacciani tornando alla Casa Nuova dopo il congiungimento carnale, e la Tagliaferri verso la figlia (il Pacciani avrebbe esternato il proposito di tornare sul luogo e impossessarsi del portafoglio e la Tagliaferri avrebbe domandato alla figlia se il Pacciani avesse per caso preso il portafoglio, avendo in risposta che non ne sapeva nulla).
E per escludere in modo assoluto la rapina vi sono altre circostanze. L’arma: il Pacciani era in possesso di un semplice coltello a serramanico; appare ovvio che qualora egli avesse avuto l’intenzione di uccidere il Bonini, si sarebbe munito di uno di quei coltellacci in uso presso i contadini, arma che pur potendo essere egualmente tenuta nascosta sotto gli abiti, gli avrebbe reso possibile di uccidere il Bonini con sicurezza e con pochi colpi, e senza esporsi al pericolo di una possibile resistenza valida.
Non vi è poi alcuna prova che gli imputati sapessero che il Bonini il giorno 11 sarebbe tornato a Casa Nuova; tale prova se mai avrebbe dovuta darsi dall’accusa e non dalla difesa come afferma la sentenza impugnata.
E infine a dimostrare l’infondatezza della tesi della rapina vi è il comportamento del Pacciani il giorno 11. Egli andò a Villore, si fece vedere da tutti, parlò e si trattenne con il Brazzini, dal quale si fece indicare il sentiero per andare a Tassinaia; quivi giunto in tutta prossimità del luogo dove avrebbe dovuto aggredire il Bonini, si trattenne a parlare con due donne, che sarebbero state le sue prime e più temibili accusatrici. L’aggressione poi si sarebbe dovuta compiere su di uno stradello percorso dalla gente, nelle ore di passaggio.
Invece è chiaro ed aderente all’indole del Pacciani, che egli si recò alla Tassinaia, dove anche per le parole del Brazzini poteva ritenere fosse la Bugli, per sorvegliarla come aveva fatto altre volte e aveva intenzione di fare ancora, secondo le confidenze fatte al maestro Sirio Bernardi e da costui riferite al giudice. Tale motivo spiega anche perché egli non andasse direttamente a Casa Nuova e prendesse la scorciatoia, che gli permetteva di evitare incontri con la Bugli o con altre persone che avrebbero potuto riferire alla ragazza la sua presenza in quella località.
Pertanto la Bugli va assolta dalla imputazione di rapina, perché il fatto non sussiste.
In ordine alla contravvenzione per porto di coltello osserva che si tratta di un coltello comune, di quelli che i contadini usano portare per i soliti bisogni in campagna e che il Pacciani avea seco quel giorno, essendo sua intenzione, al ritorno da Villore, dove riteneva di sbrigarsi presto, di andare a lavorare come al solito. Pertanto bene è stato assolto con formula piena.
Per completezza di motivazione, giacché la circostanza ha scarsa o nessuna importanza per la decisione in ordine ai dedotti motivi di appello, come lo stesso P.M. ha riconosciuto, restano a dire brevi parole sulla questione dove fu commesso il delitto. In base alle contrastanti risultanze processuali (dichiarazioni degli imputati, deposizioni degli Scarpelli e Bonini) è difficile sceverare la verità; vi è però un dato oggettivo che avvalora la tesi degli imputati ed è l’esistenza di una macchia di sangue sul terriccio, nel fondo della gola, accertata alla distanza di circa 40 ore dalla uccisione del Bonini, nonostante la pioggia forte e insistente caduta nel pomeriggio e nella notte sull’11-12 aprile, laddove né nel punto dello stradello dove la Scarpelli avrebbe visto due uomini azzuffarsi né sul tratto da questo punto alla gola, risulta che siano state notate tracce di sangue. D’altra parte se il Bonini fosse stato ucciso sullo stradello la ragazza avrebbe dovuto vederne il cadavere.

P. Q. M.

applicati gli art. 209, 207, 213, 523 C.P.P., previa dichiarazione di inammissibilità dell’appello del P.M. limitatamente all’aggravante di cui 61 num. 4 in ordine al delitto di omicidio, per mancata specificazione dei motivi, in parziale riforma della sentenza impugnata, eliminata la attenuante di cui all’art. 114 C.P., eleva la pena inflitta alla Bugli Miranda complessivamente ad anni dieci e mesi uno di reclusione; riduce la pena inflitta al Pacciani Pietro per il delitto di omicidio, come ritenuto dai giudici di primo grado, ad anni quindici (15) di reclusione e determina la pena complessiva, in concorso con le pene inflitte per gli
altri reati, ad anni 18 (diciotto), mesi cinque, giorni cinque di reclusione, lire 12.000 di multa.
Condanna Bugli Miranda alle spese del presente giudizio di appello, ed entrambi in solido a quelle di P.C. che si liquidano per Assirelli Elvira in lire 95.570 (di cui 90.000 per onorari) e per le altre parti in lire
93410 (di cui lire 90.000 per onorari).
Visto l’art. 479 C.P.P. assolve Bugli Miranda dal delitto di rapina perché il fatto non sussiste.
Conferma nel resto la appellata sentenza.

Firenze li 18 dicembre 1952.

il PRESIDENTE

il CON.EST.

18 Dicembre 1952 Trascrizione sentenza del processo d’appello per il delitto di Severino Bonini
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